I modi per ricordare a tutti noi l’orrore dei campi di sterminio e per celebrare, il 27 gennaio, il “giorno della memoria”, sono molti e di vario tipo: dai film, ai libri, alle manifestazioni pubbliche. La Compagnia Teatrale ALMA ROSE’, attiva soprattutto nel territorio milanese, ormai da molti anni, porta in scena uno spettacolo che è stato ispirato dal libro “Ad Auschwitz c’era un’orchestra” e dal successivo adattamento teatrale di Claudio Tomati.
Grazie all’iniziativa dell’ANPPIA – Associazione Nazionale Perseguitati Politici Italiani Antifascisti con la collaborazione di FIAPP, ANED ed ANPI e con una introduzione di Bruno Segre la rappresentazione ha avuto luogo a Torino il 30 gennaio nei locali del “Polo del ‘900”. Sul palcoscenico, scarno e con la presenza di due sole bravissime attrici, Elena Lolli ed Annabella Di Costanzo, è andata in scena una storia dell’assurdo e dell’orrore: quella, appunto, di una orchestra, composta dalle stesse detenute, che era stata incaricata dai nazisti di accompagnare a suon di musica le prigioniere mentre si recavano al lavoro coatto ed al loro ritorno!
Inoltre l’orchestra doveva essere a disposizione dei gerarchi nazisti ogni volta che loro volessero, per allietare il loro spirito. Ed infatti una delle scene più incredibili dello spettacolo è quella nella quale il comandante del campo si commuove talmente all’esecuzione di un brano di musica classica, da lui scelto, da non riuscire a trattenere le lacrime!
Lacrime che invece non apparivano mai sul suo volto di sterminatore di innocenti. In sostanza nello spettacolo si intreccia la Storia: quella del nazismo, delle persecuzioni razziali e dell’orrore dei campi di sterminio, con la storia delle due protagoniste, che sono appunto Alma Rosè e Fania Goldstein, poi conosciuta nel dopoguerra con il soprannome di Fenelon.
La prima, nata a Vienna il 3 novembre 1906, da famiglia di discendenza ebraica, era figlia di Arnold Rosè, notissimo primo violino, per molti anni, della Wiener Philarmoniker e nipote del famoso compositore Gustav Mahler.
Essa stessa era divenuta una validissima violinista che si era esibita in tutta Europa ma, nonostante la sua fama, venne arrestata e condotta ad Auschwitz, dove le venne affidata la direzione dell’orchestra che essa condusse per molto tempo con vigore e disciplina ferrea.
Nel gennaio 1944 giunse ad Auschwitz anche la Fenelon, ebrea francese, nata a Parigi il 2 settembre 1908, che era capace di cantare e suonare il pianoforte, grazie alle sue esibizioni nei caffè parigini.
Lo spettacolo si sviluppa quindi sul tema del loro rapporto, assai conflittuale, in quanto, pur essendo entrambe deportate e destinate a morte sicura, nonostante un certo livello di privilegi concessi loro, la Rosè, quasi non capisse la situazione in cui si trovavano le ragazze dell’orchestra, pretendeva da esse prove quotidiane di ore, senza errori, con punizioni severe ed anteponeva la musica a tutti i bisogni essenziali delle detenute.
Viceversa, per Fenelon, la musica non era affatto il fine, come per Alma, ma unicamente un mezzo per tentare di sopravvivere, perché le orchestrali non erano destinate alle camere a gas, almeno sino a che esse avessero continuato a far parte dell’orchestra. La tensione tra le due è notevole e viene espressa in dialoghi serrati e gesti forti, che culminano in pochi fotogrammi di repertorio, proiettati su uno schermo bianco, dei deportati e dei loro bambini, con l’unico accompagnamento della musica. Mentre la Rosè morì in prigionia, la Fenelon, trasferita nel campo di Bergen-Belsen, riuscì a sopravvivere e venne liberata nell’aprile 1945, insieme ad altre migliaia di prigionieri, dalle truppe inglesi e il suo libro è divenuto una testimonianza non solo della vita nel campo e dell’unica orchestra che sia mai esistita nei lager, ma anche dell’eterno rapporto tra la Vita e le sue manifestazioni, quale è la musica, e la morte.
Come per Primo Levi anche per la Fenelon l’unico obiettivo fu quello di “sopravvivere e ricordare per far sapere al mondo”.
Alessandro Re