Da decenni non seguivo il Festival di Sanremo. Martedì 11 febbraio, del tutto casualmente, mi è cascato l’occhio sulla prima serata. “Niente di che” – mi son detto. Poi è arrivato lui, con quello strano giubbotto giallo “sparluscente” e la faccia colorata di bianco. Mi son detto: “Vabbè, cose già viste”, da Renato Zero a salire salire a quella generazione di artisti anglosassoni che amavano i travestimenti sul palco e che non mi son mai piaciuti. Poi è iniziata la canzone. L’ho ascoltata e mi son detto: “Questo è diverso dagli altri”.
Ho imbracciato la chitarra e ho “tirato fuori” a orecchio su due piedi “Volevo essere un duro”, piacevolmente orecchiabile, testo intelligente. Neanche a dirlo, del tutto casualmente, parlando il giorno dopo con il Dottor Nutrizionista Marco Bernardone (cfr. “AL SUPERMERCATO COL NUTRIZIONISTA E IL GUSTO DELLE COSE”) siamo capitati sull’argomento.
Lui segue Lucio Corsi da anni e così mi ha girato dei materiali, due album. Ne sono rimasto piacevolmente sorpreso e ho cercato nel web altro materiale. Ed eccomi qua sempre più piacevolmente sorpreso. “Volevo essere un duro” affronta in sostanza lo stesso argomento di “Quelli come noi” di Claudio Lolli.
Negli anni Settanta il proposito era quello di “prendere a pugni il re e lo Stato” e il rovello era come riuscire a farlo. Oggi è una dimensione individuale a prevalere, un dilemma esistenziale tra attitudini e aspettative. Mi sono molto divertito a sentire canzoni sulla lepre che è arrivata sulla luna prima degli astronauti che ci rimangono con un palmo di naso.
Dell’amico talmente secco che il vento se lo porta via; arriva sulla luna – che ha tutti quei buchi perché glieli fa lui con la sua testa – ma non ci mette una bandiera e torna a casa ogni sera. E ancora: di che cosa sono fatte le conchiglie, chi le ha fatte e chi le colora? E lo scambio tra la terra e il mare – conchiglie contro impronte – con il dilemma di chi sarà stato a congegnare il tutto, “perché nemmeno da vecchi si sa cosa faremo da grandi” (“ci vuol scienza, ci vuol costanza ad invecchiare senza maturità” – cantava Guccini).
E così via fino a un concerto introdotto con lo stupore per i parchi recintati di Milano e con lo slogan “Alberi liberi”; al Museo di Storia Naturale di Milano con la spiegazione dell’augurio: “In bocca al lupo”… O quando spiega che il cinghiale è l’architetto delle colline perché le arrotonda con il suo muso, essendo loro in origine quadrate. Freschezza, fantasia. Mi ricorda qua e là Ivan Graziani, ma ha anche un po’ dell’altro “toscanaccio” Piero Ciampi (quando è sul registro scanzonato). Sì, è la surrealtà che mi affascina.
Detesto le canzoni che richiedono un “esegeta” per essere comprese, adoro, invece, la surrealtà. E come non pensare all’altro Lucio, Lucio Dalla, che su questo registro ha fatto cose strepitose: tra tutte, le prime cose che mi vengono in mente sono “Nuvolari” e “Intervista con l’Avvocato”. No, Lucio Battisti, invece, non c’entra niente (altra categoria, quella dei conservativi). Mi piace molto questa giovinezza progettuale, surreale, ma in realtà profonda, che non se la tira. Tutto dritto alla testa e al cuore.
Mi piace pensare a un ponte tra lui ed Emma Ruzzon, Presidente del Consiglio delle Studentesse e degli Studenti dell’Università di Padova, con il suo discorso “tosto” che si trova anche online. Eccoli qua. Speriamo che siano tanti così. “Meditate, gente, meditate”. Meditiamo.
Claudio Zucchellini