Nell’ottobre 2019 Vladimir Putin e Recep Tayyip Erdoğan, durante un lungo colloquio a Sochi, avevano concluso uno “storico” accordo che prevedeva l’evacuazione delle milizie curde YPG da un’area di 30 km dal confine turco-siriano entro 150 ore.

Il primo punto di tale intesa chiariva l’impegno delle parti a preservare l’unità politica e l’integrità territoriale della Siria e la protezione della sicurezza nazionale della Turchia, sottolineando – nel secondo punto – la loro determinazione a combattere il terrorismo in tutte le sue forme e le forze separatiste nel territorio siriano.

Per tali motivi l’accordo prevedeva l’inserimento della provincia di Idlib, situata vicino al confine con la Turchia, in una delle quattro cosiddette “de-escalation zone” della Siria, cioè aree in cui alle forze militari non è consentito dispiegare né effettuare attacchi.

Da sottolineare che in tale zona, dal 2012, sono presenti molteplici milizie ribelli di vario orientamento ideologico. Tra queste sono divenute predominanti Tahrir al-Sham (HTS) di formazione militante salafita ed Esercito Nazionale Siriano (SNA), un gruppo armato dell’opposizione siriana prevalentemente islamista che gode del sostegno di Ankara.

Gli accordi di Sochi sono giunti poco dopo il ritiro dal nord della Siria delle truppe  statunitensi che avevano fiancheggiato i curdi dell’YGP contro lo Stato Islamico, portando di fatto ad un ampliamento delle aree sottoposte al controllo turco. Dopo il ritiro annunciato da Trump, infatti, Erdogan non ha perso tempo a lanciare un’imponente operazione militare contro le forze curde dell’YGP, per creare una zona “sicura” (se così si può dire) nel nord del Paese per la ricollocazione dei siriani fuggiti in Turchia a partire dal 2011.

Tuttavia, per i russi gli impegni di Sochi sono stati disattesi da Erdogan e questo avrebbe giustificato l’avanzamento dell’esercito siriano e delle milizie alleate, con l’aiuto dell’aviazione russa, nella zona sud della regione di Idlib.

L’uccisione di 6 soldati turchi all’inizio del mese di febbraio da parte delle forze governative siriane ha riacceso le tensioni tra Ankara e Damasco. Nonostante il tentativo di mediazione di Putin la crisi non è stata risolta; anzi la situazione è peggiorata il 27 febbraio, quando un nuovo attacco dell’esercito siriano ha causato la morte di altri soldati turchi.

La risposta di Ankara non si è fatta attendere, da un lato con l’avvio dell’operazione militare “Spring Shield” contro il regime siriano a Idlib e dall’altro con l’apertura dei confini verso la Grecia ai profughi siriani, una provocazione fin troppo forte finalizzata all’ottenimento di un maggiore sostegno europeo contro il regime di Assad e la Russia.

L’Ue nel 2016 si era impegnata, con una “dichiarazione congiunta”, a pagare 6 miliardi di euro alla Turchia entro il 2019 in cambio della gestione emergenziale dei profughi, che oggi sono quasi 4 milioni. I finanziamenti alla Turchia avrebbero dovuto far guadagnare tempo all’Ue per pensare ad una soluzione di lungo periodo per porre un freno al fenomeno migratorio.

Queste sono le complicate premesse politiche del drammatico esodo di migliaia di migranti che, alla notizia dell’apertura dei confini della Turchia, hanno immediatamente cercato di raggiungere la Grecia. Si tratta di migliaia di migranti, non solo siriani, che vivono già in Turchia e non a Idlib.

l raggiungimento dell’Europa non è semplice: l’attraversamento del fiume Evros è molto rischioso e i migranti che cercano di raggiungere l’isola di Lesbo, oltre alle avverse condizioni metereologiche, incontrano una forte resistenza delle persone del posto.

Infatti Erdogan ha successivamente ordinato alla Guardia costiera di bloccare i migranti che tentano di raggiungere la Grecia attraversando il mar Egeo per ragioni di sicurezza.

Ma il vero problema è l’attraversamento del confine terrestre ancora aperto, cui la Grecia si oppone schierando poliziotti e soldati che difendono anche attraverso l’uso di violenza, lanciando gas lacrimogeni e proiettili.

Dopo questi eventi, Erdogan e Putin si sono incontrati nuovamente e hanno raggiunto un accordo per cessare il fuoco a Idlib. L’intesa prevede anche un corridoio di sicurezza lungo la strategica autostrada M4 nella zona di Idlib, che sarà controllato congiuntamente da pattuglie russe e turche.

Durante il colloquio è stato ribadito, ancora una volta, il necessario rispetto dell’integrità territoriale della Siria.

Ma gli interessi in gioco non sono pochi; da un lato Putin – data la vicinanza al Medio Oriente –  coltiva alleanze strategiche alternando mediazione e supporto militare, dall’altro Erdogan che intende salvaguardare la sicurezza nazionale attraverso la ricollocazione in Siria di milioni di migranti presenti in Turchia. Le truppe di Assad non intendono rinunciare alla riconquista delle aree siriane controllate da Ankara, supportate dai russi.

Intanto nessun risultato concreto arriva da parte dell’Ue che rimane a guardare continuando ad agire nel proprio interesse, mentre migliaia di migranti, tra cui molti bambini, vengono respinti con violenza, feriti e uccisi drammaticamente alle proprie porte.

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