Se c’è un inglese che ha dato e continua a dare tantissimo alla Riviera, questo è Clarence Bicknell.
La stella di Clarence continua a brillare a un centinaio di anni di distanza, lucente e indifferente allo scorrere del tempo e delle mode.
Intanto il luogo che ci ha lasciato.
Se c’è un luogo magico, sospeso tra passato e futuro, tra botanica e archeologia, tra pittura e storia, questo è il Museo Bicknell a Bordighera
Un elegante scrigno delle meraviglie.
Clarence Bicknell (dal latino clarus ), un nome che potrebbe essere quello di una stella, accompagnato da una firma bellissima, è stato uno studioso illuminato e progressista, « un atipico », come puoi trovare solo tra i lord inglesi.
Pittore, botanico, archeologo, studioso e mecenate dell’Esperanto, la lingua universale che è diventata la sua religione laica.
Originale e disciplinato, uomo caritatevole e attento agli altri, scienziato meticoloso, prete spretato, ciclista.
Che personalità intrigante e variegata.
Ci lascia mille cose, il giardino delle meraviglie, gli acquerelli e i frottage ( la tecnica di copia con il carboncino dei disegni preistorici dei pastori liguri della Valle delle Meraviglie), una incredibile collezione di farfalle, i suoi libri di una vita, e tanto altro: 30 anni intensi e fruttuosi tutti vissuti tra Bordighera e Casterino, nella Valle delle Meraviglie, quando era ancora soltanto Italia, perché solo nel 1947 passò alla Francia con i trattati di Parigi.
All’inizio della sua storia Bicknell arriva a Bordighera nel 1879 come pastore anglicano, e dopo poco si «spastorizza», sarà stata l’aria della Costa?
Era troppo stretta la religione per lui.
Così se ne costruisce una tutta sua, come chiamato dalla Natura e dallo Studio a una Missione Universale di Conoscenza, con l’Esperanto come bussola valoriale.
Lo incontriamo sul far della sera appollaiato sul ramo del « suo »ficus macrophilla, il più grande d’Europa.
E lì che ci ha dato appuntamento.
Barba lunga curata, abiti sportivi eleganti, un po’ datati, occhi dolci e parlare schietto, un pelo sovrappeso, ma il ficus centenario non fa certo una piega.
Complice la lingua inglese l’intervista è con il tu.
Lo farei cittadino emerito di Bordighera, e cittadino onorario il nipote Markus che ha prodotto il bellissimo film “Le meraviglie di Clarence Bicknell”.
Perché se proprio dovete scegliere non leggete me, ma guardate il film!
Ps. Grazie a Daniela Gandolfi, direttrice dell’Istituto Internazionale degli Studi Liguri, che si è gentilmente prestata, ispirata e competente studiosa, a dare voce alle risposte di Clarence Bicknell.
Archeologa, specializzata in ricerche terrestri e subacquee, con oltre 250 pubblicazioni in riviste italiane ed estere.
1-Parlaci di Fontanalba, la tua ultima giornata, quei funghi velenosi li hai mangiati per caso o per scelta? Adesso puoi dircelo…
Ebbene no, mio caro posso sfatare con tranquillità la leggenda fatta circolare sulla mia dipartita occorsa all’improvviso a Casa Fontanalba in Casterino (Tenda) il 17 luglio 1918, così vicino alle mie adorate montagne e ai fiori che tanto ho amato.
Lasciai la vita in modo naturale sul balcone del cottage che lì avevo fatto costruire a partire dal 1905, secondo il progetto del mio fraterno amico l’architetto Robert Mac Donald, figlio di quel George MacDonald, campione della letteratura fantastica inglese di fine Ottocento (ti ricordi del romanzo Lilith?), che insieme alla moglie Louisa Mac Donald avevano fondato la loro “Casa Coraggio” a Bordighera, una casa di accoglienza come le chiamate voi oggi.
Chi mi amava, come i miei nipoti Edward e Margaret Berry, affermarono commossi che per me non ci sarebbe potuta essere una morte più serena.
Solo tre giorni prima, il 14 luglio, avevo fatto una lunga passeggiata di sei ore, lassù, nelle meraviglie della Valle delle Meraviglie, alla ricerca di fiori rari e nuove incisioni rupestri.
La morte mi prese leggera tre giorni dopo sul balcone del mio villino, con vicino i miei fedeli e affezionati domestici, Luigi e Mercede Pollini, e la cuoca di sempre Maddalena, la mia famiglia italiana.
2- L’Esperanto e il tuo sogno pacifista, il guardare avanti …
Già nel 1897 ero rimasto intrigato dalla scoperta del volapük, la lingua artificiale ideata dal sacerdote cattolico bavarese Johann Martin Schleyer, che affermava di essere stato chiamato da Dio, in sogno, ad inventare una lingua internazionale; la cominciai a studiare con impegno e passione. Ma da subito mi apparve complessa e artificiosa, priva di quegli ideali che trovai invece nell’esperanto (che significa letteralmente “colui che spera”), una nuova lingua artificiale inventata dall’oculista ebreo polacco Ludovik Lazarus Zamenhof che ne pubblicò il primo libro a stampa Unua Libro il 26 luglio 1887.
Quando scoprii questa nuova lingua universale rimasi folgorato: all’epoca già mi ero trasferito definitivamente a Bordighera, dove la comunità straniera comprendeva Inglesi, Francesi, Tedeschi, Russi, Boemi … : ed ecco che con l’esperanto tutti gli stranieri potevano comunicare tra loro e con la popolazione locale di lingua italiana.
Ma soprattutto scoprii che gli ideali che stavano alla base dell’esperanto erano gli stessi che mi appartenevano profondamente e che riposavano fermi e inossidabili nel mio cuore: giustizia, fraternità, democrazia, pacifismo, tolleranza religiosa, cooperazione internazionale.
Le chiavi per la pace nel mondo!Non a caso, tra i primi proseliti che mi seguirono a Bordighera, figurano due donne, Rosa Junck, di origine cecoslovacca, elogiata dallo stesso Zamenhof per la perfetta dicitura della nuova lingua, ed Eileen de Burgh Daly, la direttrice del Journal de Bordighera, un quotidiano stampato da aprile a novembre nella città delle palme con testi in francese, inglese, tedesco e italiano e anche in esperanto.
Fui presente nell’agosto del 1905 al primo Congresso Universale di Esperanto a Boulogne-sur-Mer insieme ad altri 667 partecipanti di venti paesi diversi e venni eletto fra i primi sei “italiani” a far parte del “Lingua Komitato”, composto da 95 membri.
La diffusione di questa lingua, che come un faro doveva gettare ponti tra gli uomini e nazioni, assorbì molte delle mie energie degli ultimi anni: partecipai a diversi congressi universali a Barcellona (1909), Cracovia (1912), Berna (1913), a Parigi (1914).
Il 25 ottobre 1910 avevo già ufficialmente fondato il gruppo esperantista di Bordighera che chiamai Antauen (Andare avanti): una foto davanti al mio Museo ci immortala festanti e pieni di speranza con la bandiera e le spille esperantiste.
Ma, cari amici, devo oggi constatare con grande tristezza e cocente delusione, che le vicende che vi circondano e che costituiscono il vostro mondo tribolato e pieno di conflitti tra popoli e persone, ben dimostrano e senza appello il fallimento della nostra bella illusione esperantista.
3-E Alice? Alice Campbell, dicci di lei. Dove vi siete conosciuti?
Da gentiluomo desidererei mantenere un poco di riserbo su questo argomento e anche un po’ di sano mistero.
Non mi sposai e non ebbi figli… ma nella mia vita furono presenti molte donne.
Alice Campbell, ora mi ricordo, è la “Scottish Lady” con cui mi accompagnai a Finalmarina nell’estate del 1883 e poi di nuovo nel 1897… qualche mio biografo la identifica vicino a me anche sulle rocce di Fontanalba seduta con accanto un altro mio grande amico, il mio fido cane Mahdi.
Ma mi ricordo molto bene anche di Rosa Ellen Fanshave Walker, che incontrai tra le prime persone a Bordighera, tra il 1878 e il 1879 e che nel 1880 mi vendette Villa Rosa che divenne la mia amata residenza per tutta la vita.
Con Rosa feci molte cose insieme, … anche lunghe passeggiate al chiaro di luna e un po mi è rimasta nel cuore.
Ma come non ricordare Margaret la moglie del mio amato nipote Edward, con cui fece costruire la loro bella villa “Villa Verde” a Bordighera e che ebbe un ruolo fondamentale nell’individuare, quando in Italia si presentarono tempi difficili per gli stranieri, nello scontroso Nino Lamboglia, un piccolo ligure dalla grande testa e dal grande spirito, il futuro fondatore dell’Istituto Internazionale di Studi Liguri, la migliore garanzia per continuare il lascito culturale e morale del mio Museo di Bordighera.
Ora mi sovviene anche di un’altra inglese Ellen Wilmott, amica di Thomas Hanbury, che incontravo spesso in quella meraviglia creata dagli Hanbury a La Mortola e che si mise in testa, e ci riuscì, di creare un altro piccolo gioiello di pace e di verde a Boccanegra: ma con lei, a cui è dedicata anche una varietà di rose, parlavo solo di giardinaggio. Dal 1909 frequentai più assiduamente la baronessa Helene van Taube, venuta a Bordighera da Weimar per curare il marito ammalato.
Ci scambiammo molte lettere, oggi addirittura conservate nel Natural History Museum di Londra (che mancanza di rispetto della privacy!): ma rileggerle mi scalda il cuore, c’era molta empatia e devozione tra noi due, Helene poteva parlarmi a cuore aperto delle gioie e dei dolori della sua vita e in me trovava ascolto e conforto. Eravamo anime gemelle e confesso ci fu anche una certa attrazione tra di noi.
4-E il circolo del tennis lo frequentavi?
No, non giocavo a tennis e non frequentavo il Tennis Club.
Mio nipote, Edward Berry, più mondano di me, ne divenne Presidente dal 1912 al 1922 ed ebbe contatti anche con Charles De Grave Selles, uno dei fondatori, il 7 settembre 1893, del Genoa Cricket Football Club, il primo club di calcio italiano.
Io preferivo andare in bicicletta, consigliatami vivamente per tenermi in forma all’avvicinarsi dei 50 anni, da mio fratello Sidney e recuperata in Inghilterra presso mio nipote James Berry, ardente ciclista, nel Natale del 1891.
Era molto utile nei miei spostamenti lungo la Val Nervia e la Val Roia, ma, confesso, troppo faticosa per un tipo un poco sovrappeso come me, che superava spesso i 90 kili di peso (too fat!)
5-Se ti volti indietro cosa unisce i punti della tua vita? Alla fine sei soddisfatto della tua vita e dell’esserti spretato?
La mia vita è stata magnifica.
In Inghilterra ho avuto una bella famiglia, che coltivava amicizie con gli artisti di allora, ho conosciuto William Turner, John Ruskin e molti altri, mio cugino Hablot K. Browne, detto Phix, fu il disegnatore preferito di Charles Dickens.
Studiai al Trinity College di Cambridge e mi laureai in matematica e arte, entrai a far parte della chiesa anglicana, per cui fui parroco a Walwort un sobborgo di Londra dal 1866 al 1873, e fui pastore della rigorosa comunità religiosa di Stoke-Upon_Terne.
Dopo il mio arrivo in Italia, a Bordighera, nel 1879, e dopo avere abbandonato la mia missione pastorale, – il collare mi andava troppo stretto -, la mia vita è esplosa di colori, amici, fiori, artisti, animali, le montagne delle Alpi Marittime sulle cui rocce i Liguri pastori lasciavano i loro messaggi. Ho viaggiato molto in Italia, Francia, Alpi Svizzere, Germania, Spagna, Algeria, Egitto, in Oriente…
Nel 1888 ho fondato a Bordighera un museo che ancora oggi porta il mio nome e porta avanti la mia visione e la mia missione: studio, ricerca, accoglienza, empatia, comunità scientifica e civile.
Hai visto i fili colorati che all’interno partano dalla mia figura verso il soffitto?
Bene, rappresentano vivaci e molteplici, la rete dei miei contatti che contribuirono a trasformare la piccola Bordighera in una città cosmopolita e internazionale.
6-Come vorresti essere ricordato?
Con la scritta che compare nel grande banner che i ragazzi che curano con amore e dedizione oggi il mio Museo di Bordighera hanno messo al suo ingresso, insieme a una mia fotografia, quando ero già un po’ avanti negli anni a dire il vero, circondato dai simboli dei miei interessi e le mie passioni.
La scritta è riportata nella mia lingua madre, l’inglese, nella lingua della mia patria di adozione, l’italiano, e nella lingua della speranza, appunto l’esperanto, e recita: “Welcome be to every guest. Come he north, south, east or west”.
7- E oggi quando torni al museo che sensazioni hai? Ti senti ancora a casa?
Si è sempre una bella sensazione, non me ne sono affatto andato, sto li, un poco come Cosimo Piovasco di Rondò, il barone rampante di Italo Calvino, la cui madre, la botanica Eva Mameli, ben conosceva i miei lavori.
Sto sempre qui, seduto su uno dei grandi rami del ficus macrophylla che ho messo a dimora vicino al cancelletto di ingresso del mio Museo, e che è stato fatto fuori dalla potenza delle sue radici, insieme al muro di recinzione e a tutto quello che lo circonda.
Mi trovo bene nel giardino, dove il mio amico Claudio ha messo da poco le cartellinature botaniche e ha riscoperto anche il bell’esemplare di Apollonias burbujanas che ho fatto arrivare dalla Macaronesia, l’arcipelgo di isole atlantiche al largo del Portogallo e del Marocco;
Giovanni, che mi ricorda un giovane dei miei tempi, ha digitalizzato il mio erbario (oltre 13.000 fogli di essiccati!), la mia biblioteca curata da Elena è diventata la grande biblioteca dell’Istituto Internazionale di Studi Liguri con oltre 119.000 volumi specializzati in archeologia, preistoria, filologia, storia, glottologia…
Ah l’Istituto Internazionale di Studi Liguri che ha garantito la sopravvivenza del mio Museo e ancora oggi si batte per il suo futuro, seguendo le orme dei miei passi e portandoli lontano.
Altri giovani stanno facendo vivere il mio Museo e il mio giardino: le studentesse di Vilnius, Pauline da Clermont-Ferran, Luca dal Centro Nazionale delle Ricerche italiano, Leonardo dalla Università di Genova.
Sono felice e soddisfatto e anche commosso per la gente di Bordighera e non (come ai miei tempi) che continua a riunirsi al Museo, per incontrarsi, per parlare di arte, cultura, poesia, ambiente, per stare bene insieme.
Ogni tanto qui arriva anche un mio pronipote Marcus Bicknell, che, in Inghilterra, ha fondato una associazione interamente dedicata a me la “Clarence Bicknell Association”, nel cui sito si possono leggere e visionare tante cose che mi riguardano.
Ho il cuore pieno di gioia e riconoscenza per tutto e per tutti, ma coraggio ragazzi, noi bicknelliani nel mondo abbiamo ancora molto da fare e da dire!
Pronunciate queste parole, quasi commosso… inaspettatamente Clarence afferra una liana, agile e incurante del suo peso, e scompare nella notte delle meraviglie magica e illuminata.
Eraldo Mussa