Qui è nato il diavolo.
In questo silenzio solenne e quasi magico, in cui si ascolta solo il fruscio del vento interrotto da qualche raro starnazzare delle anitre, oltre nove anni fa si presentò al mondo l’allora ventiduenne Anders Breivik, il killer di settantasette innocenti esseri umani (8 massacrati a Oslo, nel primo pomeriggio con un auto bomba; 69, appunto, nell’isola di Utøya due ore più tardi).
Sessantanove ragazzi norvegesi, si erano dati appuntamento proprio qui, tra i pini di questa isoletta magica, nel centro della Norvegia, ad un’ora circa di auto da Oslo, per una summer school, organizzata dal partito laburista norvegese per discutere di immigrazione e futuro.
Nel giro di qualche minuto, la felicità, i sorrisi, la gioia di partecipare con altri coetanei ad una bella ed importante giornata dedicata ad una coesione civile e pacifica anche con gli stranieri, con gli immigrati, con “i diversi”, sono diventati un incubo, scandito da una colonna sonora segnata dalle pallottole infuocate del fucile d’assalto di Anders Breivik.
C’è un memoriale che ricorda l’eccidio e il sacrificio di quei ragazzi innocenti.
Questo silenzio che rende ancora più solenne e indimenticabile questo luogo, sinonimo di lutti e sofferenze, ci lascia però un monito e una responsabilità enormi.
Non archiviare la strage di Utøya come un episodio tragico, commesso da un pazzo, fuori di sé.
Non dobbiamo sottovalutare questi suprematisti, pseudo difensori di un’Europa cristiana che si protegge dalle invasioni arabe.
Non dobbiamo affrontarli con lo sconcerto di chi pensa a dei singoli fanatici, protagonisti della reincarnazione dei cavalieri templari, come ricordato proprio da Breivik nel suo allucinante video, registrato poco prima della strage.
Il suo esempio ha poi innescato un effetto domino in tutto il mondo, dalla Nuova Zelanda agli Stati Uniti d’America.
Una rete di suprematisti bianchi, in collegamento tra di loro, attraverso l’efficienza micidiale e cinica di Internet, che si parlano, immaginano progetti comuni, si richiamano agli stessi valori e ideali di morte e di purificazione. Essere qui davanti ad Utøya, in questo agosto 2019, mi ha reso ancora più consapevole del rischio che corriamo a sottovalutare questi fenomeni, considerandoli marginali o, semplicemente, opera di singoli fanatici schizofrenici.
I ragazzi che hanno perso la vita quel 22 luglio del 2011 ci ricordano tutti giorni che la Pace, la Libertà, la Solidarietà tra gli esseri umani, sono valori che non dobbiamo dare mai per scontati, ma che sono da coltivare e difendere, socializzandoli, instancabilmente, tutti giorni, in tutti gli angoli del mondo.
Utøya è un memento per tutti noi, attori di questa travagliata e difficile attualità.
Sia lieve la vita di quei ragazzi.
Riccardo Rossotto