La Bielorussia balza ogni tanto alla nostra attenzione per fatti eclatanti: le contestazioni delle elezioni farsa che hanno portato alla conferma di Aljaksandr Lukašėnka (presidente dal 1994) e la conseguente durissima repressione e ora per l’atto di terrorismo del padrone del paese che dirotta un aereo di linea per arrestare un giornalista dissidente.

Nella mia vita invece la Bielorussia c’è tutti i giorni da 16 anni, da quando una ragazzina bionda, spaesata e con gli occhi diffidenti è sbarcata da un volo proveniente da Minsk, insieme a decine tra bambini, bambine, adolescenti, tutti  provenienti da orfanotrofi, accompagnati dalle loro insegnanti e dai volontari dell’associazione Progetto Speranza, nata per permettere loro di curarsi dagli effetti delle radiazioni di Chernobyl e di avere l’abbraccio di una famiglia.

Troppo difficile raccontare la vita di quella ragazzina bionda. Dovremmo guardare le fotografie dello stato degli orfanotrofi prima dell’intervento dei nostri volontari: latrine impraticabili invece di bagni, niente acqua calda – in un paese dove in inverno la temperatura arriva facilmente sotto i 35 gradi – sbarre alle finestre con i vetri rotti, pochi e malandati arredi. Dovremmo avere il coraggio di ascoltare la storia di punizioni corporali, del rancio a base di rape,  del lavoro nei campi – a 10 anni – a raccogliere le patate, dell’orrore provato nel trovare una compagna quindicenne che si era impiccata perché incinta. Forse questa è la vita di tutti gli orfani dei paesi poveri e fa notizia per il tempo necessario a leggerla e poi ci dimentichiamo e continuiamo, giustamente, le nostre vite privilegiate.

Ma è più difficile passare oltre quando i tuoi affetti ti portano a cercare di capire meglio, anche parlando con le persone del luogo, e  la politica dell’ultimo dittatore europeo che, se non avesse risvolti tragici sulla vita delle persone, farebbe pensare alla commedia “Il dittatore dello stato libero di Bananas”.

Ovviamente per poter uscire dal paese è necessario un visto che viene però rilasciato solo a fronte della garanzia economica, fornita dal richiedente, di potersi mantenere nel paese ospitante. Una garanzia che praticamente nessuno riesce a fornire perché il lavoro regolare è appannaggio quasi esclusivamente dei dipendenti statali. Per la stragrande maggioranza c’è solo il lavoro nero, senza ferie, senza malattia né tantomeno maternità. Il salario di un insegnante è di circa 170 dollari: i generi alimentari, salvo il pane ed il latte i cui prezzi sono calmierati, costano come in Italia ed un paio di scarpe non si trova a meno di 80/100 dollari perché di importazione. Quelle a buon mercato sono di pessimo materiale proveniente dalla Cina o di foggia “russa” che nessun giovane vorrebbe mai indossare.

Ma, a fronte di questa situazione, i disoccupati pagano una multa di 300 dollari l’anno ed il presidente, quando è stata introdotta, ha fornito una spiegazione semplice: “Se non siete morti di fame quest’anno vuol dire che avete lavorato e non avete pagato le tasse. Quindi è corretto che lo stato esiga questo pagamento da tutti”. Una misura odiosa perché migliaia di persone si arrangiano per sopravvivere. La sanità è un disastro. L’epidemia Covid è stata del tutto negata ed il presidente ha invitato i cittadini a bere vodka per curare “ l’influenza”. 

Lukašėnka ama parlare nelle piazze ma per gli abitanti la sua visita è un balzello: devono, a proprie spese, ripulire le facciate dei palazzi che affacciano sul palco per garantire il decoro. Ultimamente i partecipanti al comizio possono applaudire solo ad un segnale dello staff del presidente: il pubblico infatti aveva iniziato a farlo in modo da comunicare il proprio disaccordo. Ora invece si può fare solo all’unisono e se autorizzati. Le finestre devono essere tutte chiuse: cecchini sui tetti sono pronti a sparare per prevenire attentati.

La democrazia è un mito: i dissidenti sono tutti in carcere, la votazione non è protetta dal segreto delle urne, i dipendenti statali devono fotografare con il cellulare la scheda con la croce. Se è messa sul simbolo sbagliato il posto di lavoro è a rischio. Il 9 agosto dello scorso anno Lukašėnka si è attribuito la vittoria alle elezioni presidenziali con l’82% dei voti, un risultato giudicato inverosimile dagli osservatori internazionali e frutto di sfacciati brogli. Da quel giorno le proteste non si sono fermate così come la repressione. La polizia usa regolarmente proiettili di gomma, granate assordanti, sostanze chimiche irritanti, cannoni ad acqua. Gli arrestati vengono tenuti in prigione senza processo, picchiati, torturati.

Il rapporto mondiale 2021 di Human Right Watch, nel riferire delle vittime degli scontri, dedica un capitolo ai reclusi “che portano i segni di percosse, posizioni di stress prolungato, scosse elettriche. Alcuni avevano lesioni gravi, ossa rotte, ferite. È stato negato loro cibo e acqua”. Le famiglie sono rimaste giorni davanti alle prigioni per portare ai carcerati generi alimentari ma sono state disperse con minacce. Il paese è militarizzato: la forza dell’apparato repressivo ha giocato un ruolo chiave non solo nei momenti elettorali, in cui si è impedita qualunque forma di opposizione, ma anche nella vita di tutti i giorni

Nella notte tra il 22 e il 23 marzo di quest’anno, a fronte delle ulteriori proteste per chiedere elezioni libere e pulite, per dire basta ai soprusi, alle violenze e alla violazione sistematica dei diritti umani e sociali, il “grande padre” ha piazzato i carri armati ai confine con Polonia e Lituania e ha vietato ogni assembramento. Ma la frattura tra istituzioni e popolazione ha segnato un punto di non ritorno. Lo scorso febbraio, l’Alto Commissario per i diritti umani delle Nazioni Unite, Michelle Bachelet, ha parlato chiaramente di “una crisi dei diritti umani senza precedenti nel paese: violazioni commesse impunemente che hanno provocato una atmosfera di paura”. Il codice penale è rigidissimo e prevede il carcere anche per reati minori. Non esiste la rieducazione ma solo la punizione ed è l’unico paese  europeo a prevedere, ed applicare la pena di morte.

Aljaksandr Lukašėnka gode della protezione di Putin che lo terrà al potere finché gli farà comodo, finché non avrà trovato il modo di sostituirlo mantenendo la Bielorussia nell’orbita Russa. E intanto sciano insieme a Sochi. Le sanzioni finora imposte dall’Europa non hanno per nulla scalfito il potere assoluto di Lukašėnka e si è deciso quindi, dopo l’incredibile atto di pirateria aerea, di allargarle a ottanta funzionari dell’entourage del presidente e di impedire agli aerei della compagnia di bandiera, la Belavia, di atterrare negli aeroporti europei.

Tutto corretto, anzi, si dovrebbe fare di più.

Ma su quell’aereo doveva imbarcarsi questa estate, dopo due anni di separazione per la pandemia, quella ragazzina bionda oggi donna, sposata e con un bambino, il mio nipotino di cuore che mi chiama babushka perché non serve uno stato di famiglia per essere nonna.

Dietro le grandi manovre politiche dei dittatori ci sono sempre persone che soffrono, affetti negati, libertà e diritti violati.

Cinzia Gaeta

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