Il monito, da sempre purtroppo inascoltato, vuole che uno Stato che non rispetti le proprie stesse regole sia uno Stato più debole, più vulnerabile. La vicenda del carcere al tempo del coronavirus ne è la più lampante conferma.
Il sistema carcerario italiano è da anni fuorilegge, indifferente agli ammonimenti prima ed alle condanne poi della giustizia sovranazionale. Il sovraffollamento è di nuovo ben oltre i numeri già oggetto della condanna Cedu nel caso Torreggiani, e non certo da poche settimane o da qualche mese.
Una classe dirigente irresponsabile, cinicamente interessata solo al ricco dividendo elettorale delle scelte populiste del “Tutti in galera” e della declinazione farsesca e sgrammaticata del principio di certezza della pena, ha scelto lucidamente in questi ultimi due anni nemmeno il rischio ma la assoluta certezza di replicare la vergogna di un tasso medio di sovraffollamento carcerario oltre il 130%, immaginando e soprattutto lasciando immaginare alla pubblica opinione che questo fosse il volto di uno Stato forte, inflessibile con i criminali, protettivo verso le persone per bene, finalmente rispettoso del famoso principio di certezza della pena.
Ora, però, arriva l’imponderabile, cioè una pandemia virale di grande aggressività e quel volto duro e tracotante all’improvviso impallidisce e balbetta.
Hai deliberatamente ammassato gente, una gran bella fetta della quale peraltro solo in attesa di essere giudicata, nella discarica sociale dei fatiscenti penitenziari italiani, pretendendo che si arrangiassero in sette in celle da tre o in nove in celle da cinque, e ora sei di fronte al bivio: o riconduci di corsa la popolazione carceraria almeno dentro i limiti della massima capienza legale, nel tentativo di poter organizzare in modo almeno plausibile un’attività di controllo dell’epidemia, o ti scoppia in mano una bomba atomica.
Deve anche essere ben chiaro che questa più che probabile esplosione non riguarderebbe solo i detenuti ma, come in tutte le epidemie che si rispettino, tutto il mondo esterno che ruota intorno al carcere.
Perfino chi nutrisse l’indegna idea che chi sta in carcere è perché se lo è meritato e dunque peggio per lui, deve comprendere che ogni giorno nel carcere entrano e dal carcere escono migliaia di persone, dagli agenti di polizia penitenziaria al personale amministrativo e sanitario, dagli assistenti sociali ai cappellani e al volontariato.
È di poche ore fa la notizia ufficiale di una detenuta positiva nel carcere di Lecce e di altre situazioni analoghe in corso di monitoraggio in tutte le carceri italiane.
Di qui l’iniziativa delle Camere Penali Italiane che con un pubblico appello rivolto al governo ed a tutti i parlamentari della Repubblica, hanno formulato una proposta che se messa in atto consentirebbe di decongestionare le carceri in tempi brevi, senza interrompere la espiazione delle pene ma semplicemente sostituendone la esecuzione per pene inferiori a due anni con la detenzione domiciliare, una volta accertata la semplice condizione della esistenza, naturalmente, di un domicilio familiare stabile.
In realtà la legge già prevede questa possibilità per pene residue fino a 18 mesi, rimettendone l’iniziativa ai direttori delle carceri. Qui si tratta di innalzare quel limite a 24 mesi e di applicare il principio con decreto legge, dunque lasciando ai tribunali di sorveglianza solo il compito di verificare la esistenza del domicilio familiare disponibile.
Vedremo subito se le prime razioni ad una proposta di tale essenziale semplicità saranno ancora una vota ispirate a quella incredibile pervicacia securitaria.
Invece di riflettere sulle responsabilità di una classe dirigente refrattaria essa per prima al rispetto delle regole e dei principi addirittura di rango costituzionale, si torna a fare la faccia feroce: “Non si aprano le porte di quelle celle”.
Non sai dove finisce l’ignoranza e dove inizia il più desolante senso di irresponsabilità. Ma qui non c’è più spazio per le fanfaronate. Ognuno si assuma le proprie responsabilità, perché questa volta gli errori saranno chiari a tutti e potrebbero essere davvero imperdonabili.
Gian Domenico Caiazza
Presidente dell’Unione delle Camere Penali Italiane
(Intervento a Radio Radicale nella rubrica “Il rovescio del diritto – La Pillola” di sabato 4 aprile 2020)