Siamo giustamente tutti concentrati sul come spendere “bene” gli oltre 200 miliardi di euro in arrivo con il Next Generation UE.
Pochissime voci hanno, invece, avuto l’ardire di occuparsi di come restituiremo questo enorme debito, già rilevantissimo prima della pandemia e oggi arrivato a livelli mai visti prima.
Christine Lagarde ha annunciato che il programma di emergenza di acquisto dei titoli di Stato, lanciato con l’inizio della pandemia nel marzo 2020, verrà esteso sino al marzo 2022 con una dotazione rafforzata sino ad altri 500 miliardi di euro.
Dunque il nostro Paese deve impostare un programma di rientro che tenga conto che fra 16 mesi la BCE potrebbe interrompere l’acquisto delle emissioni dei nostri titoli di stato.
Mario Draghi nel suo recente e magistrale intervento sul Financial Times ha sottolineato come l’indebitarsi in un momento come quello che stiamo vivendo non è di per sé negativo: dipende da che tipo di debito si assume.
Se il debito è un “debito buono” mirato a poter effettuare investimenti in attività con margine, la possibilità di restituzione è possibile e il debitore potrà aumentare la sua crescita grazie a quel indebitamento.
Se il debito invece è un “debito cattivo” che serve soltanto a coprire il deficit di cassa e non degli investimenti produttivi, tale indebitamento non può che nuocere al Paese, peggiorando la sua sostenibilità e la sua credibilità sui mercati internazionali.
Proviamo, dunque, a fare un breve ma auspicabilmente chiaro, quadro della situazione perché il mio dubbio è che il debito non sia, in questo momento, un problema nella mentalità del nostro governo.
Si sentono in giro commenti del tipo “In qualche modo il tema si risolverà”.
O perché siamo troppo grandi per farci fallire (in inglese “Too big to fail”) oppure perché tra il costo del denaro che non aumenterà nei prossimi anni e la crescita del PIL che ritornerà ad avere un segno positivo, l’Italia, il debito, o meglio la restituzione del debito, la gestirà al meglio.
Vediamo se tale ottimismo sia giustificato oppure … pericolosissimo!
Oggi il debito pubblico italiano è pari a circa il 160% del PIL.
Certo, costa molto poco rispetto al passato e in parte ha addirittura un interesse negativo.
Certo, come detto, la BCE ha confermato che continuerà a comprare i nostri titoli di stato ma dall’aprile 2022 cosa succederà sui mercati?
Qualcuno, per fortuna, si sta occupando di pianificare misure atte a diminuire lo stock di debito esistente, spalmandolo per un certo numero di anni.
“Tutti i paesi – ha scritto, in questi giorni Fabio Panetta, membro del Comitato Esecutivo della BCE – usciranno dalla crisi con i debiti pubblici e privati significativamente più alti; per garantire la sostenibilità è cruciale conseguire tassi di sviluppo dell’economia superiori ai tassi di interesse. A tal fine, le politiche di bilancio devono concentrarsi sui progetti di investimento di alta qualità, in grado di innalzare la crescita”.
Anche l’ex Ministro del Tesoro, Domenico Siniscalco è dello stesso avviso di Panetta: “A prescindere dai modi di riassorbire il debito senza contraccolpi – ha scritto Siniscalco – non c’è dubbio per la sua gestione serva una solida crescita economica. Su questo piano ci sono fattori strutturali che vanno tenuti d’occhio. Il primo fattore è l’evoluzione nel tempo del virus e della nostra capacità di gestirlo. Il secondo è come le banche centrali gestiranno il debito e su questo a Washington e a Francoforte è in atto un dibattito, che è presto per anticipare. Il terzo fattore è l’evoluzione delle tecnologie e l’organizzazione della produzione e del lavoro. Il quarto è il tema della disuguaglianza destinata a crescere e la questione della protesta. L’ultimo fattore, non certo in ordine di importanza, è il tema degli scambi internazionali … in Italia, oggi, del commercio internazionale si discute troppo poco. Ma senza export il nostro Paese si pianta”.
Quali possono essere le condizioni per intraprendere concretamente una strada di crescita?
Francesco Giavazzi, sul Corriere della Sera, ne ha individuate tre di precondizioni per sperare in una crescita che faccia svoltare positivamente l’economia del nostro Paese.
1. Dobbiamo preliminarmente far fronte alla diminuzione della popolazione attiva, quella in età lavorativa: “Entro il 2032 il numero di persone di età compresa tra i 15 e i 64 anni – sostiene Giavazzi – diminuirà del 6%. Come ha osservato il governatore Visco, il calo proseguirà accentuandosi nei decenni successivi… Senza lavoro non si cresce. Oltre che dal riassorbimento della disoccupazione, queste tendenze vanno contrastate con politiche immigratorie lungimiranti e con l’allungamento della vita lavorativa”.
2. La seconda precondizione per il professore della Bocconi è la produttività. Per riportare il tasso medio di crescita del PIL all’1,5% registrato nei 10 anni precedenti la crisi del 2008, nel prossimo decennio la produttività del lavoro dovrebbe crescere di circa lo 0,8%, il doppio di quella attuale.
3. Infine la scuola “Perché produttività – scrive Giavazzi – significa capitale umano prima ancora che capitale fisico. Ci sono ragazze e ragazzi che da 10 mesi non tornano a scuola e ora temono che le aule non riaprano neppure dopo l’Epifania”.
Secondo Giavazzi proprio da qui, bisognerebbe ripartire destinando le risorse del Next Generation UE a queste tre aree di maggior fragilità della nostra economia.
Il filosofo Massimo Cacciari ha affrontato il tema del debito in modo diverso.
Dopo aver manifestato tutta la sua preoccupazione sul fatto che nessuna forza politica si stia ponendo il tema del rimborso del nostro colossale debito pubblico, Cacciari ha indicato tre strade, a suo avviso possibili se VOLUTE davvero dalla nostra partitocrazia in cerca sempre di facili consensi a breve e non in possesso di una visione a medio e lungo termine.
Ascoltiamo dunque Cacciari e le sue proposte di ripagamento del debito.
1. “In Italia il patrimonio privato – ha scritto il filosofo veneto – ammonta a circa 10 mila miliardi di euro. Il 70% è in mano al 20% dei suoi detentori. Togliamo prime case e patrimoni finanziari sotto una certa cifra. Un intervento sui 4-5 mila euro appare più che praticabile e potrebbe fruttare non meno di 30 miliardi di euro e cioè l’equivalente di una manovra finanziaria in tempi normali”.
2. “Abbiamo poi 1000 miliardi di crediti erariali già sottoposti ad azioni cautelari o esecutive. Non si tratta di condoni ma di evitare che i contenziosi vadano alle calende greche, e liberare personale e mezzi per lottare davvero contro l’evasione, facendo finalmente emergere chi si è abilmente nascosto ai radar dell’Erario, grazie anche all’illeggibilità delle nostre leggi. Se si pensasse ad una sanatoria nell’ordine del 30% almeno 100 miliardi si potrebbero ottenere”.
3. “E poi perché non pensare – ha completato la sua proposta Cacciari – ad istituire un Fondo senza interesse, con un premio “morale” che potrebbe comunque essere riconosciuto in sede di dichiarazione dei redditi attraverso una detrazione proporzionale all’ammontare della cifra sottoscritta? I conti correnti hanno oggi un rendimento sottozero; perché, allora, se sostenuto dalle autorità morali e culturali che in questo Paese pure ancora dimorano, tale Fondo non dovrebbe avere successo?”.
Mi permetto di aggiungere, in chiusura di questa panoramica, una riflessione sul punto 2 evidenziato dalla proposta Cacciari.
Lo strumento più semplice e oggi realizzabile davvero per diminuire lo stock del nostro debito è proprio costituito dall’adozione, non a parole ma con i fatti, di una efficiente politica contro l’evasione fiscale.
Esistono tutti gli strumenti informatici che possono consentire alla nostra Agenzia delle Entrate di incrociare le banche dati con le nostre dichiarazioni dei redditi e con i dati relativi alle nostre proprietà immobiliari e mobiliari.
Basterebbe usarle affidandole a professionisti esperti, incentivati a realizzare la riduzione dell’evasione fiscale nel brevissimo e nel breve termine.
Si parla di 100-120 miliardi di euro che sfuggono ogni anno, come dice Cacciari, ai radar dei nostri controllori.
Archiviamo l’epoca dei blitz mediatici e concentriamoci sulla valorizzazione dei software e delle tecnologie dell’Intelligenza Artificiale per costruire una piattaforma che permetta al nostro Paese di far diminuire una disuguaglianza ormai inaccettabile e vergognosa: la disparità di partecipazione sociale tra i cittadini che pagano regolarmente le loro imposte e quelli che abitualmente le evadono completamente o comunque in parte.