Nel corso del primo processo a carico del capitano Erich Priebke nel 1996 venne alla luce l’esistenza di quello che il giornalista Franco Giustolisi definì “Armadio della vergogna”.

Priebke era imputato per “Concorso in violenza con omicidio continuato a carico di 335 cittadini
italiani
”. Omicidio effettuato come rappresaglia per l’uccisione di 26 militari tedeschi in un attentato
in via Rasella a Roma, avvenuto il 23 marzo 1944. L’armadio ritrovato conteneva importanti documenti storici degli anni 1944/45. Documenti dei quali l’Autorità giudiziaria non ne sapeva nulla.

Un “promemoria segreto”

Durante la nona delle ventiquattro udienze che sarebbe durato il processo, il procuratore militare generale Antonino Intelisano aveva udito menzionare l’esistenza “Atrocities in Italy”. Si trattava di un “promemoria segreto” del S.O.E. (Special Operations Executive) britannico.

Fu il S.I.S. (Secret Intelligence Service, Servizio segreto britannico) a consegnare il “promemoria” alla Magistratura militare italiana nel settembre 1945. Il “promemoria” conteneva notizie di stragi, eccidi, omicidi compiuti in Italia dal 1943 al 1945 dalle Forze armate tedesche. E soprattutto non risultava allegato agli atti del processo.

Il ritrovamento dell'”Armadio della vergogna”

Nel novembre 1994 cercando il documento Intelisano scoprì l’armadio in cui si trovava. Il mobile era situato in uno sgabuzzino al pianterreno del palazzo Cesi-Gaddi, sede della Cancelleria della Procura generale militare di Roma in via degli Aquasparta 2. Lo sgabuzzino era
chiuso da un cancello e bloccato con un lucchetto. L’armadio era a sua volta chiuso a chiave e disposto in un angolo dello sgabuzzino con le ante appoggiate al muro. Scelta per renderlo il più possibile anonimo e inaccessibile al suo interno.

Il “promemoria” era composto da 695 fascicoli numerati. L’armadio conteneva anche un Registro generale della Procura del Tribunale militare di Roma che ne riportava l’oggetto. Oltre 13mila pagine, 2.274 atti criminosi commessi in Italia tra il 1943 e il 1945 dalle Forze armate tedesche, su oltre 15mila persone. Questi documenti erano stati messi nell’armadio nel gennaio 1960 a seguito della loro “archiviazione provvisoria”.

Una procedura non prevista da alcun ordinamento giuridico allora vigente. L’archiviazione era stata disposta dall’allora procuratore militare Enrico Santacroce. “(…) dall’esame dei documenti, non si sono avute notizie utili per la identificazione dei loro autori e per l’accertamento delle relative responsabilità. E quindi non era stato disposto alcun luogo a procedere né si era addivenuti ad alcuna incriminazione”.

Il ruolo del procuratore Intelisano

I Fascicoli riportavano il luogo ove il crimine era stato compiuto, la data della sua esecuzione, il nome e il grado di colui che lo aveva fatto eseguire personalmente. E inoltre il numero delle vittime di ognuno di essi. Il procuratore Intelisano secretò tutti i fascicoli e li inviò alle rispettive Procure militari territorialmente competenti. Ovvero: 214 a La Spezia, 119 a Torino, 108 a Verona, 87 a Padova, 32 a Napoli, 4 a Bari e 2 a Palermo. Trattenne a quella generale di Roma i 129 restanti. Queste diverse Procure istruirono, dal 1994, migliaia di processi a carico di presunti colpevoli. Ma la quasi totalità di essi non poté essere celebrata a causa di prescrizioni o irreperibilità o decessi degli imputati.

Un velo di silenzio si estese da allora sul caso dell’”Armadio della vergogna” sino al 1999. Quell’anno intervenne il vice presidente del Consiglio Superiore della Magistratura, Giovanni Verde. Nel 2001 intervenne anche il presidente della Commissione Giustizia della Camera dei Deputati, Franco Zappa. Cosa veniva evidenziato? “Anomalie nella gestione dei fascicoli, eseguite allo scopo di impedire azioni giudiziarie a carico dei responsabili di quanto compiuto dalle Forze armate tedesche in Italia nel periodo 1943/45”.

I motivi dietro all’occultamento

Nel maggio 2003 si istituì (Legge 107) una Commissione parlamentare di inchiesta (Commissione Tanzilli) sulle cause dell’occultamento dei Fascicoli.

La commissione raccolse 8mila documenti. Dalle loro analisi emerse che le “anomalie” e gli occultamenti dei fascicoli erano stati giustificati da tre “situazioni di ragion di Stato” . Ragioni che si erano determinate alla fine della guerra.

Prima: il mantenimento di buoni rapporti, nell’ambito della Alleanza atlantica, con la Germania occidentale in funzione antisovietica. Seconda: la salvaguardia dell’Italia dalla possibilità di analoghe inchieste sulle violenza compiute negli anni ’30 e ’40 da soldati italiani in Etiopia, Albania, Jugoslavia e Grecia. Terza: il silenzio sui nominativi di quei nazisti colpevoli delle stragi che erano stati arruolati, dopo il 1945, nei Servizi segreti occidentali. Pertanto la loro secretazione avrebbe dovuto esser mantenuta.

Le ricerche sui fascicoli cessarono nel 2016

Seguendo questa via di “real politik”, ogni altra ricerca sui fascicoli venne sospesa sino al gennaio 2016. L’allora presidente della Camera dei Deputati Laura Boldrini annunciò che, su sua specifica richiesta, tutte le risultanze della Commissione Tanzilli sarebbero state desecretate. Messe a disposizione del pubblico sul sito dell’Archivio storico della Camera dei Deputati dal febbraio successivo.

Sulla scorta di quanto pubblicato da Franco Giustolisi l’analisi dei documenti è proseguita nel 2002, da Mimmo Franzinelli nel suo libro Le stragi nascoste. E quindi dai giornalisti Marco De Paolis, Andrea Speranzani, Carlo Gentile, Paolo Pezzino, Luca Baldassarre, Giovanni Contini, Toni Rivatti. Ma le conclusioni definitive sulla complessa vicenda sono ancora a venire.

Gustavo Ottolenghi

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