La transizione tra un’Amministrazione e la successiva negli Stati Uniti è sempre stata tranquilla, quasi noiosa, banale. Un muoversi tranquillo di ingranaggi ministeriali e burocratici all’insegna della stretta di mano, e del fair play. Ma in un anno come questo non poteva non essere differente. Il Presidente-eletto non è stato invitato alla Casa Bianca, fatica a ricevere informazioni, ha scarso e saltuario accesso ai normali briefings sulla sicurezza nazionale. E nel frattempo, Trump non ammette la sconfitta, fa causa a tutti e su tutto, perde le cause in maniera netta e clamorosa, eppure continua a dimenarsi come un anguilla nelle rare conferenze stampa e giornalmente su Twitter, pretendendo di essere preso sul serio, nonostante la Corte Suprema abbia per ben due volte nettamente respinto le sue istanze. Mala tempora currunt, viene da dire, ma in realtà i tempi difficili che si stanno attraversando in USA sono la prova che il sistema regge, e può reggere, ad un assalto cosi’ indiscriminato e che il 20 gennaio 2021 avremo un nuovo Presidente, ed in un certo senso una nuova vita, una primavera anticipata.
L’attesa è palpabile, ed è incorniciata da una sensazione di speranza, ed una certezza psicologica di miglioramento nella migliore tradizione del patriottismo americano, quello vero. Tre sono le priorità della nuova Amministrazione: il contenimento e l’eventuale sconfitta della pandemia, la ricostruzione dell’economia “vera” (intendo l’economia delle piccole e medie aziende), e il ricucimento dei rapporti con gli storici partner internazionali, tra cui l’Europa ed il Regno Unito. Tutto il resto segue, compreso il miglioramento dei tassi di disoccupazione, la ripresa dei viaggi e degli scambi commerciali, e la cooperazione internazionale in materia di sanità. Siamo ottimisti e concreti. Un po’ come Joe Biden. E lo aspettiamo, quasi fosse Natale.