Indimenticabile Dino Buzzati. Oltre 50 anni dopo la sua morte, avvenuta a Milano il 28 gennaio 1972, l’autore de “Il deserto dei Tartari” e di “Un amore” sopravvive nei cuori di molti che lo hanno letto e, ora, anche nelle pagine di un bel romanzo di Alessandro Mezzena Lona, che per 16 anni è stato responsabile delle pagine culturali de Il Piccolo di Trieste. Il romanzo s’intitola “Il cuore buio dei miracoli”, ed è edito dall’editore Ronzani. Racconta una storia ambientata tra quelle montagne del Trentino, nella casa natale di Buzzati, nota come Villa Buzzati in quel di San Pellegrino. Qui arriva, nella finzione del romanzo di Mezzena Lona il personaggio di Blaise Panafieu, editor francese, nelle vesti di nipote di quel Yves Panafieu, autore di un fondamentale libro-intervista a Dino Buzzati “Un autoritratto”, imprescindibile per quanti vogliono approfondire la vita e l’opera dello scrittore bellunese.
Blaise ci arriva per recuperare il quaderno dello scrittore relativo agli appunti sul suo ultimo lavoro “I miracoli di Val Morel”, un quaderno misteriosamente scomparso per l’infuriare dell’uragano Vaia (avvenuto nel Triveneto tra l’ottobre e il novembre del 2018 provocando danni e inondazioni, ndr) dando così avvio a un racconto magico, carico di misteri, in cui realtà e fantasia, naturale e sovrannaturale si sovrappongono, tanto da sembrare di uscire davvero dalle pagine di un romanzo di Buzzati.
Mezzena Lona, è stata tanto forte la immedesimazione con Dino Buzzati?
Sì, fortissima. Dino Buzzati è uno dei miei spiriti guida letterari fin da quando avevo 14 anni. Tutto, nel romanzo, è una dichiarazione d’amore per il suo modo di intendere la letteratura, per i personaggi e le atmosfere che ha creato. In più, ho aggiunto una mia reale preoccupazione per il futuro di questo nostro pianeta Terra. L’uragano Vaia è stato un terribile avviso, che non abbiamo ascoltato. In questi giorni la tragica inondazione dell’Emilia-Romagna ci manda un altro, fortissimo segnale. Quanto vogliamo aspettare ancora per accorgerci che il futuro è in parte già compromesso? Non basterà la Santa Rita dei “Miracoli di Val Morel” per salvarci.
Il protagonista del romanzo è Blaise Panafieu, un presunto editor francese, nipote spurio di quel Yves Panafieu a cui si deve un ormai mitico libro-intervista con Dino Buzzati. Io ho però avuto la sensazione che quel Blaise sei tu, nel senso che hai messo molto di te stesso. Sbaglio? E come sei arrivato a questo personaggio?
No, Blaise non sono io. Non mi sono mai occupato da editor dei romanzi degli altri, anche perché faccio il giornalista da quando avevo 24 anni. È vero, però, che al personaggio del francese ho regalato alcune mie passioni: la musica, soprattutto quella dark; lo yoga; l’amore per il mistero; i libri di una scrittrice immensa come Clarice Lispector. In realtà, il protagonista del romanzo all’inizio aveva un altro nome. Poi, quando mi è arrivata la notizia che il grande Yves Panafieu era morto, ho deciso di rendergli omaggio inventando un suo possibile nipote.
Il romanzo ha per sfondo la casa di Buzzati e i luoghi che la circondano. Blaise arriva lì per la prima volta, accolto dal personaggio reale di Valentina Morassuti, pronipote dello scrittore e presidente dell’Associazione Villa Buzzati, ma è quasi subito raggiunto da una giovane, Adelaide Anfossi, la Laide, personaggio indimenticabile di un capolavoro di Buzzati come “Un amore”. Blaise se ne infatua come l’architetto Antonio Dorigo del romanzo o come te da suo lettore?
“Un amore” non è solo uno dei più importanti e coraggiosi romanzi del secondo ‘900 europeo. Ma è un libro in cui Buzzati regala ai lettori un personaggio affascinante e inquieto come Adelaide Anfossi. Far rivivere la Laide nel “Cuore buio dei Miracoli” mi è piaciuto molto perché desideravo consentire a lei, una ragazza-squillo, di esprimere il proprio punto di vista sui maschi. Su quelli che pagano per godere della sua bellezza. La scelta, poi, di mescolare personaggi veri, come la pronipote Valentina Morassutti, ad altri immaginati mi ha permesso di costruire un gioco letterario testacoda tra realtà e finzione, che spero funzioni e diverta.
Dietro le bellissime descrizioni della natura, anche attraverso le tragiche pagine degli effetti dell’uragano Gaia, dalle quali emerge poi anche il ricordo del disastro del Vajont, c’è, come hai anticipato, un forte atto di accusa nei confronti dell’uomo alle cui devastazioni la natura sembra ribellarsi come recentemente in Romagna. Qual’è il tuo messaggio a riguardo?
La letteratura ha il privilegio di esprimere concetti che, a volte, i mezzi di informazione non riescono a mettere davvero a fuoco. Pertanto, ho aggiunto una mia reale preoccupazione per il futuro, cercando di attirare l’attenzione dei lettori sul nostro dissennato e totalmente egoistico sfruttamento del pianeta Terra. E sul fatto che, questa volta, sembra davvero arrivato il momento della resa dei conti. Non so se, come dicono gli scienziati, l’umanità sia destinata a estinguersi. L’uragano Vaia è stato un terribile avviso, che non abbiamo ascoltato. In questi giorni la tragica inondazione dell’Emilia-Romagna ci manda un altro, fortissimo segnale. Certo, se non cambiamo rotta in fretta, fenomeni spaventosi come questi di cui parlo nel mio romanzo saranno sempre più frequenti. Quanto vogliamo aspettare ancora per accorgerci che il futuro è in parte già compromesso? Non basterà la Santa Rita dei “Miracoli di Val Morel” per salvarci.
Quanto al tuo amore per luoghi, oltre che a Buzzati stesso – basti pensare al suo “Barnabò delle montagne”- si deve anche alle tue origini famigliari trentine?
Non solo alle mie origine trentine, ma anche alla mia nascita a Trieste. Adoro il mare, non potrei vivere in una città che non ha un orizzonte d’acqua. E, al tempo stesso, tra le montagne, nei boschi, mi sento a casa. Libero, felice, grato per le meraviglie che la nostra vera madre, la Natura, continua a regalarci nonostante tutto. Per me valgono le parole del filosofo olandese Baruch Spinoza: Deus sive Natura. Non abbiamo bisogno di paradisi immaginati, perché il paradiso terrestre è qui. Basta uscire di casa.
Sei stato per 16 anni responsabile culturale de Il Piccolo, sei stato cioè dall’altra parte degli autori, decidendo sulle scelte dei libri, sullo spazio da dare a ciascuno di essi e così via. Che effetto fa ora trovarti tra gli autori?
Per tanti anni ho evitato di bussare alla porta, da autore, degli editori. Proprio per essere totalmente libero nel mio lavoro quotidiano di giornalista culturale. Adesso, posso finalmente mettermi in gioco come scrittore. Regalando piccole soddisfazioni all’Alessandro bambino, e poi ragazzo e uomo, che scriveva, scriveva, per lasciare tutto nel cassetto. O nella memoria del computer.
Diego Zandel