Dopo 15 edizioni, la Biennale d’Arte di Venezia è tornata a essere celebrata in un anno pari. L’esposizione, causa covid, era stata infatti posticipata dal 2021 al 2022.

Ritorno allo spirito degli anni 70

Un cambiamento di data, dopo una pausa triennale, che ha coinciso con un ritorno allo spirito degli anni Settanta (anche allora, tra l’altro, le Biennali si tenevano negli anni pari), quando sulla scia della “contestazione”, nell’arte la denuncia e le ideologie, avevano soppiantato la tensione verso l’estetica. Simbolo di quel periodo, “El Pinin”, un ragazzo veneziano afflitto dalla sindrome di down, esposto, nel 1972, seduto su una seggiola, da Gino De Dominicis, in un angolo della sala che gli era stata riservata. La performance suscitò grande scalpore, tanto da ispirare, sei anni dopo, ad Alberto Sordi l’episodio del film “Dove vai in vacanza?”, intitolato “Le vacanze intelligenti “, in cui l’attore e regista si burlava delle avanguardie artistico-culturali.

Gli spiriti liberi avevano ancora voce in capitolo

De Dominicis era stato ferocemente criticato, durante l’esposizione, anche da un intellettuale sottile come Pier Paolo Pasolini che, in giugno, sul settimanale Tempo, scrisse un articolo dal titolo esaustivo “Il Mongoloide alla Biennale è il prodotto della sottocultura italiana”. Allora, evidentemente, gli scrittori, per loro fortuna, non erano tenuti a obbedire alle regole del linguaggio politically correct.
Con il riflusso degli anni Ottanta si tornò alla pittura-pittura, prevalentemente figurativa. (Margherita Sarfatti e Mario Sironi artefici dell Biennale del 1924, avrebbero parlato di “ritorno all’ordine”). L’edizione del 1980 fu caratterizzata, dalla Transavanguardia, movimento per certi versi “restauratore”, teorizzato da Achille Bonito Oliva.

Parola d’ordine ‘concettualizzare’

Con la Biennale di quest’anno, il pendolo ha toccato l’altro estremo, con un’enfasi esasperata verso la concettualizzazione. Nei 58 padiglioni nazionali è difficile trovare quadri e sculture nel senso classico del termine. Più che l’arte visiva sembra si celebri la scenografia teatrale. Diversi padiglioni sono monotematici, raccontano storie o esprimono sentimenti senza ricorrere a tele o bronzi. A differenza degli anni Settanta, il mood non è la contestazione generica degli stereotipi borghesi, bensì la critica alla società industriale che disumanizza l’uomo, allontanandolo dalla natura, con il risultato di farci precipitare verso la catastrofe ecologica.

Lucciole simbolo di speranza

Naturalmente, anche la tecnologia non è più quella di 50 anni fa. A dominare sono video e digital art. Un’arte appunto di movimento, come quella teatrale o cinematografica. Il Padiglione Italia, da sempre uno dei più attesi, se non altro perché giochiamo in casa, si intitola “Storia della notte e destino delle comete”. Interamente realizzato da Gian Maria Tosatti, come scrive il curatore Eugenio Viola, si tratta di “un congegno esperienziale dall’impostazione teatrale, che articola la narrazione in due atti”. Il primo propone un paesaggio di fabbriche silenti, dove la presenza umana è sparita. “Le ambientazioni alienanti ripercorrono l’ascesa e il declino del grande sogno produttivo italiano”. Un sogno effimero, secondo l’artista e il curatore, che alla fine ha creato danni e rovinato il territorio.

Nella seconda parte, si scorgono delle lucciole, simbolo della speranza che ancora la natura offre. Una metafora già utilizzata, come ricorda Viola da Pasolini che nel 1975, nell’articolo “Il vuoto di potere in Italia”, polemizzando contro la sgangherata (almeno per il Poeta) industrializzazione italiana, scrisse:Darei l’intera Montedison per una lucciola”.

Milo Goj

Milo Goj

Milo Goj, attuale direttore responsabile de L’Incontro, ha diretto nella sua carriera altri giornali prestigiosi, come Espansione, Harvard Business Review (versione italiana), Sport Economy, Il Valore,...

Discussione

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *