Armando Spataro durante il convegno "Solidarietà e immigrazione" organizzato da Area componente di AMN presso aula magna del Palazzo di Giustizia, Torino, 18 Maggio 2015 ANSA/ ALESSANDRO DI MARCO

Pubblichiamo la seconda parte dell’intervista (la prima parte è stata pubblicata il 2° febbraio 2023) che il Dott. Armando Spataro (già ex Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Torino), ha voluto concedere a L’INCONTRO grazie al nostro collaboratore Avvocato Alessandro Re. L’intervista affronta temi di rilevante attualità in materia di Giustizia, alla luce della recente riforma Cartabia e degli attuali e, in parte, persistenti, problemi degli apparati giudiziari del nostro Paese. Confidiamo che i temi toccati siano di stimoli per ulteriori contributi di altri Autori, come auspicato dallo stesso Dott. Spataro nelle sue parole conclusive.

4) Il nuovo delitto di cui all’art. 434-bis c.p. (Invasione di terreni o edifici per raduni pericolosi per l’ordine pubblico o l’incolumità pubblica o la salute pubblica) è una norma imposta da reali esigenze di tutela (oltre che di necessità e urgenza), oppure appartiene al novero del c.d. “diritto penale simbolico”, vista la presenza, nel nostro codice penale, del delitto di cui all’art. 633 (Invasione di terreni o edifici)? Solleva preoccupazione in ordine ai diritti costituzionali e sovranazionali (artt. 11 e 17 CEDU)?

Ritengo che si sia in presenza di una evidente risposta populista, a problematiche peraltro marginali, che appare anche tecnicamente inidonea rispetto ai fini della nuova norma (434 bis c.p.). Già esistono reati che puniscono cessioni di stupefacenti, resistenza a pubblico ufficiale, così come particolareggiate norme amministrative sulla necessità di richieste di autorizzazioni per manifestazioni pubbliche di qualsiasi tipo e sui requisiti per rilasciarle. Così come vi è nel nostro Paese una Polizia assolutamente preparata sotto il profilo dell’ordine pubblico, della sua tutela e della capacità di rapportarsi con i manifestanti. Anche se occorrerà poi valutare la norma nel momento della sua futura possibile applicazione, non si può non sottolineare varie criticità. Ad esempio, perché scatti una sanzione penale, occorre il limite numerico di almeno 50 persone che, invaso un terreno pubblico, abbiano generato pericolo.

Ve l’immaginate la Polizia di servizio che si impegna a contare i singoli partecipanti? E se questi sono solo 49? Battute a parte, più seria è un’altra osservazione: si dice che si vuole limitare il numero delle intercettazioni possibili, ma si prevede per questo reato di “partecipazione a rave party” la pena massima di 6 anni. Ecco allora che l’intercettazione può ben essere autorizzata anche in questo caso ed il numero dei reati per cui è possibile aumenta anziché diminuire! Mi pare, con franchezza, che vi siano già le norme e gli strumenti idonei per reprimere fenomeni di illegalità anche di basso livello relativi a pubbliche manifestazioni: si deve dunque evitare di sconfinare, pericolosamente, nella limitazione delle libertà costituzionali, come quella di riunirsi.

5) Lei ha fatto cenno alla riforma del sistema delle intercettazioni di cui molto si discute. Cosa ne pensa? Vi sono altre leggi approvate o in programma che vuole qui commentare?

Non ho sin qui praticamente mai condiviso il pensiero del Ministro, specie quando ha denunciato l’eccesso di intercettazioni in Italia e la necessità di porvi rimedio. Questa è un’affermazione ormai abusata e priva di fondamento. In alcuni Paesi, addirittura, non è prevista neppure la necessità di autorizzazione giudiziaria perché le forze di polizia o i servizi possano effettuare le intercettazioni. E in ogni caso, domando, ha senso contare le intercettazioni senza valutare numero e qualità dei reati nel nostro Paese? Non è neppure tranquillizzante sentire che le intercettazioni per mafia e terrorismo non saranno limitate come altre. L’errore sta nel trascurare che un’intercettazione può non essere inizialmente finalizzata ad indagini su un’associazione mafiosa, ma per altri reati. Però, poiché la mafia è sempre alla ricerca di denaro e potere, vi possono ben essere indagini che utilizzano intercettazioni per frodi fiscali, per bancarotta, per concussione, per corruzione etc., ma finiscono spesso con il rivelare intrecci mafiosi.

Non si tocchi, dunque, l’elenco dei reati per i quali il nostro C.P.P. prevede possibilità e condizioni per intercettare conversazioni telefoniche ed in presenza, disciplinando anche le modalità di esecuzione delle operazioni, nonché regole di inutilizzabilità, custodia e distruzione delle conversazioni irrilevanti. E non è un caso che, da due anni – sulla originaria spinta della riforma Orlando del 2017 – vige una norma che impone di inserire nel fascicolo solo le conversazioni che un giudice, su richiesta delle parti, valuta rilevanti. Un sistema che sta funzionando a giudicare dal crollo delle pubblicazioni sui giornali, in violazione delle norme sulla privacy, di conversazioni non depositate processualmente. Quando una tale diffusione dovesse verificarsi, restano il dovere per i magistrati di indagare sul reato e il potere del Ministro di avviare eventuali inchieste disciplinari.

Per finire, vorrei spendere ancora poche parole a commento del D.L. 2 gennaio 2023, n.1, che potrebbe essere chiamato “Decreto anti O.N.G.” e che spero sia seriamente modificato, se non cancellato, in sede di conversione in legge, anche perché non si individua l’urgenza che ne avrebbe dovuto giustificare l’approvazione governativa. Intanto, si tratta di un altro caso di apposizione di bandierine identitarie in nome della “sicurezza”, il brand più abusato di questi anni, anche e soprattutto nel campo dell’immigrazione, ove rappresentanti di governo sembrano da anni voler tranquillizzare i cittadini che hanno contribuito ad allarmare in modo ingiustificato.

Ho già dichiarato al quotidiano Avvenire che si tratta di un provvedimento contro il quale potrebbe svilupparsi una sorta di “disobbedienza civile”, perché evidente è la stretta che ne deriva alle attività di salvataggio delle navi delle ONG, definite “fattori di attrazione” o “taxi del mare”. Non è accettabile, da un lato, la prassi che si sta attuando ultimamente consistente nell’inviare le navi che hanno effettuato salvataggi nel Mediterraneo in porti lontani, così rendendo più costosa la loro attività e più lunga la loro assenza dal mare che i disperati tentano di attraversare. Dall’altro, è davvero a rischio di incostituzionalità il divieto di salvataggi plurimi da parte di una nave che abbia già effettuato un salvataggio e apprenda di un altro naufragio mentre si sta dirigendo verso il porto sicuro: il secondo salvataggio sarebbe legittimo solo in presenza di un altro permesso da parte del Centro di Coordinamento.

Credo che il comandante della nave che omettesse il secondo salvataggio incorrerebbe in una clamorosa violazione del nostro codice penale, che impone il dovere di intervenire con urgenza e semmai punisce chi vi si sottrae. Convenzioni internazionali, Costituzione e leggi nazionali prevedono infatti l’obbligo di assistenza nei confronti di chi – salvato in mare – dev’essere trasportato con urgenza nel porto sicuro più vicino. Molto altro si potrebbe dire sul “decreto anti-Ong”, ma voglio chiudere citando ancora un paio di punti gravemente critici: il primo è quello del volere affidare ai Prefetti la competenza ad irrogare pesanti sanzioni amministrative per violazioni dei divieti previsti, così scavalcando quella dell’A.G. indipendente.

Il secondo è l’illegittimità della previsione secondo cui i naufraghi dovranno manifestare l’interesse a chiedere asilo a bordo della nave di soccorso: in realtà, la procedura di richiesta di asilo sulle navi (che qualcuno pensa possa servire ad attribuirne la competenza agli Stati di bandiera) è priva di base giuridica ed è stata già bocciata dalle corti internazionali, dovendosi sviluppare una volta effettuato lo sbarco nel porto d’attracco. Altro, ovviamente, è impegnarsi per un accordo che coinvolga tutti i paesi europei, ma rispettando i diritti di chi lascia il suo paese solo per una speranza di vita dignitosa.

Spero che su tutti i problemi di cui abbiamo sin qui discusso sia possibile una leale interlocuzione tra tutti i protagonisti del mondo della giustizia, dagli avvocati agli accademici ed ai magistrati, auspicando l’attenzione di chi deve legiferare e di chi deve informare.

Alessandro Re

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