I sondaggi politici pubblicati sui giornali nel periodo precedente le elezioni, sono un po’ come gli articoli sul calcio mercato che appaiono tra giugno e luglio sulla stampa sportiva. Suscitano interesse e curiosità, piacciono ai lettori, ma non vengono presi come verità assolute. E a volte, non sono considerati nemmeno troppo attendibili. Possono fare sognare (o al contrario creare incubi), ma appartengono alla sfera della suggestione. Solo il giorno di chiusura della campagna acquisti e quello successivo al voto, le carte saranno scoperte e si passerà delle previsioni o, meglio, dalle predizioni, alla realtà.
Poco più che una suggestione…
A pensarla così è Nestar Moreno Tosini. giornalista e sociologo italo svizzero. A causa di troppi errori clamorosi, come nel caso della Brexit o dell’elezione di Trump, secondo Tosini, che afferma di essere in buona e vasta compagnia, i sondaggi politici vengono considerati ormai poco più che un divertissement.
Ma è davverò così?
L’Incontro ne ha parlato con Angelo Maria Perrino, fondatore e direttore di Affaritaliani, il primo quotidiano on line del nostro Paese, una delle testate più lette e autorevoli, anche per la pubblicazione dei sondaggi politici. I lettori mi scusino se con il nostro “ospite” ci diamo del “tu”. Ci conosciamo da decenni, ci siamo entrambi fatti le ossa, negli stessi anni, in Mondadori, lui a Panorama, io a Espansione. Intervistarlo dandogli del “lei” mi sarebbe sembrato innaturale.
I sondaggi? Non sono da buttare, indicano una tendenza
«Non condivido questa analisi così critica sui sondaggi», esordisce Perrino, «sono pur sempre l’unico strumento in grado di dare indicazioni sul “sentire” dell’opinione pubblica nel periodo compreso tra la decisione di andare a votare e il voto stesso. Certo, non si può pretendere che azzecchino la percentuale esatta del risultato elettorale di un partito. Ma comunque indicano una tendenza precisa. E’ incontrovertibile, ad esempio che da mesi sia in atto un fenomeno “Meloni” che attira sempre più consensi. L’importante è avere sempre chiaro che un sondaggio fotografa la situazione del momento in cui viene effettuato. Anche solo poco tempo dopo, per i motivi più disparati, le cose possono cambiare. Vorrei aggiungere che ad aver contribuito a togliere credibilità ai sondaggi sono gli exit poll immediatamente successivi alla chiusura delle urne. Spesso sono stati smentiti in modo clamoroso. Qualcuno può fare confusione, ma non hanno nulla a che fare con i sondaggi pre elettorali».
Ma avranno pure qualche difetto, questi sondaggi elettorali?
«Bisogna saper controllare la metodologia: se non è rigorosa, in effetti, l’errore, anche significativo è dietro l’angolo», continua Perrino. Angelo, veniamo entrambi dalla stampa economica. Nelle redazioni si diceva che difficilmente una ricerca di mercato avrebbe dato un risultato sgradito alle attese dell’amministratore delegato che l’aveva commissionata. Non sarà così anche per i sondaggi politici?
Non si può perdere di credibilità
«I partiti», racconta il direttore di Affaritaliani, «anche in periodo non elettorale, commissionano, spesso per uso interno, sondaggi. Gli obiettivi sono molteplici, capire se si è in sintonia con la gente, comprendere i trend e le esigenze più sentite, e così via. Si crea quindi un rapporto stabile tra un partito e uno o più istituti. E’ possibile che poi, nelle settimane precedenti le elezioni, se questi professionisti rendono pubblici i loro sondaggi, abbiano un occhio di riguardo per i loro committenti abituali. Questo non dovrebbe succedere però con le grandi strutture, che non possono perdere la propria credibilità». Veniamo a un grande tema, trasversale per tutti i partiti, la crescita dell’astensionismo. Cosa dicono i sondaggi con cui ti confronti abitualmente?
Astensionismo: un tema insondabile
«Non è possibile prevedere niente su questo punto», ammette Perrino, «è un tema insondabile. Personalmente posso pensare che non vi siano elementi in grado di invertire la tendenza. Sul piano dell’educazione civica non c’è niente all’orizzonte. Poi abbiamo una legge elettorale che sembra fatta apposta per favorire le oligarchie. Infine tra la gente cresce la sensazione che qualunque sia l’esito delle elezioni, alla fine a decidere saranno non i loro voti, bensì trame di Palazzo. Può apparire incomprensibile, altrimenti, come mai il PD, che nel 2018 è stato punito pesantemente dalle urne, abbia poi avuto un ruolo determinante nel secondo governo Conte e in quello Draghi. Insomma, qualcuno potrebbe dire: se alla fine, qualunque cosa succeda, governa sempre il PD, cosa voto a fare?».
Sono pochi i leader capaci di accendere la passione politica
Forse l’astensionismo dipende pure dal fatto che, dopo Berlusconi, abbiamo avuto governi non collegati direttamente all’esito del voto e la passione politica si è spenta. «In realtà», ribatte Perrino, «non è vero che in questi 12 anni, dopo Silvio, che con i suoi immensi mezzi rappresenta un fenomeno non replicabile, non ci siano stati personaggi in grado di riaccendere le passioni. Beppe Grillo lo aveva fatto e ora lo sta facendo Giorgia Meloni».
Chi vince deve governare
Affaritaliani organizza da anni a Ceglie Messapica, in provincia di Brindisi, “La Piazza”, una kermesse divenuta uno dei maggiori appuntamenti pubblici per i dibattiti politici. Angelo, tu che da conduttore e organizzatore hai parlato nell’ultima edizione, a fine agosto, con politici di primo piano e hai sentito il polso della gente, cosa dici: la stagione dei governi tecnici è davvero finita? «Sia le dichiarazioni dei leader di partito, sia il sentiment comune auspicano un ritorno alla politica. Tolto gravi emergenze, anch’io sono convinto che debba governare chi vinca le elezioni. Non si può dare del “non democratico” a chi è stato scelto, in modo regolare dal Popolo. Ha il diritto e il dovere di governare, possibilmente senza ingerenze esterne».
Milo Goj