Piercamillo Davigo non si dà per vinto.
Insiste.
Ci crede, si ripete.
A Piazzapulita, ospite di Formigli, torna su un suo vecchio cavallo di battaglia.
Lo cito testualmente, lasciando ai lettori ogni commento.
“Se vedo il mio vicino uscire da casa mia con la mia argenteria in tasca, non aspetto la condanna della Cassazione per smettere di invitarlo a cena. E non lo invito più neanche se lo assolvono. Non è giustizialismo: è prudenza.”
Mi limito a ricordare, come ha fatto Stefano Ceccanti su Linkiesta, i due interventi di Aldo Moro e Giovanni Leone, durante i lavori della Costituente, proprio sul tema del contenuto dell’articolo 27 della nostra Costituzione: “L’imputato non è considerato colpevole fino alla condanna definitiva”.
L’articolo che ha sancito il principio della presunzione di innocenza di ciascuno di noi fino alla sentenza di condanna passata in giudicato.
Moro, professore di diritto costituzionale, scrisse: “La presunzione di innocenza, come una forma di garanzia individuale, come un ulteriore impedimento di quell’arbitrio che si potrebbe verificare qualora l’imputato o arrestato o detenuto fosse già considerato come qualificato in senso negativo dalla società, rappresenta un principio che è necessario ammettere.”
Leone, professore di diritto penale e di procedura penale, aggiunse: ”contro qualche autore un po’ più degli altri sensibile alla ideologia fascista, cioè al principio della presunzione di colpevolezza…. qui è ben detto, perché il principio deve investire tutto il rapporto processuale, fino a quando la sentenza sia diventata irrevocabile, sia passata in giudicato, stabilendo quindi l’estinzione dell’azione e del rapporto processuale.”
Parole scolpite nella pietra.
Parole che hanno reso la nostra Costituzione famosa nel mondo, moderna più che mai, vera tutela dei diritti individuali di tutti noi cittadini.
In un momento storico, come quello attuale, difficile e spinoso per la magistratura e soprattutto per il suo organo di autodisciplina, il CSM, nella bufera a causa di comportamenti perlomeno dubbi e opachi di alcuni suoi membri, ci si aspetterebbe silenzio e sobrietà da parte dei giudici.
Non frasi ad effetto per ottenere facili consensi popolari e battimani originati dallo stomaco della gente impaurita e frustrata dalla crisi e dalle prospettive future del nostro paese.
Questo non è accaduto e dispiace molto constatarlo a chi, come l’autore di questa breva nota, sta a cuore lo stato di diritto e la sua orgogliosa rivendicazione e salvaguardia.
Riccardo Rossotto