Comprensibilmente distratti dai risultati delle elezioni nostrane e dall’indimenticabile addio a Elisabetta II, ci siamo forse persi alcuni passaggi importanti dei nostri burocrati di Bruxelles. Li riassumiamo perché, soprattutto tre episodi, potrebbero avere rilevanti conseguenze sul futuro della nostra tanto importante quanto bistrattata Europa. Tre segnali che il futuro governo di Giorgia Meloni dovrà gestire e valorizzare.
Finalmente le sanzioni all’Ungheria di Orban
La Commissione Europea, dopo tanti tentennamenti e dopo troppi “stop and go” (di cui la Merkel ha grandi responsabilità) ha deciso di attivare il meccanismo sulla condizionalità dello Stato di Diritto (l’erogazione di sanzione a carico di uno stato membro che non garantisce il rispetto dei principi dello Stato di Diritto). Per la prima volta dalla sua introduzione nel 2021, Bruxelles assume una decisione così importante. La Commissione aveva già fatto scattare lo scorso 27 aprile, il meccanismo “di condizionalità” a protezione del bilancio UE dalla reiterata violazione dell’Ungheria allo Stato di Diritto.
Corruzione, riforma degli appalti, conflitto di interessi
Infatti proprio per proteggere il bilancio dell’Unione messo in pericolo da irregolarità sistemiche nelle procedure di appalto, da insufficienti normative contro il conflitto di interessi e, in generale, dalla fragilità degli interventi contro la corruzione in Ungheria, la Commissione ha proposto al Consiglio Europeo di sospendere il 65% dei fondi europei già assegnati a Budapest. Stiamo parlando di 7,5 miliardi di Euro, 1/3 dei fondi assegnati nel periodo 2021-2023. La decisione dovrà essere ora discussa e deliberata dal Consiglio, a maggioranza qualificata, entro un mese con la possibilità di una proroga di ulteriori due mesi.
Chiusura della vertenza tra Bruxelles e Ungheria entro novembre
Il governo di Orban si è già impegnato ad introdurre alcune modifiche nel suo ordinamento entro fine novembre e pertanto è probabile la concessione di una proroga per un esame approfondito delle proposte formulate da Budapest. Sono 17 le misure correttive presentate dagli ungheresi per rispondere alle contestazioni di Bruxelles. Tra le azioni proposte dal governo magiaro ci sono la creazione di una Autorità indipendente, dotata di ampi poteri per combattere la corruzione. Inoltre la riforma degli appalti e una legge più specifica sul conflitto di interessi. Il portavoce del governo ungherese si è detto fiducioso in una chiusura positiva nella vertenza con Bruxelles entro novembre.
In caso contrario, l’Ungheria rischia di non ottenere il via libera per la liquidazione della sua quota parte dei fondi del PNRR. Insomma finalmente Bruxelles ha deciso di dar un ultimatum al governo di Budapest per attuare le riforme troppe volte promesse e mai mantenute. Nei prossimi 60-90 giorni vedremo i risultati.
L’unanimità non è più un dogma intoccabile
La pandemia, la guerra in Ucraina, la crisi energetica, hanno evidenziato le troppe lungaggini esistenti nella governance europea per far fronte alle emergenze politiche, militari ed economiche di questa nostra drammatica attualità. Il principio dell’unanimità, posto a fondamento dei Trattati europei, se da un lato costituisce la massima espressione della rappresentanza di tutti i paesi membri. Dall’altra parte rappresenta un principio ormai incompatibile con la necessaria efficienza e tempestività delle decisioni da assumere in contesti emergenziali. Se ne parla da anni, ma Ungheria e Polonia da un lato e tutti i piccoli paesi membri dall’altro lato si sono ovviamente opposti a questa riforma.
Oggi Ursula von der Leyen ha deciso di venire allo scoperto e di puntare a due obiettivi. Convocare tutti gli stati membri ad una nuova Convenzione per riformare i Trattati fondamentali dell’Unione; Diluire e poi svuotare il dogma del voto all’unanimità.
Difesa, politica estera, energia i temi europei
E’ indubbio che ridimensionare il diritto di veto dei singoli stati membri significa cedere un pezzo di sovranità nazionale all’Unione Europea. Questo, per molti, costituirebbe una sconfitta per i nazionalisti. La Presidente von der Leyen punta ad una mediazione che allarghi il perimetro delle materie deliberabili a maggioranza qualificata lasciando l’unanimità soltanto per alcuni, eccezionali, casi. La Difesa, la politica estera e l’energia dovrebbero essere i settori-chiave nei quali passare dall’odierna unanimità del voto ad una maggioranza qualificata dei paesi membri.
Nei prossimi tre Consigli Europei sarà trattato questo progetto e quindi entro dicembre dovremmo capire la sua praticabilità. Il percorso è molto complesso. I nuovi governi di Centro-Destra che stanno emergendo come vincitori delle elezioni politiche (Svezia e Italia ultimi esempi) non saranno disponibili a ridimensionare il potere di veto dei singoli stati, cedendo un pezzo di sovranità.
Patto di Stabilità sì, patto di Stabilità no
Teniamo conto altresì che, nel contempo, dovrà essere riformato anche l’ormai obsoleto Patto di Stabilità: entro fine ottobre la Commissione dovrà formulare una sua proposta. Anche su questo argomento ci sarà uno scontro tra coloro che vogliono alleggerire i parametri su debito e PIL e quelli che invece insistono sulla rigorosità degli attuali parametri. Insomma, siamo di fronte a un ultimo trimestre del 2022 che potrebbe essere decisivo per il futuro dell’Unione Europea.
Un italiano in un posto “chiave” nel Parlamento Europeo
La notizia ha sorpreso molti. La nomina è stata oggetto di vivaci scontri tra i vari rappresentanti degli stati membri. Alla fine però Alessandro Chiocchetti ce l’ha fatta, è diventato il nuovo Segretario Generale del Parlamento Europeo. Lo ha sostenuto con forza la Presidente Roberta Metsola. Entrerà in carica il 1° gennaio 2023 subentrando al tedesco Klaus Welle che è stato Segretario Generale per 13 anni.
Un interlocutore autorevole con Bruxelles
L’ultima volta che l’Italia ha avuto un suo uomo in questo prestigioso ruolo (a Bruxelles si sostiene che sia la carica non politica più importante della governance europea) risale ad oltre 25 anni fa quando Enrico Vinci ricoprì l’incarico per 11 anni, dal 1986 al 1997. Chiocchetti ha 53 anni e sostanzialmente svolgerà il ruolo di coordinatore e gestore di tutti lavori del Parlamento. Dopo la perdita di David Sassoli, per il governo italiano la nomina di Chiocchetti rappresenta un importante risultato in quanto permette al nostro governo di avere un autorevole interlocutore, “amico” del nostro Paese, in una carica decisiva nell’ambito del potere legislativo della governance europea.
In questo contesto e con queste prospettive, sarà molto importante l’atteggiamento che il nuovo governo Meloni assumerà nei confronti della Commissione della von der Leyen. Continuità della politica di Mario Draghi o discontinuità, con strizzatine d’occhio a Budapest? Questo sarà uno dei primi tavoli sui quali misurare le promesse elettorali dei vincitori delle elezioni italiane.
Riccardo Rossotto