Il nuovo provvedimento della Commissione Europea, denominato “Bussola per la competitività”, presentato il 29 gennaio, nasce vecchio, sembra già arrugginito, altro che piano efficace. Ursula von der Leyen si è ispirata alle raccomandazioni del Piano Draghi, ma il risultato è una serie di linee guida vaghe e inconcludenti che fanno sembrare il terzo mercato più grande del mondo una startup in cerca di finanziamenti. I vantaggi decantati – riduzione della burocrazia, sovranità economica e industriale, investimenti in innovazione, acquisti congiunti di materie prime – rischiano di essere poca cosa rispetto alle criticità abilmente sottaciute: mancanza di strumenti concreti, rischio di deregulation, dipendenza dal settore privato, possibili tensioni all’interno dell’Unione Europea.

L’uso del linguaggio tipico del mondo aziendale per descrivere le politiche economiche di un continente, operazione fumosa che può solo scaldare l’anima dei finti liberali da tastiera, dimostra quanto l’Europa sia stata privata della sua sovranità.

La verità è che chi governa l’Unione Europea non governa niente: le regole del gioco vengono decise a Wa(ll)shington Street, mentre Bruxelles si limita a eseguire gli ordini. L’unico margine di manovra rimasto è decidere a chi far pagare il conto, e von der Leyen ha già dimostrato che non intende certo colpire i grandi capitali.

Il suo piano per la competitività non prevede incentivi reali né un serio piano di investimenti pubblici, ma solo deregolamentazione selvaggia. Si chiama “sburocratizzazione”, ma nella realtà il rischio che sia uno smantellamento delle tutele sociali e ambientali è molto alto.

Mentre Trump chiede all’Europa di aumentare l’importazione di petrolio e gas liquido statunitense, Bruxelles esegue senza battere ciglio. Il risultato? A gennaio le importazioni di gas liquido dagli Stati Uniti hanno raggiunto il loro massimo storico, con l’Europa che paga il combustibile 4,5 volte il prezzo riconosciuto a Gazprom. Un suicidio economico mascherato da strategia politica.

Anche i socialisti europei hanno espresso critiche sul piano di von der Leyen, ma si tratta solo di facciata. La verità è che l’Europa avrebbe bisogno di un piano di investimenti pubblici senza precedenti, finanziato con capitale europeo e con misure di protezione contro la fuga di capitali. La “Bussola” non dice da dove arriveranno i 750-800 miliardi di investimenti annui fino al 2030 ipotizzati da Draghi per rilanciare la competitività europea, si limita a ricordare che ci sono 300 miliardi di risparmi Ue che ogni anno vengono investiti al di fuori dei confini dell’Unione. Invece di sporcarsi le mani con una radicale riforma fiscale, l’Europa spera che sia il mercato a credere nelle buone intenzioni di Draghi e von der Leyen.

Il 2025 si è aperto con dati economici disastrosi per l’Europa: stagnazione del PIL, calo della produzione industriale e una cassa integrazione che ha superato i livelli pre-pandemia. In Italia, la narrazione del “boom occupazionale” si scontra con la realtà di lavoretti sottopagati e precari, mentre Francia e Germania non se la passano meglio, con una crescita negativa.

A partire dal 5 febbraio, la BCE ha modificato ancora i tassi di interesse, ma con la FED che mantiene i tassi invariati e non ha alcuna intenzione di assecondare Trump, l’Europa non può permettersi riduzioni significative. Il problema, ancora una volta, è la libera circolazione dei capitali: con gli USA che offrono interessi vicini al 5% sui loro titoli di Stato, chi mai investirebbe in un’Europa senza una strategia economica credibile?

Mentre l’Europa continua ad arrovellarsi sul quesito se le decisioni debbano essere prese all’unanimità o a maggioranza, la Cina ha saputo reagire all’embargo imposto dagli USA con una crescita esponenziale nel settore dell’intelligenza artificiale e della tecnologia. DeepSeek e altri modelli di intelligenza artificiale cinesi hanno superato i competitor americani, dimostrando che l’egemonia statunitense è tutt’altro che imbattibile. La “Bussola” dedica un’attenzione particolare al tema dell’intelligenza artificiale, con l’obiettivo di posizionare l’Europa come attore di rilievo in questo settore strategico. Cioè, mentre l’Europa costruirà le “Fabbriche AI”, infrastrutture di calcolo specializzate nell’addestramento di modelli AI di grandi dimensioni, la Cina rende disponibili su internet applicazioni di intelligenza artificiale al costo annuale di una “pizza e birra”. E pensare che il web, dal quale è nata la rivoluzione digitale, ha visto la luce in Europa – al Cern di Ginevra – nel 1989! Abbiamo impiegato 36 anni per decidere che l’Europa deve (cercare di) posizionarsi come attore di rilievo nel settore strategico dell’intelligenza artificiale!

La sconsolante conclusione è che la Bussola per la Competitività ha intenti apprezzabili, ma resta scollegata dalle realtà sociali ed economiche dei Paesi membri, Italia inclusa. Le imprese italiane affrontano crisi continue e una concorrenza spietata che rendono difficile pianificare il futuro in condizioni simili. La “Bussola” potrebbe essere un passo nella giusta direzione per rafforzare l’industria europea e renderla più resiliente, ma perché questo avvenga è necessario che si imponga la capacità di renderla operativa, evitando compromessi che minerebbero gli standard europei o creare divisioni tra i Paesi membri.

È sacrosanto perseguire l’obiettivo che l’Europa sia il luogo in cui le tecnologie, i servizi e i prodotti puliti del futuro vengono inventati, prodotti e immessi sul mercato senza i famigerati lacci e lacciuoli della burocrazia, ma elevato è il rischio che la “semplificazione burocratica” si traduca in un abbassamento degli standard ambientali e sociali (come temono ambientalisti e sindacati) e che alcuni paesi membri possano approfittare della deregolamentazione per attrarre investimenti con politiche meno rigorose, per esempio basate su salari più bassi. Serve un equilibrio tra semplificazione e tutela dei diritti che nella Bussola non è chiaramente specificato.

È infine da rilevare che le probabilità che ci sia una effettiva collaborazione tra Stati membri e istituzioni europee è tutta da dimostrare perché, parafrasando Massimo D’Azeglio, “abbiamo fatto l’Europa, ma non ancora gli europei”.

Forse è per questo che la “Bussola” non è un atto legislativo vincolante, ma una comunicazione che definisce gli obiettivi e le azioni prioritarie per rilanciare la competitività europea. Il documento è indirizzato a tutte le istituzioni e a tutti gli attori che hanno un ruolo nella definizione e nell’attuazione delle politiche economiche europee e cioè al Parlamento europeo, al Consiglio europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo, al Comitato delle regioni. Ma è rivolto anche alle parti sociali, alle imprese e alle diverse autorità nazionali, regionali e locali. Che ognuno lo usi nel modo migliore!

Mario Grasso

Mario Grasso

Mario Grasso, laureato in Scienze Sociali, giornalista pubblicista, un passato da manager aziendale e saggista, un presente da scrittore di narrativa

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