Poco più di una manciata di chilometri da San Michele del Carso, a sud ovest, si trova il Monte Sei Busi. Oddio, per chi è abituato a camminare in montagna chiamare “monte” il Sei Busi con una quota di 117 metri sul livello del mare fa sorridere. Eppure, in condizioni di guerra, in quella Guerra, quando le truppe italiane, superato di slancio l’Isonzo, pensavano di poter sfondare comodamente fino a Zagabria, quella barriera di 117 metri ha costituito un ostacolo invalicabile.
È questa la stagione ideale per andare a visitarlo
La pietra secca, ruvida, abrasiva e biancheggiante del Carso è rosseggiata dal Sommacco. Il vento che tira ne strapazza i cespugli e tiene il cielo sgombro, giù verso il golfo di Trieste. Il bianco-grigio del Carso, il rosso del Sommacco, l’azzurro del cielo e il blu del mare. Si lascia l’auto in uno spiazzo qualsiasi e si va a piedi. È come se le vestigia della Grande Guerra ci venissero incontro. La Trincea delle Frasche, contesa, conquistata, persa, conquistata, ripersa, prima con le feritoie per i moschetti a occidente e poi con le feritoie per i moschetti a oriente, e poi ancora a occidente e poi ancora ad oriente, a seconda di chi se ne impossessa.
Anche qui la Brigata Sassari ha combattuto valorosamente
Alla fine, definitivamente riconquistata, nella sesta Battaglia dell’Isonzo (per intenderci, quella della presa di Gorizia, di cui ho già scritto): perdite per decine di migliaia di uomini. Carneficine sul terreno scoperto privo di ripari, migliaia e migliaia di perdite in pochi chilometri quadrati. Anzi, in strisce di terra e di trincee che in alcuni punti distavano solo pochi metri, ricolmi di cadaveri.
Si cammina su un terreno apparentemente piano ma in realtà sconnesso e tagliente. Ed ecco il Cippo della Brigata Sassari, che anche qui ha valorosamente combattuto. L’unica brigata di fanteria – centocinquantunesimo e centocinquantaduesimo reggimento – ad arruolamento territoriale, soldati sardi piccolini, agili e tenacissimi, molto temuti nel corpo a corpo in trincea con baionetta o con coltello personale, “i diavoli rossi”.
Il monumento a Filippo Corridoni l’anarco-sindacalista
Il Cippo indica trionfalmente numeri agghiaccianti: tredicimila morti, diciottomila feriti. Poco avanti il monumento a Filippo Corridoni – che ha lì ha perso la vita – voluto da Mussolini per celebrare l’anarco-sindacalista amico del Benito socialista massimalista ben prima che diventasse il Duce. Un’altra operazione di strumentalizzazione, una di quelle operazioni in cui Mussolini fu un vero specialista. Non sempre si è trovato sulla strada una Ernesta Bittanti, vedova Battisti, che ha avuto il coraggio di scrivergli quella lettera famosa che suonava e suona proprio come un pugno sul naso.
Dolina dei Bersaglieri, prima rifugio poi cimitero
Ancora avanti, la stradina sassosa serpeggia ed ecco la “Dolina dei Bersaglieri”: luogo di smistamento tattico, poi rifugio, infine cimitero.
Ancora quattro passi verso sud, verso Doberdò. Eccole, le trincee a zig zag, ormai semisommerse di vegetazione, ecco i segni dei “trinceroni”, cioè le barriere di massi e calcestruzzo fuori terra, eccone l’intreccio, la ragnatela, indistinguibili per la vicinanza: italiane o austrungariche? Tanto fecero le truppe italiane per consolidare le proprie posizioni, tanto sangue costò quella terra così finalmente rinforzata. Ma non bastò.
Caporetto, dove la Terza Armata è costretta a scappare
Con la disfatta di Caporetto (mancano pochi giorni alla ricorrenza) la Terza Armata dovette precipitosamente fuggire verso occidente, da dove era venuta, abbandonando tutte le posizioni per non trovarsi accerchiata. Mi giro, come a immaginare di inseguire con lo sguardo l’Armata in rotta e vedo Redipuglia.
Claudio Zucchellini