Che cos’hanno in comune i due Autori del titolo Pier Paolo Pasolini e Alberto Schiavone?
Apparentemente nulla, considerata la loro vita, i loro studi ed il fatto che Pasolini è morto nel 1975, mentre Schiavone, uno degli storici italiani più conosciuti in tutto il mondo, ha ancora di recente pubblicato il volume “Sinistra! Un manifesto” (ed. Einaudi).
Eppure la lettura del volumetto di Schiavone e la ri-lettura di quello di Pasolini, “Scritti corsari” (pubblicato nel 1975 da Garzanti), ci portano ad attuali ed inaspettate considerazioni che, almeno su un punto, avvicinano i due Autori.
Pasolini iniziò a collaborare con il Corriere della Sera nel 1973 ed i suoi articoli (interventi spesso polemici e graffianti sui temi di attualità dell’Italia di allora) vennnero pubblicati proprio nell’anno della sua morte, nel 1975, nel volume dal titolo citato. Fu proprio il Direttore dell’epoca del Corriere della Sera, Piero Ottone, a volere Pasolini tra i collaboratori, ben sapendo che gli articoli che quest’ultimo avrebbe scritto su quel giornale borghese e padronale, sicuramente non di sinistra, avrebbero suscitato reazioni irritate, deplorazione e spesso disprezzo ed insulti, come riferisce Alfonso Berardinelli nella sua prefazione.
Eppure gli articoli di Pasolini, se depurati da una certa eccessiva (almeno a chi legge a distanza di cinquant’anni da allora) “vis polemica”, ci fanno comprendere come egli descrivesse la fine dell’Italia precedente e come si fosse ormai in una piena “omologazione culturale”, che avrebbe portato ad una irreversibile “mutazione antropologica” degli italiani.
Articoli a dir poco geniali, seppur forti e controcorrente, quali quelli intitolati:
– “Contro i capelli lunghi”, cioè i “capelloni”, omologati dal Potere, dalla Tv e dalla “reclame” dei prodotti.
– “Il vuoto del potere in Italia”, a causa della scomparsa di valori del passato, quali “Chiesa, patria, famiglia, obbedienza, ordine, risparmio, moralità”, che “non contano più”.
– “gli insostituibili Nixon italiani”, ossia i notabili della Democrazia Cristiana, Andreotti in testa, responsabili, secondo Pasolini, non solo dell’”espansione economica” del Paese, ma anche di quella “rivoluzione antropologica” che ha portato a risucchiare dalla campagna milioni di contadini, cementificando quindi le città.
Una società che cambia prospettiva
Ebbene, a fronte di tutto ciò, Schiavone, da storico, esaminando la situazione a distanza di oltre cinquant’anni da allora, giunge a conclusioni analoghe, osservandole da “Sinistra!”, come afferma il titolo del suo libro. Schiavone analizza infatti le conseguenze della “straordinaria trasformazione delle società occidentali a seguito della rivoluzione tecnologica, con la fine di quella che si poteva definire l’età del lavoro e della grande industria”, con la conseguente radicale mutazione degli scenari economici e sociali di oggi.
La tesi di fondo del libro di Schiavone
La tesi di fondo del libro di Schiavone è la seguente: “questo cambiamento ha reciso per sempre le radici di classe della sinistra, che si è trovata quasi all’improvviso senza basi su cui poggiare la propria esistenza”. Anche se, va detto, tutti i segnali di ciò che stava avvenendo, a mio avviso, ce li aveva già dati Pasolini, del tutto inascoltato ed addirittura sbeffeggiato.
La scomparsa della classe operaia
Le parole di Schiavone sono chiarissime. “Il capitale ha immesso nei suoi processi produttivi tanta nuova tecnica (e innovazione scientifica), e si è orientato verso la produzione di merci così nuove – quasi tutte immateriali – da non aver più bisogno, come prima, per sostenere l’economia di mercato e quindi per realizzare profitti, di grandi quantità di lavoro manuale. Ha fatto scomparire cioè la classe operaia – o l’ha ridotta al minimo – dal cuore delle produzioni più importanti, grazie sempre alla nuova tecnica, e ha costruito un diverso rapporto con i nuovi lavori, nello stesso modo in cui l’avvento del capitale industriale aveva fatto sparire i contadini dalla scena della grande storia”.
Lavoro e produzione non sono più centrali
Ed ancora: “ha perduto drammaticamente centralità e valore il lavoro connesso alla produzione, attraverso il sistema della grande industria capitalistica, di beni materiali destinati allo scambio”. Le conclusioni di Schiavone sono nette ed impongono ai partiti progressisti scelte radicali che sinora sono del tutto mancate. Occorre “staccare definitivamente l’idea di sinistra da qualunque idea di socialismo, con la quale ogni politica progressista si era più o meno identificata sin dalla nascita: un’idea che aveva oramai il sapore arcaico del ferro, del vapore e del carbone”.
Schiavone non vagheggia…
Schiavone non vagheggia, certo, il ritorno ad un passato pre-industriale o ad una civiltà contadina che anche Pasolini aveva indicato al tramonto, ma indica una possibile via di uscita che deve però “porre al centro una nuova idea di eguaglianza – svincolata dalle rovine del socialismo e la visione di un mondo globale guidato non solo dalla tecnica e dai mercati, ma da un modello di cittadinanza oltre la cornice degli Stati”, in particolare in un’Europa veramente unita. In definitiva, pur nella loro diversità, due letture di rilevante interesse e di attualità che ci possono aiutare a riflettere, con Pasolini, sull’Italia degli anni ’50 e ’60 e, con Schiavone, su quella attuale e su quella futura.
Alessandro Re