Da inizio anno la BCE ha completato il Quantitative Easing e non è un caso che l’economia europea stia entrando in recessione. Era da qualche mese che l’economia reale europea andava verso la recessione; i segni si sono visti ma la narrativa di giornali ed esperti ha preferito non citare, colposamente o dolosamente, la causa prima: l’imminente fine del più grande ed innovativo stimolo finanziario della storia del mondo.
Il Quantitative Easing è stato un ulteriore e definitivo passo nel mondo dei mezzi non convenzionali messi in campo dalle banche centrali per cercare di contrastare la crisi.
Nei libri di scuola, la principale funzione della banca centrale è alzare il tasso di sconto al fine di frenare la crescita; in questo modo si cercava di tenere sotto controllo il gravissimo male dell’inflazione alta. Può sembra archeologia di finanza bancaria ma una volta questo era un problema molto serio, migliaia di economisti si sono adoperati per affrontarlo sino a quando Paul Vocker, il miglior presidente della FED della storia, lo ha risolto nel modo più semplice: l’inflazione è data dall’eccesso di crescita economica per combatterla basta rendere più caro uno degli input di questa crescita, il capitale.
Oggi il Quantitative Easing e le sue declinazioni ha lo scopo di aumentare l’inflazione e nella sostanza si tratta di stampare nuova moneta per fare in modo che le imprese abbiamo soldi da investire e i consumatori soldi da spendere, anche prendendoli a prestito a costi minori.
A proposito della politica di abbassare i tassi di interesse per far ripartire gli investimenti, Keynes diceva: “un conto è portare il cavallo al pozzo, un altro è farlo bere”. Oggi si potrebbe dire che si vuole far bere il cavallo con l’imbuto. La teoria dice che il sistema economico è fatto di due elementi: capitale e lavoro. La logica del Quantitative Easing è: metti più capitale nel motore e la macchina del lavoro ripartirà. I tassi negativi sul capitale ne sono un’ulteriore evoluzione.
Qui la logica manca un passaggio fondamentale. Esiste un attore del sistema economico che trasforma il capitale e il lavoro in iniziativa economica e, di conseguenza, in crescita: l’imprenditore. Oggi non ci mancano i soldi, anzi il cavallo è ubriaco; ci manca chi quei soldi li usa per trasformarli in impresa, iniziative, sviluppo. Di conseguenza quello che ci serve è un QuaLitative Easing: dobbiamo iniettare nel sistema economico imprenditori e non soldi.
L’Italia è un paese dove è difficile fare impresa eppure è il paese europeo dove c’è più iniziativa imprenditoriale naturale. Siamo un piccolo paese che dai tempi dei romani ha espanso i suoi orizzonti, scoperto nuove tecnologie, nuovi modi di fare impresa e, addirittura, nuovi continenti. Non sono solo vecchi fasti, oggi abbiamo grandi imprenditori di prima generazione che dimostrano che siamo ancora un paese vivo, creativo e pronto a cogliere le opportunità di sviluppo.
I banchieri centrali non sono particolarmente innovativi o amanti del rischio, ma di fronte a un contesto mai visto prima hanno osato il Quantitative Easing, che prima non era stato pensato neanche sui libri.
Noi italiani vogliamo essere meno creativi della burocrazia bancaria? Il QuaLitative Easing deve essere un programma non convenzionale, innovativo, e il più temerario della storia.
Come prima proposta si dovrebbe basare su tre elementi.
Il primo. Dobbiamo “costringere” i giovani ad essere imprenditori, che lo facciano in Italia o all’estero, dentro o fuori le aziende esistenti, in settori maturi o nuovi: basta che lo facciano. Per legge si dovrà studiare imprenditorialità in ogni scuola dell’obbligo. Una volta in Italia chi falliva non poteva votare per un po’ di tempo; facciamo che chi non si cimenta per un po’ di tempo in un’attività imprenditoriale non può votare. “Costringiamo” i giovani a conoscere la bellezza del Nostro Paese, a diciotto anni avranno visto il Colosseo, gli Uffizi, Venezia, le Alpi, il mare, la Valle dei Templi e chissà quanto altro: in termini di gusto e senso della bellezza avranno un vantaggio competitivo incommensurabile rispetto ai loro colleghi cinesi, tedeschi, americani etc. Dobbiamo essere non convenzionali: per avere il passaporto e lasciare il paese dopo i ventun anni devi presentare le prove di aver visitato almeno dieci meraviglie italiane e fatto tre stage presso un imprenditore (anche il proprietario di una piccola aziendina). Nel caso tu sia un giovane di una famiglia imprenditoriale che non prosegue la tradizione imprenditoriale devi pagare il doppio delle tasse per dieci anni.
Il Secondo. Gli imprenditori e le Famiglie Imprenditoriali devono rinunciare al loro proverbiale riserbo e spendersi in pubblico come esempi positivi. Devono andare nelle scuole e raccontare le loro storie. Alcuni lo fanno già, ma deve essere un fenomeno dirompente e di massa, come l’uomo sulla luna: il mese dopo tutti i bambini italiani devono voler fare l’imprenditore invece dell’astronauta. Ogni giovane deve aver almeno visitato con la sua classe cinque imprese accompagnato dal proprietario che gli ha spiegato come funziona, altrimenti non prende la licenza media o il diploma. Quando in un giorno un imprenditore presenta la sua azienda ad almeno cento giovani non paga tasse per quel giorno.
Il terzo. L’accademia deve creare teorie migliori che permettano di abbassare il tasso di fallimento delle start up. Oggi ne sopravvive una su cento: giocare un numero secco alla roulette è più conveniente. Si deve creare un gruppo di esperti e non scioglierlo sino a quando la teoria non ci avrà dato strumenti più efficaci. I nostri migliori studiosi devono essere costretti a studiare e risolvere problemi rivelanti per gli imprenditori e non perdersi in complesse formule matematiche che, senza ammetterlo mai, alla fine neanche loro capiscono più.
A chi queste (prime) proposte sembrano follie mi permetto di ricordare che viviamo in un’epoca in cui seri, compassati e prudenti burocrati bancari hanno avuto il coraggio di stampare dal niente enormi quantità di moneta ed immetterla nel sistema nella speranza che qualcosa succeda.
Davvero noi italiani vogliamo essere meno creativi, temerari, sognatori della burocrazia bancaria europea?