Risaliamo in due il ripido vallone che dopo 1100 metri di dislivello ci porterà al colle di Valdobbia. Sono solo le 8 del mattino eppure, a Gressoney St. Jean, l’aria è già carica di umidità e dopo pochi tornanti bisogna alleggerirsi. È la storia di ogni gita, questa estate, il caldo seppur mitigato dalla quota ci insegue fin quassù, oltre quota 1300.
Due giorni di trekking tra la valle del Lys, in valle d’Aosta, e la val Vogna in Piemonte, lato valsesiano del monte Rosa. Ci lasciamo alle spalle l’acqua densa del torrente Lys che da giorni è di un colore bianco beige, segno che i ghiacciai sopra di noi sono in grande sofferenza, con lo zero termico a quasi 5000 metri. Tutti i giornali ne parlano dopo il crollo alla Marmolada così come riportano che il rifugio Gonella, la splendida struttura interamente ricostruita nel 2011 lungo la via normale italiana che porta alla cima del monte Bianco, ha chiuso qualche giorno fa.
Un rifugio chiuso è una ferita aperta
Mancanza d’acqua, ai piedi del monte Bianco, “un luogo molto simbolico – ricorda allo loscarpone.cai.it Marco Battain, presidente del CAI di Torino – ma siamo davanti a un problema che riguarda tutti i rifugi di proprietà della nostra sezione e delle Alpi. Anche le nostre strutture situate a quote più basse sono nella stessa situazione”. Può sembrare una contraddizione, i ghiacciai si sciolgono ma manca l’acqua…
A Gressoney la sorgente di Rong è asciutta, quella di Perletoa si concede solo con grande parsimonia e la pressione è così poca che dai piani alti della casa occorre scendere in basso e attrezzarsi con i secchi. L’acquedotto intercomunale per fortuna regge senza problemi, l’acqua incanalata da altre fonti non manca e la stagione turistica sembra salva. Arrivati sul Colle chiedo alla rifugista quale sia la situazione lì. “Nessun problema, per adesso…” ma mi colpisce che il tubo che porta l’acqua alla grande vasca fuori dall’ospizio sia stato dotato di un rubinetto da aprire secondo necessità.
Il conforto di un bicchiere d’acqua
Segno di previdenza, di parsimonia, di un possibile problema. Una delle targhe che decorano l’ingresso ci ricorda che l’ospizio venne fondato nel 1832 dal canonico Nicolao Sottile, lassù a quasi 2500 metri di altezza, per “offrire salvezza aiuto conforto ai pellegrini del lavoro della scienza e dell’ideale amore dei monti”, in particolare agli emigranti valsesiani che “nei duri inverni tornavano alle loro famiglie provenendo dalla Francia e dalla Svizzera.” Offrire conforto, leggo, e penso a un semplice bicchiere d’acqua.
Riprendiamo il cammino e scendiamo in val Vogna raggiungendo in pochi minuti il lago della Balma. Sui bordi sono evidenti i segni della sua riduzione e a nord solo un piccolo fazzoletto di neve resiste ancora, più in alto. Nel tardo pomeriggio, Rolando il nostro ospite a Peccia, guida alpina di origine cimbra lì nella terra dei walser, mi racconta che d’abitudine la neve, lassù al lago, nel mese di luglio tocca ancora la sponda nord ma quest’anno ha nevicato poco o niente, l’estate è torrida e questa è la situazione. La val Vogna in alto è ricca di laghi, dall’alpe Macagno fino al grande lago Nero, e anche la cascata che scende dal lago Bianco al Carestia sembra abbondante.
La mattina dal rubinetto non esce nulla
Passiamo la serata a chiacchierare di tante cose con lui, sua moglie Paola e i due ospiti svizzeri che come noi passeranno la notte nella grande baita walser costruita nel 1600. Parliamo di montagna, della Grande Traversata Alpina (gta) che gli svizzeri stanno affrontando, di recupero delle borgate alpine, di Rolando che viene da noi per la festa delle guide il giorno di Ferragosto. Non parliamo di acqua.
Passiamo una notte di pace e di ristoro e al mattino la brutta sorpresa: dai rubinetti non esce nulla. Rolando corre più in alto, verso il ponte napoleonico, a smanettare con tubi e rubinetti dell’acquedotto e l’acqua dopo poco ritorna. Non finisce più di scusarsi, la colazione ritarda e così anche la nostra partenza, abbiamo tutta la valle da risalire, valicare il passo del Macagno, scendere nel vallone di Loo e ritornare passo dopo passo a Gressoney, “oggi ce l’avete lunga, più degli svizzeri” mi dice.
Quello dell’acqua è un problema grosso
Ma ha ancora voglia di parlare e mi confessa che grazie alla tecnologia di filtri e lampade agli infrarossi potrà, alla bisogna, attingere acqua potabile direttamente del torrente. Quello dell’acqua è un problema grosso che sembra inseguirci anche in questa nostra gita. Quando ero ragazzo ricordo le montagne piene di rivoli e con il vecchio bicchierino dalla speciale forma appiattita recuperavamo anche tra le rocce più strette il ristoro indispensabile per le nostre camminate. Oggi per noi il problema è semplice, riempire le borracce, ma in pianura l’agricoltura è andata in crisi, si litiga per i metri cubi disponibili, si chiede aiuto alla Svizzera e ai suoi laghi.
Chiuso per mancanza d’acqua. In questi giorni lo si può leggere sulla porta di un Rifugio di montagna, domani chissà. Per intanto a Loo superiore, Simone che in quell’alpeggio fa i suoi formaggi mi rassicura che lì di acqua ne hanno in abbondanza e con un sorriso mi riempie le due borracce fino all’orlo.
Quest’anno i ghiacciai perderanno 3-4 metri
Tre giorni dopo sono seduto in piazza all’incontro con Luca Mercalli (Società Meteorologica Italiana) e Michele Freppaz (Università di Torino – Disafa). Si parla di clima e si parte dalla siccità, “epocale” viene definita, forse paragonabile, senza avere dati certi, solo a quella del 1733, a fronte però di un caldo inferiore a quello che dobbiamo sopportare noi oggi. Non piove da 8 mesi, manca il 50% delle piogge abituali, i ghiacciai si stanno sacrificando perdendo, in media, uno spessore di 1,3 metri ogni anno e per il 2022 si stima che la perdita sarà addirittura di 3-4 metri. “È impossibile continuare a pensare a una crescita infinita in un pianeta finito” ci ricorda Mercalli.
La nostra gita si chiude così, ascoltando dagli esperti i dati sui cambiamenti climatici che in parte abbiamo toccato con mano durante i due giorni di cammino. All’improvviso si mette a piovere e Freppaz sul palco apre l’ombrello prima di spostare tutti in una sala coperta. Ma quella pioggia è comunque un momento di festa.
Alfredo Valz Gris