L’inizio (9/12/2024) del processo a carico del Primo Ministro di Israele Benjamin Netanyahu a seguito del mandato di arresto spiccato contro di lui dalla Corte Penale Internazionale (C.P.I.) dell’Aja nel 2019 in quanto accusato di “frode, corruzione e abuso di potere” ha richiamato nuovamente su di lui l’attenzione pubblica mondiale. Può pertanto essere utile ricordarne i principali avvenimenti che hanno caratterizzato la sua turbinosa vita. Benjamin Netanyahu è un politico israeliano che è stato il più giovane e complessivamente uno dei più longevi Primi Ministri dello Stato di Israele.

Nato a Tel Aviv il 21/10/1949 da Bensyion Mileikowsky, ebreo polacco askenazita sefardita, professore di storia e filosofia e da Tzila Segal, era l’ultimo di tre fratelli, Iddo medico (nato 1951) e Yonathan militare (nato 1946). Ebbe tre mogli, Miriam Weizmann (dal 1972 al 1978), Fleur Cates ( dal 1981 al 1988) e Sara Ben-Atzi (dal 1991) dalle quali ebbe tre figli,, Noah da Miriam e Yair e Avner da Sara e tre nipoti ( Samuel, David e Ruth) da Noah. Nel 1920 il padre (emigrato dalla Polonia alla Palestina) assunse il cognome Netanyahu (“donato da Dio”) in omaggio alla città di Netanja nella quale aveva trovato accoglienza e lavoro.

Benjamin visse i suoi primi anni con la famiglia a Giaffa dove il padre si era trasferito e successivamente a Gerusalemme ove, dopo gli studi elementari e medi, frequentò l’Università ebraica dal 1956 al 1958. Nel 1963 si recò negli Stati Uniti in un sobborgo di Philadelphia per proseguire ulteriormente gli studi. Rientrò in Israele nel 1967 per prestare servizio militare in occasione della terza guerra arabo/israeliana e fu arruolato nelle forze speciali del “Sayeret Maktal” (Unità dello Stato Maggiore) con le quali partecipò alle Operazioni “Regalo” (1968) e “Isotopo” (1972 nel corso della quale riportò una ferita alla spalla destra) e alla “Guerra del Kippur” (1973) e venne congedato col grado di capitano (“seren”). Tornato negli Stati Uniti, frequentò a Cambridge il famoso M.I.T. (Massachussetts Institute of Technology) conseguendo il titolo di “Bachelor of Science” (Laurea in Architettura) e quello di “Master (Professore) in Business Administration” presso la locale Sloan Business School nel 1977.

Subito dopo trovò impiego come Consulente economico e Direttore di Marketing nel Boston Consulting Group dell’omonima città e vi fondò l’Istituto Nazionale Antiterrorismo intitolandolo a suo fratello Yonathan caduto eroicamente nel 1976 in Uganda nell’”Operazione Entebbe” di cui era comandante. All’inizio degli anni Ottanta iniziò la carriera politica che risultò, negli anni, estremamente travagliata. Nel 1981 entrò nel “Likud”, partito nazionalista conservatore di destra e nel 1984 il Primo Ministro israeliano Yitzak Shamir lo nominò Rappresentante di Israele all’O.N.U. incarico che tenne sino al 1988. Divenuto leader del Likud nel 1993 (e soprannominato “Bibi”) venne eletto alla “Knesset” (Assemblea parlamentare) nelle elezioni dello stesso anno.

Nel giugno 1996 venne nominato Primo Ministro (prima elezione a tale carica) dal Presidente Ezer Weisman a seguito delle dimissioni del Primo Ministro Shimon Peres travolto da uno scandalo personale privato. Rimase in tale carica sino al luglio 1999, allorchè fu anche lui costretto a dimettersi e a indire elezioni anticipate in quanto accusato di “corruzione e malversazioni “ in ambito politico (non ne venne tuttavia processato).

Gli succedette nella carica di Primo Ministro il leader del Partito democratico laburista Ehud Barak e si ritirò dalla vita politica. Ne rientrò nel 2002 sempre nelle file del Likud e il nuovo Primo Ministro dello stesso Partito tornato al Governo, Ariel Sharon, lo nominò dapprima Ministro degli Esteri (2002/2003) e poi Ministro delle Finanze (2003/2005). Da quest’ultimo incarico Netanyahu si dimise in seguito a contrasti intervenuti con Sharon a causa della sua decisione di ritirare le truppe di Israele dalla Striscia di Gaza. Queste decisioni causarono la caduta del Governo Sharon (che lasciò anche il Likud e fondò un nuovo Partito, il “Kadima”) e la nomina a Primo Ministro di Ehud Olmert. Netanyahu tornò alla guida del Likud con il quale partecipò alle elezioni del 2009 e, a seguito di queste, pur non avendo raggiunto il Likud la maggioranza, riuscì a diventare per la seconda volta Primo Ministro (marzo 2009).

Ciò fu possibile a seguito di accordi intervenuti con il Partito di destra di Avigdor Liebermann, che gli permisero di superare il Partito Kadima che aveva vinto le elezioni ma non era stato in grado di trovare apparentamenti sufficienti a costituire un Governo. La successiva tornata elettorale del 2015 confermò la vittoria del Likud e Netanyahu venne confermato nella carica di Primo Ministro (terzo mandato) e tale rimase anche a seguito della tormentata tornata del 2019 nella quale venne nominato Primo Ministro “a interim” dal Presidente Reuven Rivlin (quarto mandato) poiché i Partiti di maggioranza (Likud e la coalizione “Blu e Bianco”) non erano riusciti a trovare un accordo per formare un Governo.

La situazione politica non cambiò nelle successive elezioni anticipate del 2020 e Netanyahu venne confermato Primo Ministro a interim (quinto mandato) sino al giugno 2021 anno in cui – perdurando la situazione di stallo per la formazione di un Governo formalmente eletto – il Presidente Isaac Herzog diede l’incarico di formarlo alla coalizione formata da Naftali Bennett e da Yair Lapid. Questo Governo durò (con l’alternanza dei due leader alla carica di Primo Ministro) sino al luglio 2022 anno in cui vennero indette elezioni regolari che portarono nuovamente alla vittoria il Likud e Netanyahu alla carica di Primo Ministro (sesto mandato) che detiene tuttora. Era stato infatti confermato tale anche nell’ultimo “Governo d’emergenza” (settimo mandato) votato dalla Knesset nell’ottobre 2023 a seguito dell’attacco dei terroristi di Hamas a Israele il giorno 7.

Fra i successi conseguiti da Netanyahu nella sua lunga carriera governativa si ricorda innanzitutto l’aver ottenuto l’appoggio da parte del Presidente degli Stati Uniti Donald Trump dal marzo 2017. Nel 2018 la promulgazione della “Legge fondamentale di Israele” che definiva “la terra di Israele la patria storica del popolo ebraico e in essa era fondato lo Stato di Israele” che sarebbe stata la pietra miliare per ogni successivo rapporto internazionale dello Stato. E nel 2020 la stipulazione degli “Accordi di Abramo” con gli Emirati Arabi e il Barhein con i quali venivano stabiliti per la prima volta rapporti diplomatici.

Assai controversa fu invece per Netanyahu la promulgazione nel luglio 2023 della “Riforma della Giustizia “da lui voluta in quanto essa riduceva il potere della Corte Suprema e l’autonomia della Magistratura nei processi giudiziari e li demandava al Governo. Questa promulgazione provocò forti proteste popolari che ne richiedevano il ritiro. Il Ministro della Difesa Yoav Gallant, che l’aveva criticata sin dal mese di marzo, venne dismesso dall’incarico da Netanyahu nel mese di settembre. La questione sulla “Riforma” venne sospesa a seguito dell’attacco terroristico del 7 ottobre dello stesso anno.

Netanyahu andò anche incontro, nel corso degli anni, a incriminazioni e a processi giudiziari, alcuni dei quali sono tuttora in corso. Nel 2017 venne accusato di aver ricevuto “favori inappropriati” (sovvenzioni economiche in funzione elettorale) dai facoltosi uomini d’affari Arnold Mirchan e James Parker in cambio di agevolazioni amministrative, ma non venne processato. Nel 2019 venne incriminato in un processo presso il Tribunale di Gerusalemme per “corruzione, frode e abuso di potere” per aver promulgato modifiche legislative a favore di importanti gruppi industriali suoi sostenitori politici, processo sospeso anch’esso a seguito dei fatti dell’ottobre 2023. Ben più grave fu l’accusa mossagli dalla C.P.I. dell’Aja in base allo Statuto di Roma del 1998 “per aver ordinato, dal 8/10/2023 al 20/9/2024 sterminii, stragi e negazione di aiuti umanitari alla popolazione civile palestinese nella Striscia di Gaza”.

A seguito di tale accusa il Procuratore Capo della C.P.I. Karim Khan aveva spiccato, il 21/11/2024 mandato di arresto per Benjamin Netanyahu e per il suo ex Ministro della Difesa Yoav Gallant. Il 25/11 questa decisione della C.P.I. fu appoggiata -oltrechè da numerosi Governi – anche dall’Organizzazione internazionale“Human Right Watch” (Orologio sulla violazione dei diritti umani) di New York e, il 30/11 , da “Amnesty International” (Organizzazione per la difesa e la promozione dei diritti umani) di Londra che condannarono come “genocidio” le azioni dell’esercito israeliano ordinate a Gaza da Netanyahu.

Questa presa di posizione della sede centrale londinese di “Amnesty” venne peraltro contestata dalla sede israeliana di “Amnesty” (dalla quale però si dimisero i suoi due membri palestinesi). Il mandato di arresto per Netanyahu e Gallant venne a sua volta respinto dai due accusati che ricorsero all’Aja contro il provvedimento della C.P.I. Questo provvedimento aveva incontrato il plauso di Abu Mazen, Presidente dell’O.L.P. (Organizzazione per la Liberazione della Palestina) e dell’A,N.P. (Autorità Nazionale Palestinese), mentre altri sei Stati (Francia, Stati Uniti, Argentina, Ungheria, Repubblica ceca, Paraguay) lo contestarono.

La contestazione si basava sullo Statuto della stessa C.P.I. che contempla l’immunità di “determinati leader in determinate circostanze” senza peraltro specificarli. La possibilità che tale contestazione fosse ritenuta ammissibile dalla Comunità Europea fu affermata il 30/11 da Josep Borrell, suo Alto Rappresentante della politica estera. Anche il portavoce della C.P.I. Fadi al Abdallah dichiarò nello stesso giorno che l’arresto di Netanyahu e di Gallant avrebbe potuto essere sospeso qualora Israele avesse messo in atto una “indagine approfondita” sui fatti denunciati e avesse preso conseguenti provvedimenti. A questo punto i mandati di arresto sui due accusati rimangono tuttora attivi.

Clamorose sono state recentemente le violazioni di mandati di arresto internazionali da parte di alcune altre Nazioni. Ricordiamo, fra le più recenti, quelle compiute dal Sud Africa e dalla Giordania che, nel marzo 2024, non arrestarono l’ex Presidente del Sudan Omar al Bashir che si era recato in tali Paesi nonostante fosse stato oggetto di un mandato di arresto emesso (2009) contro di lui dalla C.P.I. con l’accusa di “genocidio e crimini di guerra e contro l’umanità” per le stragi compiute dalle sue truppe durante la guerra del Darfur (2003).

E quelle compiute dalla Mongolia che, nel settembre dello stesso anno, non arrestò il Presidente russo in carica Vladimir Putin quando si recò nella capitale Ulan Bator nonostante fosse stato spiccato contro di lui un mandato d’arresto emesso dalla C.P.I. nel marzo 2023 per “crimini di guerra e rapimento di bambini” nel corso della guerra russo- ucraina iniziata nel febbraio 2022. Ricordiamo anche che, dei 49 mandati d’arresto emessi dalla C.P.I. dal 2002 contro Capi di Stato e di Governo e Primi Ministri con accuse di crimini di guerra e contro l’umanità soltanto 11 sono giunti a processo con 7 condanne eseguite.

Gustavo Ottolenghi

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