Terminato nel 2017 il suo mandato di ambasciatore della Repubblica di Croazia in Italia, Damir Grubiša, politologo di fama, con un passato di civil servant per la ex Jugoslavia e poi per la Croazia, si è messo a scrivere un diario. È uscito così “Diario diplomatico – un fiumano a Roma” edito da Gammarò, un libro che trabocca di indiscrezioni e retroscena coraggiose e tutt’altro che diplomatiche. Abbiamo rivolto alcune domande all’ex ambasciatore.
Lui è stato nominato ambasciatore in un clima di ottimismo e di euforia per la vincita, nelle elezioni del 2000, del centro-sinistra non-nazionalista sull’HDZ, che, con il presidente Tudjman, scomparso prima delle elezioni, aveva detenuto il potere per un decennio. L’approccio di Kraljević era di iniziale aspettativa di quelle riforme democratiche che, purtroppo, il governo del socialdemocratico Ivica Račan non ha portato a termine.
Un percorso diplomatico per un Paese in cambiamento
Anch’io sono stato nominato da un governo di centro-sinistra e, in più, dal presidente Ivo Josipovic, professore di diritto internazionale privato e compositore di fama mondiale. Ma a differenza di Kraljević, nel corso del mio mandato mi sono imbattuto in una ricaduta del Paese nelle mani dei nazionalisti di destra. E inoltre in un apparato di Stato ereditato dal periodo degli anni novanta e reclutato con metodi clientelari e ideologici. Invece di scrivere questo “Diario diplomatico” avrei potuto analizzare tutte le disfunzioni del sistema politico croato con un saggio politologico. Invece ho preferito la testimonianza personale, affidandomi al racconto di episodi spesso bizzarri e grotteschi che, da soli, aiutino il lettore a trarre le conclusioni!
In effetti, le sue indiscrezioni riguardano un po’ tutta la classe politica croata, con nomi e cognomi… È come se avesse voluto togliersi qualche sassolino dalle scarpe. Teme reazioni? Ha pensato anche a una edizione croata del “Diario”?
Ho voluto solo far vedere ai miei lettori che i retroscena di una società di transizione, come quella croata, si differenziano molto dall’apparizione, dalla scenografia che appare davanti ai riflettori. Non traggo conclusioni, solamente tento di raccontare quello che è accaduto e come, a riguardo, si sono comportati i cosiddetti “protagonisti”. Sono innanzitutto un politologo. Quanto a un’edizione croata del mio libro, certo, ci ho pensato, però non vorrei mettere in una situazione imbarazzante un mio potenziale editore croato. Prevedo, infatti, che i politici al potere oggi in Croazia potrebbero non essere molto entusiasti di quanto ho scritto.
Per la Croazia un futuro incerto?
Purtroppo, quello del premier Andrej Plenković è un regime nazionalista che sviluppa il pensiero unico attraverso l’ipertrofia del patriottismo croato. Non ha ancora fatto i conti con il fascismo croato, con gli ustascia della Seconda guerra mondiale (e per ciò è sotto critica della comunità israelitica della Croazia). Per fortuna a Fiume e in Istria c’è un’altra atmosfera. Qui, adesso, esiste un pluralismo “effettuale”, con eccezione anche di Zagabria che lascia ben sperare per il futuro della Croazia.
Racconta anche di certe situazioni bizzarre come quelle relative, ad esempio, ai consoli onorari, tra cui quello di Bari…
I consoli onorari sono una storia a sé… Mi sono imbattuto in un console onorario croato a Napoli che aveva rubato l’identità di professore universitario a suo fratello maggiore deceduto… A Bari, invece, in una console onoraria che diceva di avere una sede a Bari ma viveva a Monopoli. Quando sono venuto per un’ispezione, la signora, una insegnante in pensione, ha messo su una scena degna di Dario Fo… Per due giorni non potemmo vedere questa sede. Solo il terzo giorno, su nostra insistenza, ci ritrovammo davanti a un palazzo dove c’era il consolato onorario di uno stato baltico.
Nel libro molti aneddoti e tragicomiche
Sotto la targa e il campanello c’era un pezzetto di carta incollato in fretta e furia che diceva “Consolato Generale di Croazia”, che non poteva neppure essere vero, perché si trattava di un consolato onorario e non Generale, che sarebbe stato professionale… Ugualmente non potemmo vedere l’ufficio perché la nostra console ci disse che il custode del palazzo era ammalato. Ma nel libro racconto anche un episodio relativo al candidato console onorario di Torino, che lasciamo scoprire ai lettori.
Lei racconta anche del suo passato di esule fiumano nel dopoguerra, finito in un campo profughi per i giuliano-dalmati in fuga da Tito. Cosa ha rappresentato per lei?
La mia esperienza di esule, per quanto breve, è stata molto importante. Sia per le vicissitudini della mia famiglia italiana, vittima di persecuzione da parte dei comunisti jugoslavi nell’immediato dopoguerra. E sia per quelle della mia famiglia croata, vittima di persecuzioni fasciste e poi anche jugoslave. Per questo ho voluto che la mia patria croata riconoscesse i torti e rendesse onore alle vittime italiane delle persecuzioni nel dopoguerra e durante l’esodo.
Testimone di una riconciliazizone necessaria
Un percorso che si è compiuto nel 2013, in occasione della visita di Stato del presidente croato Josipović al presidente Napolitano. Il primo ebbe modo di sprimere il suo rincrescimento per le ingiustizie subite dagli italiani dal regime comunista. Il presidente Napolitano ebbe modo di esprimere il suo per le angherie subite dai croati durante il periodo fascista. Un percorso importante per la riappacificazione dei due popoli, del quale sono lieto di aver potuto dare il mio, seppur modesto, contributo.
Diego Zandel