Le Comunità cristiane di Base contestano la posizione dei cappellani militari nelle Forze Armate dello Stato italiano. La polemica è insorta con la “lettera aperta” che le Comunità di base hanno inviato al presidente della Conferenza Episcopale Italiana (CEI) cardinale Gualtiero Bassetti, chiedendo alla Chiesa cattolica di “rinunciare ai privilegi del Concordato soprattutto per quanto riguarda i cappellani militari inseriti con i gradi della gerarchia delle Forze Armate e quindi stipendiati dallo Stato, a seconda della posizione ricoperta, a cominciare dal vescovo ordinario militare (attualmente mons. Santo Marcianò), che è generale di Corpo d’armata”.
A noi – sostengono le Comunità cristiane di Base – sembra infatti antievangelico benedire uomini che impugnano armi. Papa Francesco parla della follia della guerra e dell’ipocrisia di quanti parlano di pace con le armi in pugno.
Il quotidiano cattolico Avvenire ha replicato osservando che i cappellani militari sono figure di sacerdoti al servizio degli uomini e delle donne in divisa, cioè di coloro che, secondo il Concilio, possono essere considerati “ministri della sicurezza e della libertà dei popoli e, se adoperano il loro dovere rettamente, concorrono anch’essi alla stabilità della pace”. Non esistono forse i cappellani delle carceri e degli ospedali?
In realtà le Comunità cristiane di Base mirano alla smilitarizzazione dei preti – soldato affinché siano soltanto sacerdoti senza essere anche soldati, cioè preti con le stellette. Senza dimenticare l’incitamento all’attacco del nemico in battaglia, agitando il crocifisso in trincea come faceva padre Giuliani nell’ultima guerra, le Comunità cristiane di Base deplorano il disegno di legge approvato dal Consiglio dei Ministri il 13 febbraio scorso, che anziché riformare, conferma la struttura dell’Ordinariato militare e le funzioni dei cappellani militari che resteranno preti – soldati con i gradi e verranno pagati in quanto militari a tutti gli effetti.
Bruno Segre