Le due catastrofi che hanno contraddistinto i primi anni Venti di questo secolo, il Covid e la guerra russo-Ucraina, hanno coinciso con l’avvento di un’autentica dittatura del pensiero unico. Chi si mostrava contrario o anche soltanto scettico sulla narrazione ufficiale, veniva il più delle volte discriminato, insolentito e deriso. O, nella migliore delle ipotesi, ignorato.
Sulla stampa mainstream il dibattito è stato sostituito da un’informazione militante a senso unico. Invece sarebbe importante porsi delle domande, avere dei dubbi. Per capire cosa sta succedendo oggi e cosa potrebbe capitare in futuro. Temi che hanno ispirato questo intervento di Salvatore Garau. Batterista degli Stormy Six, lo storico gruppo del rock progressivo, esponente di punta della contemporary art, fortemente impegnato nel sociale e nella difesa dell’ambiente, Garau ha scritto la sua storia sotto la forma di pièce teatrale. Un atto unico ispirato ai “blues” di Tennessee Williams.
Milo Goj
Personaggi: Diego, artista, Franco, giornalista
Si apre il sipario. Pochi secondi e dal buio totale la luce di due spot cresce lentamente illuminando due personaggi alle estremità del palco; a destra Diego, seduto su una poltrona, a sinistra Franco; seduto davanti a un tavolino mentre sta scrivendo al computer.
Diego prende il cellulare e formula un numero. Squilla il cell di Franco.
Franco – Allora? Finalmente ti fai sentire.
Diego – E’ un momento buono? Altrimenti richi…
F – Ma no! Stavo ultimando l’articolo per domani, ma non preoccuparti, mi fa piacere sentirti. Come stai?
D – Insomma, i ragazzi come stanno?
F – Bene, studiano e… dai, i soliti problemi degli adolescenti, ma direi stanno bene. Ti sento un po’ strano, che succede?
D – Succede che ho le palle girate. Sono molto, molto preoccupato.
F – Mi dispiace, vuoi dirmi cosa…
D – Ti rendi conto che dovrò spendere una barca di soldi per adeguare la casa a quella stronzata del green e…
F – Be’, ma sarà utile all’ambiente, non pensi? Proprio tu che sei sempre impegnato in questi temi.
D – Sai che gli fa all’ambiente il cappotto e i nuovi serramenti, rispetto alle continue manovre di guerra della NATO qui in Sardegna; più di un mese con migliaia di navi, sommergibili, aerei. Non basteranno decine di anni per smaltire quel disastro ecologico quasi davanti casa mia, e a me, a noi, impongono il cappotto! Ti rendi conto? Il cappotto! Sono furioso, cazzo!
F – Hai ragione, purtroppo le esercitazioni di guerra le hanno sempre fatte.
D – E dovrebbero smetterla no? Ripudiamo la guerra e ne siamo circondati e la foraggiamo, possibile? Ma dai! Intere spiagge devastate, contaminate; immagina quante bombe inesplose sui fondali!
F – Lo so, sacrificare e distruggere la Sardegna non è…
D – Dovresti farlo un articolo su questo problema, per favore. Dovresti farlo su queste contraddizioni, sull’inquinamento da guerra…
F – Un articolo su questo… questo argomento adesso mi metterebbe nei casini… voglio dire, non è…
D – Non è conveniente, lo capisco. Siamo sotto il comando di una nazione.
F – Per favore, non ritiriamo fuori l’America, litigheremmo di nuovo e inutilmente. Ormai le cose stanno cosi, non c’è una cazzo di soluzione, e tu lo sai bene.
D – Neanche io ho voglia di litigare di nuovo… No. Ma non è per questo che ti ho chiamato.
F – Immagino per parlarmi della tua ultima mostra. Scusami se non sono venuto al vernissage, ma ho visto le foto delle opere, bellissime. Cercherò di farti fare qualcosa nella pagina della cultu…
D – Ma no, non è neanche per questo, grazie comunque, Franco. No, ti chiamo perché da mesi non trovo il coraggio di farti due domande.
F – Due domande? Eccomi. Conoscendoti saranno un po’ speciali, ma tra noi funziona così. La storia con Maria, immagino, eh? Spara!
D – Con Maria va benissimo; ci siamo lasciati benissimo, intendo. No, due domande che da un po’ non mi fanno dormire. Resterà tra noi, ma ti prego, sii sincero, in nome della nostra amicizia. Se vuoi potrai anche non rispondermi.
F – Caz.. mi metti in ansia. Dai, le domande.
Diego si alza dalla poltrona, fa un giro su se stesso e si risiede.
D – Perché non hai scritto niente, dico niente, quando è stato appurato che il il Green Pass era una stronzata e ci si contagiava ugualmente?
F – Oddio, anche tu? – si raddrizza sulla sedia, sbuffa – Perché… perché la situazione era quella che era, non potevo mica essere l’unico a raccontare questo casino.
D – Per fortuna ci sono stati altri, pochissimi, ma ci sono stati. Ma tu sei il giornalista che sappiamo, scrivi in una delle testate più importanti, avrebbe fatto la differenza un tuo titolo in prima pagina “Il green Pass si è rivelato una stronzata!” tipo; perché non l’hai fatto? C’era gente che si tamponava all’infinito o perdeva il lavoro e… insomma, sappiamo bene cosa è successo, per cosa? Per una patente che non serviva assolutamente a un cazzo!!!
F – Diego, per favore, forse non hai capito, ripeto, avrei avuto tutti contro, mi sarei trovato additato dall’intera redazione, ma lo riesci a immaginare o no? E poi ‘tengo famiglia’.
D – Proprio perché tieni famiglia avresti dovuto alzare la testa e dire ciò che ormai tutti sapevano! Come puoi andare a letto e dormire? Guardare in faccia i tuoi figli. Tu non sei un semplice scribacchino, avevi il potere di dire che tutte le promesse fatte non erano state mantenute, la protezione che doveva durare un anno poi solo tre mesi! E che… che… lasciamo perdere, avrei un elenco infinito di balle che ora sappiamo sono state dette, se morivi per altre patologie ma avevi il covid quella era la causa di morte; prima pagina! Se morivi di vaccino era una coincidenza, silenzio, niente. Franco, che ti è successo?
F – Mi stai attaccando ingiustamente. Io mi attenevo a quello che ci indicavano i virologi e che imponeva il governo.
D – Hai detto bene, che imponeva.
F – Volevo dire che suggeriva. Non potevo scrivere di testa mia su questo argomento; è così difficile da capire?
D – Si. Mi è difficile, soprattutto quando un’altra testata che pesa quanto la tua, inspiegabilmente ha scritto, (forse non si rendevano conto della portata) che se si fossero usati gli antinfiammatori da subito si sarebbero evitati il 92% dei ricoveri. Sai cosa vuol dire, lo sai? Che non si poteva più parlare di pandemia!
F – Si, l’avevo letto, ma…
D – L’avevi letto? E non hai scritto un articolo di fuoco? Eh? Una cosa così incredibile, e tutti in silenzio? Potevi ribattere accendendo un immenso falò come sai fare, se vuoi. Un vero scoop! L’avevi letto… ma accidenti. E mai una parola sulle migliaia di morti ed effetti avversi!
F – Potevamo scrivere di morti di covid accertati, non di morti da vaccino non accertati.
D – Certo, i morti da vaccino erano solo mere coincidenze, anche se morivano il giorno dopo: “sfortunate coincidenze” andiamo. Manifestazioni con migliaia di persone danneggiate e tu? E voi? Neanche una riga. Senti, forse meglio chiuderla qui, mi sto incazzando troppo e non vorrei offenderti. Davvero, non vorrei.
F – Mi hai già offeso abbastanza. – tra i due stagna un silenzio pesante. Franco riprende – Ormai che ci siamo qual’era la seconda domanda?
D – Lascia perdere… sai che preferirei chiuderla qui, lasciamo stare. Finisce come l’altra volta… Barbara? Usa ancora la stampella?
F – No, non la usa più, mia moglie sta bene e non cambiare discorso. Adesso mi fai la cazzo di seconda domanda. Coraggio.
D – (secondi di silenzio) Bene. Quando la Russia ha invaso l’Ucraina hai subito scritto un titolo in prima pagina.
F – Certo! Perché, non eri d’accordo? Non ti stava bene?
D – Ma stai scherzando? Ero d’accordo e mi stava benissimo! Secondo te potevo non essere d’accordo?
F – E allora? Qual è la domanda?
D – Molto semplice: perché non hai scritto una sola riga quando dal 2014, rotti gli accordi, gli Ucraini hanno cominciato a bombardare il Donbass? E subito c’è stata quella strage di Odessa? E tutti, tu compreso, silenzio. Su Youtube ci sono video che è meglio non guardare.
Franco rovista qualcosa nel cassetto. Prende una sigaretta e nervosamente l’accende.
D – Ci sei? Sei tu che mi hai chiesto di farti la seconda domanda, perché sbuffi?
F – Non sto sbuffando, sto fumando, cazzo…
D – Fumando? Non avevi smesso?
F – Certo che ho smesso. Oggi faccio un’eccezione. Il Donbass non interessava a nessuno. Chi vuoi avrebbe letto un articolo sul Donbass, andiamo, nessuno sapeva manco dov’era il Donbass; l’avrebbero scambiato per un ballo della Carrà. Non c’era la notizia.
D – Non c’era, certo, d’altronde in otto anni l’esercito nazi-ucraino ha fatto fuori un quindicimila persone senza la notizia.
F – Adesso si sa; intanto si parla di 14 non 15.000. Te lo ripeto, io sono un giornalista; non c’era la notizia. Poi, perché lo chiami esercito nazi-ucraino?
D – Come dovrei chiamarlo? Basta guardare il battaglione Azov, che si adorna di simboli chiaramente d’ispirazione neonazista, fondato da Andrij Bilec’kyi, suprematista bianco, soprannominato “Il Fuhrer bianco”, ma sono cose che sai benissimo, andiamo!
F – No, scusami Diego, in sintesi, secondo te dovrei scrivere che stiamo mandando armi a un esercito nazista che difende il suo popolo dai comunisti? Ma non ti rendi conto che la frase ha qualcosa di stonato?
D – Ma non stai inventando niente! Cosa c’è di strano? Stiamo dando armi a un esercito con forte connotazione nazista, che però aiuta giustamente il suo popolo a difendersi, che c’è di male?
F – Che c’è di male? Mi stai prendendo per il culo?
D – L’hai letto che Zelensky ha reso pubblicamente omaggio al patriota Dmytro Kotsiubailo deceduto in battaglia, noto come “soldato Leo”; ricopriva un…
F – (Volutamente pedante e didascalico)… ruolo importante in Pravij Sektor, movimento ucraino di destra talmente estrema da sconfinare nel neonazismo. Corretto?
D – Scusami. E’ ovvio che ne sai più di me. Non era mia intenzione darti lezioni di storia recente.
F – Se l’obiettivo è combattere Putin, il fine giustifica i mezzi. Diego. Mettiamo da parte la storia dei nazisti, cazzo! Non è conveniente. È un problema che ora dobbiamo mettere sotto il tappetto. Nell’esercito ucraino ci saranno anche nazisti, come tra i comunisti ci saranno anche non comunisti. Tu forse avresti il coraggio di metterti contro tutti? Per favore, sii sincero.
D – Io non sono un giornalista ma forse… forse hai ragione, non posso pretendere che tu vada contro un pensiero unico.
F – Questo tuo vizio velato di accusarmi mi ha sempre irritato.
D – Sto gestendo male questa telefonata. Me ne rendo conto, abbiamo pensieri opposti e… lasciamo perdere i nazisti. Torniamo all’inizio. Riformulo la domanda: secondo te, quanto tempo ci avrebbero messo gli americani per scatenare un attacco se uno stato abitato da una maggioranza americana fosse stato bombardato?
F – So dove vuoi arrivare. Ok, otto giorni scarsi, ti bastano? Vuoi che ti risponda otto ore? Eppure lo sai bene che un conto sono i russi e un altro gli americani. Non puoi mettere sullo stesso piano le due potenze.
D – (Schizza in piedi e nervoso gira su se stesso) Chiudiamola qui. Ti ho disturbato abbastanza.
F – Aspetta, capisco che i conti non tornano, ma cosa devo dirti? Hai visto L’Iraq distrutto senza motivo? Eppure nessun intervento da parte dell’ONU, del mondo occidentale, nessun castigo. 500.000 bambini morti e una ministra alla tv: “E’ stato necessario”. Eppure, nonostante questo massacro, ti immagini il Presidente degli Stati Uniti accusato e ricercato per genocidio? Le cose vanno così, caro Diego.
D – Infatti, vanno così. (si risiede pesantemente sulla poltrona) Otto lunghi anni aspettando che i cazzo di Russi si muovessero. Ma cosa aspettano? Si domandavano gli americani. Possibile ‘sti Russi si facciano prendere per il culo così? Poi finalmente dalla torretta qualcuno ha gridato: Ci siamo! I Russi attaccano! Comincia il divertimento e tutto quello che ora ci ritroviamo. Perché almeno non scrivi che siamo stati vigliacchi a non intervenire prima che i Russi invadessero, prima che la provocazione fosse insostenibile? La comunità internazionale poteva fermare quegli attacchi sul Donbass. ma agli americani forse faceva comodo, giusto?
F – (Alza la voce) I Russi non dovevano invadere, poche balle. Punto.
D -Infatti hanno sbagliato, dovevano lasciar perdere, fiutare la provocazione. Certo che non dovevano invadere. Fessi, ci sono cascati.
F – Mettila come vuoi, il fatto è che ora non possiamo non scrivere che i Russi hanno invaso una nazione, e i Russi non sono Americani, cazzo. Te lo devo ripetere! Ci arrivi da solo o mi costringi ad accendere un’altra sigaretta?
Silenzio per alcuni secondi, quindi l’unico movimento è di Franco che accende una seconda sigaretta sbuffando il fumo nervosamente. E lui a riprendere la parola.
F – Posso fartela io, adesso, una domanda?
D – Ma fammene anche cento di domande.
F – Una sola. Tu cosa hai fatto in quegli otto lunghi anni in cui l’esercito ucraino, o se vuoi nazi-ucraino bombardava il Donbass?
D – Niente. Non ne sapevo niente.
F – Avresti potuto saperlo da tante fonti alternative ai nostri giornali, come fai
sempre, ma hai fatto finta di niente. Eppure ora sei pronto ad accusare, vero? A puntarmi il dito gridando il tuo disprezzo, sottolineando quanto io sia codardo! Il grande artista che appoggia le grandi cause, paladino contro le ingiustizie!
D – Ti ho detto che non ne sapevo niente!
F – Bugiardo! (la voce si altera). Tu che hai un grande seguito avresti potuto, con una delle tue azioni, che ben sappiamo, fare luce su quella carneficina silenziosa, e non hai mosso un dito. Dipingevi e vendevi i tuoi quadri nella tranquillità della tua vita di successo. Giusto?
Diego non risponde. Trascorrono molti secondi finché abbassa il cellulare.
F – Giusto?!!
Silenzio. Sull’ultima parola, quasi gridata, la luce dei due spot si affievolisce lentamente. Buio completo. Cala il sipario.