E adesso? Dopo oltre due mesi di una tragedia implementata quotidianamente e con una distrazione generale in preoccupante aumento, dove ci stiamo avviando?
Ci raccontano di una guerra lunga, di una “guerra totale” dal 9 maggio: di una “guerra permanente”, come l’ha definita il prof. Pellicciari dopo aver preso atto della vittoria della corrente dei militari all’interno del Cremlino. Ci narrano di un sistema economico russo che non reggerà. E di un sistema economico occidentale che ne pagherà un prezzo altissimo, soprattutto per noi europei. Pochi si illudono di una pace a breve: pochissimi, almeno apparentemente, si occupano di lavorare per la pace.
L’ONU, latitante nei primi due mesi di questa catastrofe, si muove improvvisamente con il suo massimo esponente, il segretario generale Gutierrez. Cerca di riacquistare dignità e posizionamento internazionale. In realtà si esibisce in una figura meschina, da dilettante allo sbaraglio, fragile e con scarsa professionalità, in un momento essenziale anche per il futuro dell’organizzazione che rappresenta.
…e l’ONU sta a guardare
E’ stato anche “bacchettato” in pubblico, durante una riunione ufficiale delle Nazioni Unite, dall’avvocato Amal Clooney, esperta in questioni internazionali: “L’ONU ha delle responsabilità enormi per non aver fatto nulla quando ogni giorno venivano commessi crimini efferati. Questa latitanza ha creato negli invasori russi la convinzione di poterla “fare franca!”.
Biden, da parte sua, alza la tensione ogni giorno, aumenta in modo smisurato il budget dedicato agli armamenti per l’Ucraina. Putin sembra quasi vivere “fuori dalla mischia”. Prosegue senza esitazioni nel suo progetto (quale?) minimizzando delusioni militari e ristrettezze economiche e alzando il livello dei decibel delle minacce contro i nemici occidentali. I cinesi stanno alla finestra, alternano appoggi a Putin con momenti, invece, di auspici per la pace. Stanno osservando la situazione in Ucraina per fare esperienza in vista di un possibile bis a Taiwan. Bruxelles punta a gestire la coesione, insperata, tra i suoi membri ma non riesce a prendere il pallino di una interlocuzione costruttiva con Mosca che apra speranze di dialogo.
Un caos totale, insomma, dominato da egoismi, miopie o folli disegni imperialisti. Da una informazione tamburellante, spesso fondata sulla propaganda. Da una complessità politica, militare ed economica sconosciuta e irta di difficoltà anche per leadership attrezzate ed esperte. Figuriamoci con quelle che attualmente governano il mondo.
Come poter essere quindi fiduciosi, ottimisti e positivi nell’affrontare, ciascuno nel suo campo, questa ennesima, drammatica crisi mondiale dopo quella pandemica?
Exit Strategy ad ogni costo
Per cercare di aiutare le nostre riflessioni, i nostri pensieri, i nostri sforzi tesi ad individuare una possibile Exit Strategy, abbiamo messo insieme un po’ di pezzi di questo spaventoso puzzle. Apparentemente irrisolvibile. Ne è venuto fuori un quadro che speriamo possa offrirci elementi per confrontarci con una realtà vischiosa, confusa, a rischio di portarci davvero verso il baratro nucleare.
O, forse, anche, soltanto, verso conflitti interni, delle nostre comunità, tra coloro che credono si stia combattendo una guerra in Ucraina, quindi lontano da noi, ma combattuta per la libertà di tutti. E coloro che ritengono, invece, che soprattutto noi europei e noi italiani dovremmo uscire da un appiattimento bovino rispetto alle logiche speculative degli americani. Cercare strade diverse ed autonome per “costringere” Mosca e Kiev ad aprire un vero tavolo negoziale con una tregua d’armi e uno stop ai massacri che stanno uccidendo migliaia di innocenti. Non sottovalutando mai, nel contempo, che per aprire una trattativa bisogna essere almeno in due a volerla. Magari aiutati da un terzo, mediatore indipendente.
Democrazie occidentali o autocrazie orientali per il futuro?
Dobbiamo infine porci qualche domanda sul futuro del Villaggio Globale, nato circa vent’anni fa e, per molti analisti, morto proprio in questi giorni sotto i bombardamenti russi. Ci aspetta una nuova Yalta, con una cortina di ferro per dividere “gli stati amici e gli stati nemici”. Oppure una nuova Helsinki, con un accordo generale sulla demilitarizzazione del mondo? Ci aspetta un nuovo equilibrio mondiale non più governato dalle democrazie occidentali ma dalle autocrazie orientali o un nuovo patto mondiale nel rispetto delle nuove mappe post-guerra nelle geopolitiche del pianeta?
Cosa sta succedendo a Mosca?
Secondo gli intelligence occidentali c’è stato nelle scorse settimane un violento scontro ai vertici del potere sulla guerra e sui suoi obiettivi. Si sono confrontate con toni molto forti due correnti di pensiero. (i) Quella moderata che ritiene opportuno dopo la conquista del Donbass di proporre a Kiev e a tutto l’Occidente un accordo di cessate il fuoco nei termini desiderati dalla Russia quindi con il riconoscimento dell’ammissione della Crimea e dell’indipendenza della repubbliche di Donetsk e Lugansk. A corredo un impegno di Kiev alla neutralità e demilitarizzazione.
(ii) L’altra corrente di pensiero, molto più fondamentalista, punta non solo al Donbass ma a conquistare l’intera Ucraina sud-orientale. Compresa Odessa. In questo modo si toglierebbe a Kiev ogni accesso al mare stabilendo, nel contempo, una continuità territoriale sotto il presidio russo dalla Crimea fino alla Transnistria.
Questa corrente di pensiero immagina quindi un conflitto permanente fino al raggiungimento di questo risultato senza alcun timore per i costi militari, politici ed economici di questo progetto. Secondo i report redatti sempre dagli intelligence occidentali, pare stia prevalendo la corrente fondamentalista, con i militari che hanno messo le mani sul potere relegando ad un ruolo di comprimari i manager, i politici e gli oligarchi. Quando potrà durare quindi la guerra? “Tutto il tempo necessario per poterla vendere all’elettorato russo come una vittoria”, ha dichiarato un oligarca russo al Times.
Le sanzioni economiche sono efficaci? Il trucco di Mosca
Finora i risultati sono stati come previsto abbastanza marginali. Molti Stati hanno adottato le triangolazioni con paesi terzi per continuare i loro affari con Mosca. Indubbiamente è stata brillante, dal suo punto di vista, l’idea di Putin di richiedere il pagamento del gas russo in rubli. La decisione ha creato un notevole sconcerto tra li operatori scatenando delle reazioni diverse che rischiano di rompere il fronte della coesione. Mentre si stanno valutando delle adeguate reazioni sia giuridiche sia economiche, il prezzo del gas continua a salire con ripercussioni quotidiane sull’economia reale. E in più il rublo guadagna terreno nei confronti di euro e dollaro. Siamo al paradosso che le sanzioni che avrebbero dovuto piegare la Russia iniziano a ritorcersi contro l’Europa e, nella sostanza, alimentano l’arsenale militare ed economico del Cremlino.
La Cyberguerra in atto
Di questo conflitto se ne parla poco e soltanto quando siamo improvvisamente di fronte a dei blackout informatici che bloccano i nostri sistemi. In realtà, davanti ai nostri occhi, si sta combattendo una vera e propria cyber-guerra caratterizzata da continui raid informatici (237 dall’inizio del conflitto) effettuati dai russi contro strutture strategiche ucraine e degli alleati occidentali. Alcuni di questi attacchi sono stati indirizzati verso centrali di energia e di comunicazione. Altri invece hanno avuto come obiettivo la disinformazione pura con lo scopo di manipolare gli utenti creando un ambiente ostile per il governo ucraino verso la propria popolazione.
L’informazione di guerra è da sempre una informazione caratterizzata dalla propaganda. Nessuno degli antagonisti ammette le sue sconfitte e parla solo delle sue vittorie. Quello della cyberguerra è un fronte nuovo che potrebbe diventare decisivo e che gli occidentali non possono sottovalutare onde evitare guai peggiori.
Nell’ultima riunione del G20, la segretaria al Tesoro degli Stati Uniti, Janet Yellen, è stata molto chiara nel dipingere la fotografia del mondo che ci aspetta. Una nuova Yalta che distingue il mercato degli amici che condividono gli stessi valori e gli altri, i cattivi, che invece li combattono.
Friend – shoring, fine della globalizzazione?
La Yellen nel suo discorso ha lanciato un nuovo neologismo, il “friend-shoring” che significa una rilocalizzazione delle produzioni negli Stati amici e non più genericamente in paesi terzi con il costo del lavoro minore e degli incentivi maggiori. Secondo la segretaria al Tesoro americana dobbiamo fare in modo che le nostre economie non si trovino mai più a dover dipendere da Nazioni ostili ai valori fondamentali dell’Occidente. Circa vent’anni fa nasceva il Villaggio Globale e cioè una nuova concezione del mercato senza confini che doveva agevolare i traffici e far crescere la ricchezza in tutto il mondo. Abbiamo sotto gli occhi tutti come è andata a finire. Effettivamente si è creata una ricchezza nuova e mai vista prima, ma le redistribuzioni di tale ricchezza sono state inique e hanno privilegiato soltanto qualcuno.
Delocalizzazione, andata e ritorno
In più, anche per la miopia degli Occidentali, il processo di delocalizzazione delle fabbriche nei paesi terzi, ci ha messo nella condizione di diventare schiavi di certi componenti, come i microchips, essenziali per il nostro sistema economico. Potremo dunque trovarci di fronte ad uno scenario in cui le grandi multinazionali occidentali rilocalizzeranno le loro fabbriche nei propri territori o comunque in Paesi amici, ricreando magari l’opportunità di migliaia di nuovi posti di lavoro.
Federico Rampini, proprio in questi giorni sul Corriere della Sera, ragionava sulle riforme necessarie per valorizzare questo nuovo trend di sviluppo post-guerra. “Lo Stato dovrà pianificare – scriveva Rampini sintetizzando una visione progressista della riforma necessaria – questo smantellamento della globalizzazione, il che significa che per certi aspetti dovremo assomigliare un po’ di più a quei sistemi dirigisti che governano i nostri avversari”.
Visto invece da destra, secondo Rampini, “Lo Stato deve ritirarsi, smantellare la burocrazia e alleggerire le tasse, affinchè l’Occidente torni ad essere una terra accogliente per le tante imprese che fuggirono ad investire in terre lontane. Il “friend shoring” se perseguito seriamente è una rivoluzione, o una contro rivoluzione, con l’inevitabile corredo di vincitori e perdenti”.
Riccardo Rossotto