Ho visto il film francese “La belle époque”. E’ un film leggero che nasconde al suo interno temi interessanti e domande che faccio a me, ai collaboratori de L’Incontro e ai lettori.

La critica si è divisa: a qualcuno il film è piaciuto molto ad altri meno, in sintesi il film racconta qualcosa di simile a “Il Grande Fratello” (*) il format televisivo basato su gente comune esiliata in uno studio televisivo circondato da telecamere nascoste attive tutto il giorno e tutta la notte.

(*) La prima edizione de “Il Grande Fratello”, trasmessa in Italia nel 2000, fece scalpore (la diretta televisiva settimanale fu presentata nelle prime due edizioni da Daria Bignardi che diventerà, poi, la “vestale” de “Le Invasioni Barbariche” conservando sempre un atteggiamento da “diversamente simpatica”). Poi arrivarono Barbara D’Urso, Alessia Marcuzzi e di nuovo Barbara D’Urso a dimostrazione che, almeno in tv, il “pop” vince sempre sullo “snob”

“La belle époque”, semplificando molto, parla di un “Grande Fratello” per ricchi e autoindotto. Che significa? Significa che una società di produzione dietro compenso lautissimo mette in scena i momenti più belli della vita del cliente o ricostruisce l’epoca in cui vuole fuggire. La logica è: “Le piace la Berlino degli anni ’30? La produzione la immerge in quella Berlino. Vuole fuggire nella corte del Re Sole e, magari, conoscere Maria Antonietta? Pagando diventa possibile”.

Nel film il protagonista (un bravissimo Daniel Auteuil) chiede di rivivere il momento in cui ha incontrato la moglie: il 16 maggio del 1974. Per cui viene immerso perfettamente in quell’epoca, in quel giorno a quell’ora: il bar è esattamente quello in cui c’è stato il primo incontro, i personaggi sono quelli che c’erano allora, giovani come erano allora, le atmosfere sono quelle, come i drink, gli abiti, i discorsi ed i “gesti” (come direbbe Baricco che ama questa parola).

Tutto è ricostruito minuziosamente come se lo show fosse uscito dalla mente di Luchino Visconti che era famoso per la maniacalità della messa in scena (dicevano che obbligasse gli scenografi a mettere nei cassetti perfetti dettagli d’epoca pur sapendo che quei cassetti non sarebbero mai stati aperti durante le riprese).

Daniel Auteuil è l’unico “vecchio” che rivede e reinterpreta la sua storia circondato da attori che lo assecondano.

Cercando qualche precedente viene in mente “The Truman Show” film meraviglioso e distopico, diretto da Peter Weir, su soggetto di Andrew Niccol, e interpretato da uno strepitoso Jim Carrey uscito in sala nel1998. Oppure viene in mente la serie tv statunitense “Westworld” creata da Jonathan Nolan e Lisa Joy, prodotta da HBO e trasmessa nel 2016. “Westworkd” ha come ambientazione un parco divertimenti a tema west in cui veri umani possono fare qualsiasi cosa a robot umanoidi. Volendo “La Belle Époque” ha anche sfumature alla “Black Mirror”, ma è privo dei toni più neri di quella straordinaria serie tv.

Foto di Daria Trefilova/Shutterstock

PERCHE’ CITO “DISPERATAMENTE” QUESTO FILM?

Perché dopo aver visto: “La belle époque” ho pensato a tutti noi (editore, direttore, persone che scrivono su L’Incontro e lettori) e mi sono chiesto: “Dove vorrebbe essere trasportato ognuno di noi”? Dove vorreste essere trasportati voi che state leggendo questa specie di “sogno lisergico”?

Immagino che qualcuno intriso di spirito cavouriano vorrebbe essere spedito a Torino alla metà dell’800: tra vermouth, baffi a manubrio, quando l’internet di quell’epoca si chiamava treno. Qualche Milanese, magari più attivo per indole, vorrebbe rivivere le cinque giornate di Milano. Qualcun altro vorrebbe attraversare, magari a bordo di una “Topolino”, gli ultimi anni ’40 del novecento: quando l’Italia tentava di rinascere. Altri vorrebbero rivivere il boom come se la casa di produzione del film francese potesse mettere in piedi attorno a noi l’atmosfera de “Il Sorpasso” il film poetico e crudele di Dino Risi uscito nelle sale nel 1962 con un Vittorio Gassman eccessivo (a pensarci bene sembrava un Briatore antelitteram, e non è un complimento) e Jean-Louis Trintignant: figura timida destinata ad essere vittima sacrificale allora e, temo, anche oggi.

Foto: Artem Oliinyk/Shutterstock

UNA PROVOCAZIONE

Ecco, il film mi ha fatto pensare a cosa vorrebbe/potrebbe essere L’Incontro. Qualcuno particolarmente caustico potrebbe dire: “Una testata tardo-cavouriana? Un bollettino di cosa poteva essere e non è stato? (**). Qualcosa in presa diretta con la contemporaneità? Un Rotary fuori rotta? Una fanzine dei bei tempi andati?”.

(**) Effettivamente qualche articolo, a volte, sembra scritto da un Mario Draghi incompreso.

Bruno Segre, il fondatore della testata, nei primi anni ’70, il periodo in cui si svolge “La belle époque” dava calci al sistema, radicaleggiava, contestava, lottava, “rompeva le scatole”. E oggi?

Oggi, quello spirito caustico potrebbe accusarci di “andare in scena” in un salottino deamicisiano in cui qualche professionista soddisfatto spiega a qualche “madamin”, “sciura o a qualche “giovane di studio” come va il mondo.

Io non sogno di portare L’Incontro in un’epoca precisa ma notando una coincidenza interessante lancio una provocazione. Da un po’ di tempo sono tornati di moda gli anfibi Dr. Martens, un marchio di calzature nato nel 1947, diventato, negli anni, icona dei punk inglesi e degli skinheads per approdare nelle vetrine di lusso europee dove, oggi, sono scelti soprattutto da ragazze adolescenti.

Ed ecco la proposta: E se scrivessimo, ogni tanto, indossando i Dr. Martens? Riscoprendo la verve anche burbera del fondatore? Se ci arrabbiassimo ogni tanto? Se sposassimo una tesi, anche complicata e difficile e “ci battessimo” per lei?

Pensateci, pensiamoci! Non dico di diventare un Joker lib-lab, ma insomma….

BONUS TRACK

Nel film “La belle époque” c’è anche Fanny Ardant che quando sciabola con lo sguardo lo schermo se ne impadronisce e lo fa suo. Nel suo sguardo c’è ironia, leggerezza, intensità e abbandono che non ha perso intensità con gli anni. I suoi primi piani valgono il prezzo del biglietto.

Poi c’è un’altra figura femminile affascinante: Doria Tillier, co-sceneggiatrice e compagna del regista, un’attrice con i capelli rossi che interpreta nella finzione scenica la Ardant giovane. Quando balla in modo sensuale ricorda Megan Calvet (interpretata dall’attrice Jessica Paré) elegante e sensualissima seconda moglie canadese di Don Draper nella serie tv.

Poi, per par condicio, ecco gli uomini.

Nel film c’è l’attore che interpreta il figlio della Ardant: fighetto-chic-bravo ragazzo e c’è Guillaume Canet che, secondo me, come direbbero in privato le madamin o sciure citate prima: “Fa sangue. Volendo anche il regista de “La belle epoque” Nicolas Bedos, potrebbe far sussultare qualche cuore giovane o meno giovane: è un “ragazzo” con barba di qualche giorno da “intellò” francese, qualche posa seriosa che esplode, a volta in un sorriso smagliante.

Ultima considerazione per i baby boomer: la colonna sonora del film è la vostra, maneggiatene il ricordo con cura.

Gabriele Isaia

Gabriele Isaia

Ha fatto il giornalista economico, ha aperto una sua società di comunicazione strategica, ha avuto “incontri” con l’architettura, l’arte contemporanea, le start up innovative e il personal branding....

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