“L’invisibile è reale. L’invisibile esiste”, scriveva l’artista francese Yves Klein. Un’affermazione che sembra risuonare nella nuova mostra di Salvatore Garau, “Corpo non Corpo”, ospitata da Spazio Roseto in Corso Garibaldi, a Milano, dall’8 aprile all’11 maggio 2025. L’esposizione, accompagnata da un testo critico di Lóránd Hegyi, è promossa da Roseto e Jarvés, due realtà milanesi che hanno fatto dell’incontro tra arte, cultura ed estetica il cuore della propria visione.
Roseto, società specializzata nella locazione immobiliare, è attiva con oltre 250 unità di proprietà nei comparti luxury, residenziale e turistico di alto profilo. Jarvés, sostenuta dalla holding Hopafin SpA, opera nel campo dell’intermediazione immobiliare di pregio, puntando su esperienza, stile e innovazione. Il progetto presenta quindici grandi tele e due video, uno dei quali inedito, che esplorano il confine tra “visibile” e “invisibile”, materia e immaterialità, corpo e spirito.
“Ospitare la mostra di Salvatore Garau è stata una scelta naturale – spiega Rocco Roggia, amministratore delegato di Roseto –. Un’opera d’arte, come un’abitazione, ha il potere di trasformare e arricchire l’esperienza di chi la vive. Vogliamo che ogni spazio dialoghi con l’ambiente, con le persone e con la cultura che lo attraversa. La nostra missione è creare una sinergia tra lusso, arte e design, rendendo l’espressione artistica parte viva del nostro patrimonio”.
“Anche durante la Milano Wine Week – aggiunge l’AD –Roseto rinnoverà il proprio impegno nel dialogo culturale organizzando una mostra all’interno dei suoi spazi e offrendo ai clienti un’esperienza esclusiva che unirà la bellezza dell’arte a una selezione riservata di vini pregiati. Un gesto di cura e raffinatezza pensato per rendere ogni momento speciale”.
Celebre per le sue opere invisibili, come “Io Sono” e “Davanti a te”, vendute all’asta suscitando grande clamore, Garau torna ad esplorare i confini tra materia e spirito. In questa intervista ci racconta il senso del progetto ed il rapporto tra arte, pensiero e intangibilità.
“Corpo non Corpo” è un titolo che già da solo suggerisce una tensione tra dualità. In che modo questa mostra mette in discussione il confine tra presenza ed assenza?
Il “non corpo” è il lato spirituale dell’uomo. Una parte essenziale della nostra identità che oggi stiamo progressivamente dimenticando. Viviamo in un’epoca in cui tutto è visibile, tutto è tremendamente esposto: il corpo viene mostrato, celebrato e poi consumato. Ma l’anima? La tensione interiore? Sono dimensioni che non fanno più notizia. È proprio questa parte immateriale, invisibile a renderci umani: ci consente di resistere, di immaginare, di dare senso a ciò che ci circonda.
Ed è anche la parte più fragile, quella che si perde più facilmente. La vera arte ha il compito di ricordarci che esiste anche ciò che non si vede. Io stesso trovo molto più interessante ciò che non colgo con gli occhi, il non detto, il non mostrato. Oggi noto attorno a me, soprattutto nei giovani, un vuoto crescente. Non c’è più passione, non c’è partecipazione, è come se tutti avessimo smesso di cercare. Ma l’arte può ancora riportarci al centro, può ridare valore a ciò che è invisibile ed essenziale.
Nei suoi lavori spesso è proprio ciò che non si vede a generare senso. Che ruolo ha per lei l’invisibile nel processo creativo e nella percezione dell’opera?
L’invisibile, per me, è la zona più fertile dell’arte. È ciò che tiene in tensione l’opera, che ne fa un enigma, una promessa non del tutto svelata. Mi interessa più ciò che manca che ciò che è presente, perché è lì che lo spettatore entra in gioco. È lì che l’opera vive davvero.
Amo evocare più che mostrare, suggerire invece che definire. La pittura è materia, certo, ma è anche tempo, vibrazione e distanza. Nei miei lavori cerco sempre un punto in cui l’immagine si sfalda, diventa soglia, respiro. È in quel momento che l’opera smette di essere un oggetto e diventa esperienza. Ecco cosa rappresenta per me l’invisibile: uno spazio di possibilità.
La sua pittura è un po’ materica e un po’ sfuggente. Come lavora tecnicamente?
La pittura nasce nel momento stesso in cui la realizzo perché ogni volta che ho provato a progettarla con dei disegni preparatori li ho sempre stravolti. È il gesto, il movimento, l’errore ciò che davvero mi interessa. Io decido come muovere la materia ma allo stesso tempo le lascio una certa libertà: spesso è proprio da lì che arrivano le sorprese più belle.
Quando dipingo sui teloni in PVC provenienti da ex pubblicità mi piace che la memoria delle immagini sottostanti continui a vivere e perché questo accada la preparazione con il gesso può anche essere trasparente: non voglio cancellare del tutto la storia della superficie. Nelle mie composizioni cerco di raccontare il mondo che mi circonda, non attraverso slogan o messaggi espliciti, bensì con la poesia dell’arte che nasconde in sé il vero messaggio, quello più potente. Voglio creare uno spazio in cui lo sguardo possa perdersi o ritrovarsi. La pittura deve restare viva e aperta; deve sorprendere anche me mentre dipingo.
Cosa resta quando smettiamo di guardare con gli occhi?
Resta la parte più bella, quella che sogni, che immagini, che porti con te anche quando dormi. Quando smettiamo di guardare con gli occhi iniziamo a vedere davvero. Un’opera invisibile è un pensiero che prende forma nella tua testa, anche se non esiste materialmente. È un’immagine che ti accompagna che si insinua dentro di te. Ricordo che durante la pandemia un ragazzo di sedici anni mi scrisse che tra le migliaia di immagini viste ogni giorno l’unica che gli era rimasta impressa era la mia scultura invisibile. Incredibile, quella che non aveva mai visto! Questo è il potere dell’arte. A volte è proprio ciò che non si vede a lasciarci un segno più profondo.
Lei ha affermato che in un mondo dominato dall’intelligenza artificiale l’arte può ancora rivelare ciò che è irripetibile. Cosa non potrà mai imitare un algoritmo?
L’intelligenza artificiale è, a mio avviso, la più grande minaccia che l’umanità si stia autoinfliggendo. È comoda, certo. L’AI può imitare tutto: i miei quadri, la mia scrittura. Ma non potrà mai generare l’imperfezione. Non potrà mai creare un’opera perché la “sente” o perché ha bisogno di esprimere qualcosa. Non conosce il dolore, né tantomeno l’emotività. Soprattutto non possiede l’immaginazione che è la vera radice della creatività. L’arte, quella autentica, nasce da una tensione interiore, da una mancanza, da una ferita: è lì che risiede ciò che è irripetibile. Tutto questo nessuna macchina potrà mai riprodurlo.
Progetti per il futuro?
Sì, realizzerò una scultura monumentale nel mio paese natale, in Sardegna, nel Golfo di Oristano. Sarà la testa di una gigantesca anguilla, simbolo della mia terra, che completerà un’opera pubblica iniziata anni fa. È una storia nata quasi per gioco, da una battuta ma nel tempo è diventata leggenda popolare. Ed ora sta per diventare realtà. Poi ho molti altri progetti che ancora non posso svelare…
Martina De Tiberis