L’opera di Yoko Ono con la scritta luminosa “Imagine peace” esposta in Wall Street e in altre città del mondo è perfetta, è arte. Chi potrebbe contestare questo messaggio, trovarlo spiazzante o magari tacciarlo di opportunismo? Nessuno. E’ un’opera che dice tutto, ci fa pensare e appartiene alla storia culturale dell’artista.
In questi giorni si moltiplicano le iniziative da parte di artisti in favore della pace dettate dagli eventi drammatici che accadono in Ucraina. Come non essere d’accordo?
L’arte smuove le coscienze
L’arte deve smuovere le coscienze, indicare i problemi della nostra società, le sue contraddizioni, le sue ipocrisie e… veramente a questo punto sorge un dubbio. Non è forse che si parla di pace soprattutto quando una guerra è finita sotto i riflettori del mondo? È solo una coincidenza o funziona proprio così?
In questi giorni, per esempio, parlare di un’altra guerra in corso non sarebbe appagante, non porterebbe a nulla. Insomma, dedicare un’opera o una performance a una delle tante guerre che accadono ora nel pianeta ma che non sono illuminate dai riflettori conviene agli artisti? Per esempio dedicare la propria denuncia artistica alla guerra devastante che tutt’ora è in corso nello Yemen seminando morte tra i civili, sarebbe utile? Forse non non è proprio il caso, chi ti prenderebbe in considerazione?
Inoltre è una guerra dell’Arabia Saudita alla quale forniamo armi che partono dall’Italia, missili assemblati anche in Sardegna (missili bellissimi, bisogna dire, dalla forma aerodinamica, elegante, mi ricordano le sculture di Piacentino). Guerra sostenuta anche dall’America? Va be, adesso non ci interessa. Ci sono i riflettori? No, e allora chi se ne frega. Il sangue è più rosso e luccicante sotto i riflettori dove tutto è più cinematografico, e tutto il mondo è lì, non possiamo mancare; è un’ottima occasione per far sapere quanto noi artisti siamo sensibili ai problemi delle persone che soffrono sotto le bombe. Inoltre le morti di cui non si parla sembrano meno morti, un po’ come la morte per vaccino sembra meno morte di quella causata dal Covid.
Tutta l’arte dice no alla guerra
Ecco che la guerra di cui tutti parlano attira gli artisti come le zanzare sulla luce. È l’occasione giusta per affermare i propri valori per la pace e contro la guerra. È importante dichiarare il nostro NO alla guerra con la propria arte umanamente coinvolta nelle tragedie umane, magari sostituirsi in una spiaggia deserta con la morte finta del proprio corpo al corpo della morte vera di un infante, o chissà quante metafore si possono sfoggiare in situazione di degrado dettate dalla guerra o dalle migrazioni. La fantasia non manca.
Sì, ma ci vogliono i riflettori.
In questi giorni alcuni amici mi hanno suggerito di esporre una scultura invisibile nel centro di Kiev, “Ne parlerebbero tutti, ti rendi conto?” Sì, mi rendo conto, infatti è un’operazione che non farò perché in cuor mio mi puzza di sciacallaggio. C’è forse la necessità di aggiungere un concetto artistico a un’immane tragedia in corso della quale tutti parlano? Qualunque aggiunta sarebbe un diluire il dramma, un po’ come due aggettivi non rafforzano ma sminuiscono un concetto. Vorrei però sottolineare che non esporre una mia scultura immateriale a Kiev, magari dal titolo “Cuore RussoUcraino”, non mi sta rendendo un puro, visto che in qualche modo ne sto qui scrivendo e potrei essere tacciato di opportunismo comunque. Io non sono migliore di altri, sia chiaro. Forse peggiore.
Non è facile giudicare
Però non ho potuto fare a meno di immaginare un artista (coraggioso) che in questo momento espone nel centro di una grande città un pannello luminoso con la scritta “No war in Yemen!” penso metterebbe a fuoco quanto, la stupidità umana, sia a livello planetario; sarebbe un messaggio davvero dirompente e, così spiazzante, renderebbe onore al territorio destabilizzante (e oggi conformista) dell’arte.