Tra gli anni Sessanta e Ottanta, tutti noi che studiavamo scienze politiche e sociali eravamo influenzati dal pensiero di Claude Lévi-Strauss. Lo eravamo soprattutto per quanto riguardava le relazioni internazionali e la critica del colonialismo. Il pensiero dello studioso francese era definito strutturalismo antropologico e apriva le porte al relativismo culturale (e strutturale.) Lévi-Strauss era molto apprezzato da noi progressisti di sinistra in quanto critico dell’etnocentrismo occidentale e del colonialismo.

Chi a quel tempo era giovane, come me, tendeva ad assumere le teorie dell’antropologo francese in modo radicale e dogmatico. Un’eco del pensiero di Lévi-Strauss lo si sente tuttora nella definizione che si dà delle persone affette da disabilità. Prima erano definite “handicappate” o “anormali”; oggi si preferisce chiamarle piuttosto “diversamente abili”.

In modo simile, Lévi-Strauss sosteneva che i popoli articolano le proprie culture secondo diverse modalità pur condividendo una comune base etica e genetica. Come dire che alcuni Paesi sono “diversamente democratici” e altri “diversamente totalitari”. Oppure che, a seconda della cultura, le persone sono “diversamente libere” e altre “diversamente oppresse”. Questa impostazione si allargava dalle diversità delle istituzioni a quelle dei comportamenti e in particolare di quello sessuale per cui non si può più dire che una femmina umana che ama accoppiarsi con un maschio della stessa specie è “normale”, ma la si definisce piuttosto “eterosessuale”. Questo implica che qualsiasi comportamento ha pari dignità rispetto agli altri, così come ogni popolo ha il diritto di organizzarsi come crede senza che si possa stilare una scala di civiltà.

Verso il finire degli anni Ottanta avevo cominciato a sollevare qualche perplessità su questa impostazione. Essa veniva progressivamente volgarizzata e applicata in modo meccanico privandola della complessità del pensiero che la sosteneva. Una grande elaborazione filosofica qual era quella di Lévi-Strauss veniva divulgata e strumentalizzata politicamente banalizzandola in uno schemino riassuntivo. Guidato da altre letture, mi riconciliavo in parte con alcuni principi che auspicavano una maggiore omologazione globale. La sinistra rozza prendeva per oro colato lo schemino tratto dall’opera di Lévi-Strauss per criticare l’eurocentrismo e predicare una finta tolleranza. La destra altrettanto rozza propagandava la superiorità occidentale con aggressività e intolleranza.

Dopo il 1990, Lévi-Strauss è caduto in disgrazia per quanto riguarda le relazioni internazionali. È stato sostituito da un altrettanto dogmatico globalismo che ha riunito sinistra e destra accomunate dalla rozzezza e dall’opportunismo. L’accento è stato posto sui diritti umani applicati e intesi secondo l’unica percezione occidentale anziché articolati nelle modalità in cui essi si manifestano nelle diverse culture e istituzioni.

Sul finire degli anni Ottanta fui uno dei primi ad accorgermi della deriva di una interpretazione superficiale e strumentale dello strutturalismo. Oggi mi rendo conto che siamo di nuovo caduti nell’eccesso opposto: vorremmo applicare i diritti umani ovunque nella forma in cui i popoli occidentali li stabiliscono (ma poi rispettano a corrente alternata a seconda dell’opportunismo del momento). Non accettiamo più diverse interpretazioni. Il ritorno a un relativismo culturale virtuoso e al rispetto delle differenze non solo a livello personale, ma anche delle diverse articolazioni politiche e culturali sarebbe quanto mai benvenuto.

P.S.: Queste osservazioni sono appena abbozzate e richiedono studi e approfondimenti che i ricercatori già svolgono con una competenza superiore alla mia. La mia sensibilità politica ed esperienza internazionale, tuttavia, mi consentono di sollecitare consapevolmente una riflessione critica sul neo-etnocentrismo o neo-eurocentrismo che con la fallacia dell’affermazione dei diritti umani, in effetti ripropone la discriminazione del “pensiero alternativo” o del “Pensiero selvaggio” (traduco così il titolo di un famoso saggio di Lévi-Strauss).

Corrado Poli

Corrado Poli

Corrado Poli, docente di geografia politica e urbana, editorialista e saggista

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