Tatiana è una donna russa 62enne. Proviene da Nizhniy Novgorod, nella Russia centrale europea, e lavora a Roma presso lo studio di un commercialista. Occhi azzurri, zigomi alti, vanta i tipici colori e lineamenti slavi, con una leggera sfumatura di asiatico. «Mia nonna», ricorda, «aveva ascendenze mongole. In Russia siamo tutti un po’ mischiati, una delle mie bisnonne era ucraina». E con le ucraine che vivono in Italia ha sempre avuto un buon rapporto. Con qualcuna si potrebbe parlare di amicizia. «Anche se», ammette, «da parte delle mie conoscenti ucraine una punta di rancore verso noi russe, la si poteva intuire».
E adesso? «Adesso questo rancore nascosto, quasi soffocato, è uscito allo scoperto», racconta, «l’altro giorno ero dalla mia manicure, una donna di Kiev che frequento da anni. Per un’ora non ha fatto altro che inveire contro la Russia. Ho preferito evitare polemiche. Mi sono limitata a dire che siamo entrambe emigrate, il che vuol significa che nessuna delle due nel proprio Paese viveva poi così bene. Probabilmente le ucraine stavano ancora peggio, visto che io e tutte le mie conoscenti russe siamo arrivate in aereo. Mentre mi risulta che molte ucraine siano scappate con mezzi di fortuna, a volte nascoste dentro il rimorchio di un camion. E questo pure quando nel loro Paese non infuriavano né guerre, né rivoluzioni».
Tatiana, cresciuta nell’Urss non temiamo sofferenze
Ma la cosa più dolorosa, per Tatiana è l’atteggiamento degli italiani. «In studio, i clienti con cui sono solita scambiare quattro chiacchiere non risparmiano battutine. Io cerco di non reagire, anche se a volte sbotto. Quando un cliente mi ha chiesto: “Lei è ucraina vero?”, come dire che riteneva impossibile che una persona civile ed educata fosse russa, non ho più resistito e ho risposto “No io sono una figlia di Putin, una di quelle che bombardano”.
Ho sempre avuto grande simpatia e ammirazione per il Popolo ebraico. Ora ho capito cosa provavano gli ebrei in certi Paesi dove erano discriminati». A proposito del rapporto con lo “Zar”, la signora non è mai stata una putiniana di ferro. «Mi piace vivere in un Paese libero e la Russia non è ancora liberal democratica. La mano autoritaria del Governo si sente. Però noi russi siamo patrioti. Lo abbiamo sempre dimostrato. Ero orgogliosa quando il nostro Presidente, un paio di anni fa, è venuto a Roma ed è stata accolto con tutti gli onori, quasi con affetto dal vostro Presidente Mattarella. Il mio Paese d’origine e quello d’adozione si abbracciavano. Così ora siamo solidali con Putin. Quello che molti occidentali non capiscono è che noi russi siamo abituati a soffrire. Soprattutto quelli, come me, che sono cresciuti sotto il comunismo. Più ci discriminano, più sanzioni ci fanno, e più appoggiamo il nostro Governo».
Irina, persino il suo maestro la “insolentisce”
Maggiormente fragile si mostra Irina, una musicista 25enne che vive a Firenze. Un po’ per la tipica sensibilità degli artisti, un po’ perché non si è forgiata nell’Unione Sovietica, un po’ perché è arrivata in Italia da bambina. «Sono per la Pace, lo continuo a scrivere sul mio profilo Facebook, ma questo non basta. Alcune mie amiche ucraine non rispondono alle mie telefonate, ma anche tra i miei amici italiani c’è chi mi critica e mi evita. Persino un anziano signore, che incontro sempre nel parchetto sotto casa, dove facciamo giocare i nostri cani, da quando è scoppiata la guerra, quando mi vede mi insolentisce».
Ma l’episodio peggiore Irina l’ha vissuto con il suo vecchio maestro di violino. «L’ultima volta che sono andata a trovarlo, prima mi ha attaccato pesantemente per le mie scelte di carriera: poi mi ha urlato contro per la guerra. Ma io che colpa ne ho? Non si rendono conto che trattandoci così ci avvicinano al nostro governo». Come tutte le russe che ho incontrato, anche Irina non seguiva più di tanto la politica.
«Per alcuni anni», dice, «ho vissuto con un altro musicista, un ucraino, ultra nazionalista. Ma la politica, appunto, non è il mio mondo e la cosa non mi disturbava. Finché un giorno mi ha fatto indossare una strana camicia, mi ha fotografato e ha messo la foto sui social. Mio nonno, che vive a Mosca, mi ha subito telefonato dicendo di fare sparire le fotografie. La camicia che indossavo era quella dei “banderasti”, i seguaci di Stefan Bandera. Il nonno mi ha spiegato che Bandera era il leader dei nazisti ucraini durante la seconda guerra mondiale, tra i maggiori responsabile dell’Olocausto degli ebrei in Ucraina e della pulizia etnica compiuta in Galizia contro i Polacchi. Dopo questo episodio, i nostri rapporti si sono raffreddati sino alla rottura definitiva».
Vania, come la Netrebko non “ripudio” il presidente
Facebook sembra essere per i russi emigrati una cartina di tornasole. «Appena le nostre truppe hanno superato il confine, le mie amiche ucraine mi hanno cancellato da Fb. Eppure alcune erano colleghe, con cui ci si frequentava da anni anche fuori dal lavoro», rivela Vania, 45 anni, di San Pietroburgo, che da qualche anno vive a Milano, dove lavora in una farmacia. Ma ad angosciarla è soprattutto l’aspetto economico.
«Temo di non potere più mandare danaro ai miei genitori, che vivono in Russia insieme a mio figlio adolescente, temo che in quanto russa mi blocchino i conti bancari, ma soprattutto tempo di perdere il lavoro». Vania è contro la guerra, ma non se la sente di rinnegare pubblicamente il suo Governo. Ammira il soprano Anna Jur’evna Netrebko. Una donna russa che, come lei, pur dichiarandosi contraria all’invasione dell’Ucraina, non ripudia il suo Presidente, a costo di perdere gli ingaggi presso il Metropolitan di New York e la Scala di Milano. «In inglese si dice: “Right or wrong my country” (ndr. Che faccia la cosa giusta o quella sbagliata, è sempre il mio paese)», mi dice. «Una mia amica con un genitore russo e uno ucraino, prima della guerra si presentava come russa, perché “fa più fine”. Ora, non solo dice di essere ucraina, ma pubblica sui social post violentemente anti russi. La posso capire, non è una russa vera e non ha il nostro senso della Patria».
Milo Goj