Alessandra Jatta è autrice di due straordinari romanzi: “Foglie sparse” del 2022 “L’apolide” di quest’anno, entrambi editi da Voland. Si tratta di due romanzi, scritti con il piglio avvolgente di un classico dell’800, tale da cominciare a leggerli e non staccarti più fino alla fine.
Hanno molti personaggi, ma un’unica eroina, Olga Olsufieva, una nobile russa della corte dello zar che scopriremo essere la bisnonna dell’autrice, che ha arredato i libri anche di una significativa documentazione fotografica.
Alessandra Jatta, mi sembra che le fonti della tua narrazione sia il quaderno di Olga in cui racconta la sua fuga dalla Russia, ma, per il grande quadro in cui inserisci la sua vicenda non sia solo questo la fonte della tua narrazione. Di quali altre fonti ti sei servita e quanto hai lasciato all’immaginazione, senza considerare, naturalmente, l’importanza dello spaccato storico?
Oltre al preziosissimo diario di nonna Olga, scritto a Firenze nel ‘19 pochi giorni dopo essere approdata nella città che sarebbe in seguito diventata la sua nuova patria, mi sono avvalsa di un’enorme quantità di lettere, telegrammi, cartoline conservate con cura prima da lei, poi da mia nonna Assia Olsufieva e infine da mia madre Cristina Busiri Vici, oltre a documenti di ogni tipo, tutti preservati dalle mie antenate con una premura quasi maniacale.
Quei documenti erano infatti tutto ciò che restava loro del passato e quindi avevano un significato importantissimo ai loro occhi e lo sono diventati anche ai miei quando ho deciso di scrivere la loro storia e ho capito che immenso regalo mi avevano fatto nel conservarli.
Io ho solo messo insieme i pezzi, li ho incollati come meglio ho potuto, avvalendomi anche dei ricordi orali di tanti zii e cugini che me li hanno trasmessi con grande generosità e affetto, e là dove ne mancava qualcuno, oltre a ricorrere alla fantasia mi sono avvalsa degli strumenti che avevo acquisito studiando la storia e la letteratura Russa in Italia e all’estero, frequentando biblioteche, istituti di cultura e infine viaggiando alla ricerca delle tracce degli Olsufiev.
Lo spartiacque nella vita di Olga e della sua famiglia all’epoca è stata la Rivoluzione russa dell’ottobre 1917. Come ti poni oggi tu nei confronti di quell’evento storico come discendente, soprattutto nei confronti di chi lo esaltava e, ideologicamente, continua a farlo?
Ovviamente, in qualità di discendente di una stirpe che a causa della Rivoluzione d’ottobre è stata costretta all’esilio, non posso considerarlo positivamente, pur riconoscendo che la classe alla quale appartenevano i miei antenati aveva commesso molti errori e che probabilmente questi contribuirono a quell’inevitabile, drammatico epilogo. Detto questo, non credo che aver sostituito lo zar con la tirannia bolscevica delle purghe staliniane e delle tante altre azioni contro la libertà dell’individuo perpetrate nei settant’anni di comunismo in Russia, sia stata una buona cosa per il popolo russo, basta leggere Bulgakov e Solgenitsin per rendersene conto.
In “Foglie sparse” confessi come dal tuo viaggio di studio nella Mosca sovietica del 1980 ti abbia molo sorpreso scoprire nel paese una ‘mancanza di passato, di storia, di memoria’ chiaramente manipolata dal potere sulle vicende precedenti la Rivoluzione. Una scoperta, per inciso, che feci anch’io nel corso di un viaggio in Uzbekistan, dove, a Tashkent, una guida nata nel periodo sovietico, stigmatizzava sul fatto che fosse stata all’epoca rimossa la storia del proprio paese e di averla scoperta soltanto dopo la fine dell’Urss, e lì parliamo di Tamerlano…
Quando nel 1880 mi recai a Mosca per la prima volta, con una borsa di studio dell’università di Roma, fui sorpresa nel constatare quanto i russi avessero dimenticato del loro passato, quanto poco fosse rimasto della meravigliosa cultura russa nei nuovi abitanti sovietici che popolavano la capitale e che vedevo camminare a testa bassa per le strade tappezzate di pannelli dagli slogan politici sgargianti.
Nel giro di sessant’anni dalla fuga della mia famiglia da quel meraviglioso paese tutto era cambiato e non riuscivo a trovare alcuna somiglianza tra i luoghi tristi e anonimi che frequentavo e i racconti fantastici di mia nonna sulla sua patria: del suo mondo non era rimasto più niente!
Il comunismo era riuscito a spazzare via tutto, e non solo quello che non andava della società zarista, ma anche e soprattutto quello che c’era di buono e prezioso. La Russkaja duša, l’anima russa, era stata annichilita dalla burocrazia sovietica, ingrigita dai piani quinquennali, spazzata via dalla delazione, dalla paura di essere considerati antisovietici, dal rischio di finire in Siberia o peggio, negli scantinati del KGB.
In L’apolide, gli Olsufiev sono ormai diventati fiorentini. Come figlio di esuli fiumani ho molto partecipato alla sofferenza dell’abbandono di tutto e poi, entrando nella vita dei personaggi, alle sofferenze di Vasilij che si fa carico di tutto per reperire le risorse necessarie per tirare avanti dignitosamente, mentre Olga, indifferente, è schiava della sua ludopatia, oltre che civettare prima con il comandante Paploe, poi con l’avvocato Gobbo. Devo dire che se all’inizio Vasilij, per la sua gelosia, mi stava un po’ antipatico, dopo l’ho sempre più apprezzato, contro Olga che se ne infischiava. Anche se, alla fine, la morte di Olga mi ha fatto sentire il vuoto di un personaggio così potente. Come ti sei sentita tu come autrice?
In casa le figure di nonno Vasilij e nonna Olga venivano ricordate spesso e non sempre allo stesso modo. C’era chi trovava il nonno un uomo coraggioso, dolce e generoso e diceva di Olga cose meno gentili, chi invece sottolineava la forza e la determinazione di lei e riteneva che lui alla fine fosse diventato solo un peso per la famiglia. Io ho cercato di dare al lettore tutti gli elementi per farsi una propria idea su di loro e quindi non risponderò a questa domanda, mi limiterò a sorriderti e a chiederti di suggerire ai tuoi lettori di fare altrettanto.
La storia mi ha preso tanto da chiedermi, e ora di chiederti, se si prospetta una trilogia.
Chissà? Forse. Mi piacerebbe un giorno narrare le vicende di mia nonna Assia, la prima delle sorelle Olsufiev, anche se le vite di tutte e quattro meriterebbero di essere raccontate. La loro arte, le loro difficoltà nell’inserirsi in una cultura italiana molto maschilista, dove il ruolo delle donne era spesso relegato in casa con i figli anche nell’alta società che con i mariti frequentavano, descrivere questo incontro/scontro culturale e umano, la passione che le animava e dipingere con le parole i loro ritratti.
Diego Zandel