“Di tutti gli avvenimenti pubblici che hanno vasti effetti, vediamo al massimo solo una fase e un aspetto. (…) Inevitabilmente le nostre opinioni coprono uno spazio più ampio, un tempo più lungo, un numero maggiore di cose di quanto possiamo direttamente osservare. Debbono, perciò, essere costruite sulla base di ciò che ci viene riferito da altri, e di ciò che noi stessi riusciamo a immaginare”.

Ciò che spinge il giornalista statunitense Walter Lippmann a riflettere così in Public Opinion, libro scritto quasi un secolo orsono e ancora oggi attualissimo, è un fatto curioso. In un’isola sperduta nell’oceano, da tempo immemore convivono francesi, inglesi e tedeschi. L’unico collegamento con il continente europeo è un vaporetto che batte bandiera britannica e raggiunge quel pezzo di terra in media una volta ogni due mesi. Quando approda sul molo in un giorno soleggiato di metà settembre del 1914, la variegata popolazione isolana scopre d’improvviso l’impensabile: nelle quasi sei settimane trascorse dalla fine di luglio, sull’isola hanno convissuto in pace e amicizia tre popoli in guerra, inglesi e francesi, da una parte, e tedeschi, dall’altra.

Cent’anni dopo, l’era della comunicazione social ha accorciato quelle sei settimane a sei decimi di secondo, ma il principio cui Lippmann allude non è stato minimamente intaccato, semmai si è ingigantito. Siamo, infatti, tutti consapevoli di quanto al giorno d’oggi non sia possibile sfuggire ai media, filtri potentissimi da cui dipendono – per larga parte – l’idea del mondo in cui viviamo e le esperienze che facciamo. Ciò che definiamo «realtà», anche questo ormai è abbastanza chiaro, non è un dato esogeno e oggettivo in senso assoluto ma è il prodotto di una fitta rete di processi soggettivi, storici e sociali di costruzione della realtà, i cui esiti possono differire in maniera molto significativa, nel tempo e nello spazio, a seconda delle caratteristiche personali dell’attore e del contesto socio-culturale nel quale è inserito.

L’apporto che Quaerys, startup dell’Università di Torino attiva nel campo dei Big Data e dell’Intelligenza Artificiale in ambito semantico, è onorata di fornire al nuovo L’Incontro trae la sua ragion d’essere nei principi sin qui schematicamente richiamati: studiare l’opinione pubblica oggi è apparentemente alla portata di tutti, grazie allo “tsunami di dati” generati ogni istante da miliardi di utenti iperconnessi. Tuttavia, trasformare questa enorme quantità di materiale grezzo in dati attendibili richiede un apparato tecnologico robusto e un metodo scientifico rigoroso. Serve, detto altrimenti, una bottega allenata allo sguardo sociologico. Questo faremo per le nostre lettrici e i nostri lettori in questo spazio, con cadenza mensile: surferemo il web per tastarne l’umore, misureremo la salienza dei temi in agenda e vi daremo conto delle forme che il dibattito pubblico online andrà di volta in volta assumendo. Qualcosa di più, però, di una dettagliata fotografia del presente (comunque non poca cosa da realizzare). Useremo, infatti, il patrimonio delle teorie sociologiche per provare a comprendere le traiettorie delle tendenze intercettate in Rete e gli effetti che tali movimenti potrebbero avere sul modello di democrazia che i Padri costituenti hanno edificato sulle macerie del Secondo conflitto mondiale.

Giuseppe Tipaldo

Ricercatore e docente universitario dell'Università di Torino. Fondatore di Quaerys. Autore del libro "La società della pseudoscienza".

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