Il Presidente Frank-Walter Steinmeier stava per firmare.

Uno squillo del telefono glielo ha impedito.

La Corte Costituzionale di Karlsruhe aveva, infatti, accolto il ricorso di urgenza presentato dal Movimento Bundnis Burgerwille (l’Alleanza per la Volontà dei Cittadini) con primo firmatario l’economista e politico di destra Bernd Lucke e 2281 cittadini tedeschi che avevano aderito alla sua iniziativa No Recovery Plan.

Già, perché l’accoglimento, anche se in via provvisoria, blocca e congela l’iter procedurale previsto dalla normativa europea per la definitiva approvazione del Recovery Plan (come non ci stancheremo mai di dirlo, denominato correttamente il New Generation UE).

Secondo i rumors girati nei corridoi della Commissione Europea a Bruxelles, la decisione della Corte  ha sorpreso il governo di Berlino.

Anzi, ha rotto anche una prassi per cui, quando la Corte accoglie un ricorso di urgenza come quello presentato da Lucke, il presidente della stessa Corte e il Presidente della Repubblica si parlino informalmente prima della pubblicazione del provvedimento in modo tale da condividere i tempi per l’approfondimento del contenuto del ricorso e quindi della sua ratifica.

Stavolta, pare, che l’accordo non sia stato raggiunto e che quindi la decisione di congelare la legge di ratifica sul Recovery Plan sia giunta inaspettata al Presidente della Repubblica tedesca.

Non dovrebbe essere, comunque, uno stop definitivo ma soltanto un contrattempo che però rischia di ritardare di almeno tre mesi l’erogazione dei fondi agli stremati paesi membri, come il nostro.

Cosa è capitato in Germania?

Cosa c’è dietro questa battuta d’arresto rispetto ad una approvazione parlamentare, giunta proprio in questi giorni, addirittura stupefacente nel risultato matematico: più del 75% di voti favorevoli alla Camera (Bunderstag)  e l’unanimità addirittura al Senato (Bundesrat), la Camera dei Lender?

Come si concilia questa imprevista frenata con la strategia europea che Macron e Draghi stanno portando avanti per un aumento dei fondi a favore dei paesi membri per riparare, in qualche modo, i danni della pandemia?

Cerchiamo di capirlo riavvolgendo il nastro di questa storia.

La procedura europea di approvazione

Bruxelles potrà deliberare l’erogazione dei fondi del Recovery Plan soltanto quando tutti i 27 paesi membri avranno ratificato il piano.

Finora sono stati 16 gli Stati che hanno già dato via libera, tra questi l’Italia (il 5 marzo scorso) a cui si sono aggiunti Croazia, Cipro, Francia, Malta, Slovenia, Portogallo, Bulgaria, Spagna, Belgio, Grecia, Lettonia, Lussemburgo e Danimarca.

Ad oggi mancano dunque all’appello, oltre alla Germania, 10 Stati: Polonia, Estonia, Irlanda, Lituania, Ungheria, Paesi Bassi, Austria, Romania, Slovacchia e Finlandia.

La decisione della Corte Costituzionale tedesca rischia di modificare le previsioni di erogazione dei fondi: un anticipo del 13% era atteso per l’inizio dell’estate di quest’anno, ma, tali previsioni dovranno essere necessariamente riviste.

Il ricorso di Bernd Lucke e il precedente della Corte

Già nel maggio dello scorso anno, la Corte Costituzionale di Karlsruhe aveva contestato la proporzionalità del programma della BCE relativo all’acquisto di titoli di stato, il Quantitative Easing realizzato proprio da Mario Draghi.

La Corte di Giustizia aveva poi risolto il problema dichiarando la sua competenza esclusiva in materia di legittimità sulla normativa europea.

Il gruppo dei ricorrenti, questa volta, è promosso da una associazione di cittadini tedeschi antieuro, il Bundnis Burgerwille, guidato da Bernd Lucke, economista, fondatore del partito di estrema destra Alternative fur Deutschland, poi uscito da questa formazione per dissidi con i responsabili.

Lucke ha spiegato le ragioni del suo ricorso: “Ritengo illegale che per finanziare il Recovery Plan, la Commissione Europea si indebiti. E’ contro i Trattati, contro l’articolo 310 che impone sempre un equilibrio nelle entrate e uscite della UE. E’ contro l’articolo 311 che vieta esplicitamente alla UE di avere risorse proprie. Non a caso nella legge approvata dai parlamenti tedeschi, la possibilità che la UE si indebiti non è considerata “risorse proprie” ma “esterne”. Non hanno neanche avuto il coraggio di chiamarle “risorse proprie”!”

Angela Merkel aveva dato il proprio sostegno al progetto sul Recovery Plan, garantendo pubblicamente ai tedeschi che il piano di “Presa in carico dei debiti degli stati membri (come hanno titolato alcuni media tedeschi in questi giorni), sarebbe stato un “unicum”, irripetibile.

Una “una tantum” necessaria per l’emergenza pandemica, non il primo passo verso la realizzazione di quel disegno strategico europeo di finanziare con un debito comune le necessità dei cittadini degli stati membri europei dopo il Covid.

In Germania, soprattutto negli ambienti conservatori della CDU-CSU, c’è una resistenza mai sopita contro la cosiddetta “comunitarizzazione del debito” e il timore che i debiti altrui, quelle delle cicale come l’Italia, resti poi sulle spalle delle sagge e virtuose formiche, come la Germania.

Lucke e l’ultra destra giocano proprio su queste paure, accreditandosi il ruolo di paladini che difendono la Germania virtuosa che non vuole farsi contaminare e depredare dagli altri stati membri scialacquatori di ricchezze e bisognosi di aiuti.

Con l’intervento formale della Corte Costituzionale, la partita torna al punto di partenza.
Il sogno di replicare la lezione del padre della patria americano Hamilton (colui che ottenne qualche anno dopo l’indipendenza degli Stati Uniti d’America, la socializzazione dei debiti tra gli stati fondatori) ha subito dunque una pesante, anche se probabilmente solo transitoria, battuta d’arresto.

Le conseguenze della decisione della Corte

E’ chiaro che nel breve termine la decisione rappresenta una vittoria della destra populista e antieuropea.

Un’eventuale sentenza definitiva che dia ragione al movimento capeggiato da Lucke potrebbe dare nuovo slancio alle rivendicazioni della destra tedesca, specialmente in un paese tradizionalmente schierato contro la creazione di debito comune europeo: soltanto la pandemia ha visto la maggioranza dei parlamentari tedeschi condividere una norma come quella del Recovery Plan.

Il partito della CDU è quello che si trova nella posizione più delicata e spinosa.

La maggioranza dei cristiano democratici, infatti, è sempre stata contraria al debito europeo comune e soltanto lo scorso anno Angela Merkel è riuscita a convincere il partito a svolgere un ruolo primario nell’approvazione del Next Generation UE.

Come detto però, la Merkel ha dovuto escludere la creazione di un debito europeo stabile, sottolineando la straordinarietà della situazione post-Covid.

Diverso è l’approccio del partito degli ambientalisti, i Verdi.

Attualmente, nei sondaggi, i Verdi risultano al secondo posto per il consenso tra gli elettori e potrebbero assumere un ruolo determinante nelle prossime elezioni politiche del settembre 2021.

I Verdi sono sempre stati europeisti e hanno sempre appoggiato pubblicamente l’ipotesi di una introduzione stabile di debito comune europeo.

La decisione della Corte potrebbe quindi complicare i rapporti tra la CDU e i Verdi proprio in vista delle prossime elezioni politiche.

I socialdemocratici, da parte loro, non si sono mai battuti apertamente a favore degli eurobond anzi, il ministro delle finanze Scholz si era dichiarato all’inizio contrario al Next Generation UE.

Attualmente la SPD è guidata dal ticket Saskia Esken e Norbert Walter-Borjans che sembra condividere una maggior solidarietà europea, con la Germania in un ruolo di leadership anche nella costruzione di un debito comune.

Insomma, la decisione, anche se transitoria, della Corte Costituzionale tedesca potrebbe aprire nuovi scenari e nuove dinamiche in vista delle necessarie alleanze che scaturiranno dalle prossime elezioni politiche, le prime senza Angela Merkel.

I commenti

In questo complesso quadro relativo alle posizioni dei tre maggiori partiti tedeschi si innescano le prime dichiarazioni sulla decisione dei giudici di Karlsruhe.

Il governo – ha commentato il ministro delle finanze Holaf Scholz – è ben attrezzato per sostenere le proprie ragioni di fronte alla Corte Costituzionale. L’esperienza con altre denunce analoghe mi rende fiducioso circa il fatto che la ratifica possa essere conclusa in tempi brevi”.

Da Bruxelles un portavoce della Commissione Europea ha dichiarato “La legittimità della decisione sulle “risorse proprie” non è stata messa in discussione”.

Insomma, c’è un ragionevole ottimismo su come andrà a finire questa vicenda giudiziaria.

Appare certo, in ogni caso, lo slittamento dei tempi di erogazione dei fondi.

Gli scenari possibili

La Corte Costituzionale, come detto, potrebbe aver aperto ufficialmente la campagna elettorale tedesca, in programma tra sei mesi.

L’addio della Merkel e la ricerca del nuovo leader in un contesto di rilevante complessità interna e internazionale, caratterizzeranno il dibattito politico non solo in Germania.

La CDU potrebbe ritrovarsi, per le ragioni già analizzate, a gestire un consenso interno molto più difficile soprattutto in vista di una possibile alleanza con i Verdi, convinti europeisti e fautori della creazione di un debito comune europeo.

Potrebbe approfittarne la SPD, ancora tramortita dalle ultime sconfitte elettorali ma pronta a cogliere l’opportunità di una alleanza con i Verdi di forte stampo europeista.

Si rimescolano dunque i giochi e si aprono scenari fino all’altro ieri imprevedibili.

Certo, anche in Germania, la magistratura sembra fare supplenza alla crisi della politica.

E non è mai un bene per un paese come hanno sottolineato anche … alcuni magistrati.

Polonia e Ungheria potrebbero, poi, approfittare di questo intoppo strumentalizzandolo e rimettendo sul tavolo della negoziazione con Bruxelles il tema del debito comune.

Per Macron e per Draghi, infine, la strada verso un aumento del fondo del Recovery Plan si fa ancora più difficile e le spaccature tra i 27 stati  membri sembrano sempre più probabili.

Riccardo Rossotto

Riccardo Rossotto

"Per chi non mi conoscesse, sono un "animale italiano", avvocato, ex giornalista, appassionato di storia e soprattutto curioso del mondo". Riccardo Rossotto è il presidente dell'Editrice L'Incontro srl

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