Lo squallido fenomeno dell’antisemitismo (parola coniata nel 1880 da Wilhelm Marr nel suo libro “La strana vittoria del Germanesimo sul Giudaismo”, inteso come avversione nei confronti dell’ebraismo, ha radici millenarie: nel paganesimo (Lisimaco, Giuseppe Flavio, Orazio, Tacito, Giovenale), nel cristianesimo (Bibbia, Libro di Esther), nel cattolicesimo (S. Agostino, S. Bernardo da Chiaravalle, S. Giovanni Crisostomo), nel protestantesimo (M. Lutero “Sugli Ebrei e le loro menzogne”, 1543) e nell’Islam (Corano, Hadith di Maometto).
L’accusa agli ebrei (giudei, semiti, cioè provenienti dalla Giudea palestinese, discendenti di Sem, primo figlio di Noè) è sempre stata duplice: di tipo religioso (deicidi uccisori di Gesù, negatori della sua natura messianica, omicidi rituali) e politico-sociale (cospirazione a danno dell’Umanità, refrattarietà verso altre culture, usura, mercimonio). In epoca moderna fu fondamentale – nello screditare gli ebrei – la pubblicazione, nel 1903, in Russia, de “I Protocolli dei Savi Anziani di Sion”, che illustra un supposto complotto internazionale ebraico diretto a dominare le nazioni e i Governi mondiali, ricattandoli con procedimenti economico-finanziari. Questo libro, nonostante fosse stato dimostrato essere chiaramente falso, fu uno dei pilatri su cui si fondò la propaganda antisemita di Hitler che portò all’odio verso gli ebrei e allo sterminio di milioni di essi in Europa.
In questi ultimi tempi, soprattutto nel Vecchio Continente – ove l’antisemitismo fu sempre presente, sia pur con diverse espressioni, in Russia, Polonia, Spagna, Germania, Paesi balcanici e baltici e anche in Italia (Leggi razziali del 1938) – si sono verificati episodi di intolleranza verso gli ebrei sempre più frequenti e inquietanti con attacchi a singole persone e sinagoghe. Il fenomeno è stato recentemente denunciato anche dallo scrittore francese Marek Halter e dal Ministro tedesco per la lotta all’antisemitismo Felix Klein.
In Italia, indignazione e stigmatizzazione da parte dell’opinione pubblica e del governo hanno provocato gli insulti al noto giornalista ebreo Gad Lerner e, soprattutto, gli attacchi online, con insulti, maldicenze e attacchi alla senatrice a vita Liliana Segre, 89 anni, in quanto ebrea.
Il più clamoroso esempio di antisemitismo si verificò in Europa, nel secolo scorso, noto come “Affaire Dreyfus”, nel quale venne coinvolto, vilipeso, diffamato e condannato (poi tardivamente riabilitato in quanto riconosciuto innocente) un ufficiale francese essenzialmente perché ebreo.
L “Affaire” ebbe inizio ii 26 settembre 1894: come tutti giorni, Marie Bastian, donna addetta alle pulizie nell’Ambasciata tedesca di Parigi, raccolse la carta straccia che si trovava nel cestino dell’ufficio dell’Addetto militare tedesco in Francia, conte Maximilian von Schwartzkoppen, e la consegnò – come da prassi ordinatale – al maggiore Hubert H.Henry, membro della “Section Statistiques” (controspionaggio) del Ministero della Guerra francese.
Le carte nei cestini tedeschi venivano attentamente controllate ogni giorno dall’ufficio del maggiore Henry, allo scopo di trovarvi eventuali documenti riservati della “intelligence” tedesca. In quel giorno il maggiore Henry fra le carte rinvenute nel cestino trovò, stropicciato, un foglio manoscritto, strappato in quattro parti e ricostruito con strisce di carta applicate sul retro, ove un anonimo aveva scritto di essere disposto a fornire ad un altrettanto ignoto destinatario indicazioni riservate su dati militari relativi all’Esercito francese, e precisamente su: 1) freno idraulico del nuovo cannone corto da 120 mm; 2) truppe di riserva e copertura; 3) modifiche alle formazioni di artiglieria; 4) manuale di tiro dell’artiglieria da campagna, tutti coperti da stretto segreto militare.
Questo foglio venne da allora indicato come il “bordereau” e avrebbe costituito la prova principe nel successivo “Processo Dreyfus”. Henry aveva riferito del ritrovamento al suo superiore col. Georges Picquart, Capo dell’Ufficio informazioni dell’Esercito, e entrambi convennero che solo un ufficiale dello Stato Maggiore che avesse fatto recentemente parte dell’arma di Artiglieria, avrebbe potuto essere a conoscenza dei dati riportati nel documento. Una rapida indagine su questa ipotesi portò a restringere a cinque gli ufficiali in servizio che possedevano tali caratteristiche.
Pertanto i cinque indiziati furono sottoposti, sotto ii controllo del tenente colonnello Armand Du Paty de Clam (competente in grafologia) a una prova consistente nello scrivere alcune frasi contenute nel “bordereau” che sarebbero poi state confrontate con quelle contenute nello stesso “bordereau”. Sui testi redatti dagli indiziati furono chiamati a esprimersi alcuni altri grafologi (Gustave Belhomme, Pierre Vainard, Raymond Conard, Pierre Gobert – perito calligrafo della Banca di Francia – e Alphonse Bertillon – commissario di polizia-) e la grafia più somigliante a quella del “bordereau” fu riferita – con la sola opposizione del Gobert – a quella di un capitano di artiglieria, addetto allo Stato Maggiore, di nome Alfred Dreyfus. Queste dichiarazioni furono la base per ii riconoscimento di colpevolezza del capitano, per il suo processo e la sua condanna.
Alfred Dreyfus era un ebreo, nato a Mulhouse (Alsazia, allora appartenente all’Impero prussiano) il 9 ottobre 1859, figlio di Raphael, ricco industriale, terzo di otto tra fratelli e sorelle, sposato con Lucie Hadamard, ebrea, e padre di tre figli. Dopo aver frequentato l’Ecole Polytecnique ed aver optato per la cittadinanza francese al momento della cessione dell’Alsazia ai tedeschi nel 1871 (in seguito alla sconfitta della Francia nella guerra contro la Prussia) aveva abbracciato la carriera militare e raggiunto rapidamente, anche per la sua eccellenza negli studi presso 1′Ecole spéciale militaire di Saint-Cyr e la Ecole pour Artiphicieres a Bouges, ii grado di Capitano di Stato Maggiore.
In quel tempo, nella Francia ansiosa di trovare un capro espiatorio per la sconfitta subita dalla Prussia, si era acuito un violento antisemitismo in quanto negli ebrei era stata identificata la causa di tale sconfitta, particolarmente vivo negli alti gradi dell’Esercito. Un ebreo di origini prussiane era quindi il soggetto più adatto per essere ritenuto colpevole del tradimento, a dimostrazione che la guerra era stata persa per l’attività spionistica degli ebrei a favore del nemico.
Dreyfus fu arrestato ii 2 dicembre 1894 a casa sua dal Capo della Sureté nationale Marcel Cochefert e imprigionato nel carcere di Cherhe-Midi sotto la custodia del maggiore Ferdinand Forzin, rimanendo per 17 giorni in isolamento in attesa del processo.
Questo ebbe inizio il 19 dicembre davanti a un Tribunale militare composto da sette membri, con l’accusa di “spionaggio a favore dell’esercito prussiano”. Nonostante l’appassionata difesa del suo avvocato Charles Demange, Dreyfus fu condannato il 22 dicembre alla perdita del suo grado, alla degradazione militare con infamia e alla deportazione perpetua nella colonia penale dell’Isola del Diavolo (Guyana francese).
Durante il processo a porte chiuse, pervaso da un fazioso antisemitismo nazionalista, l’accusa citò le affermazioni di altri periti grafologi (Charavay e Teyssonniéres) i quali confermarono che la grafia del “bordereau” era “inequivocabilmente” di Alfred Dreyfus, contro il perito della difesa Drey-Pellettier. Nella stessa sede il gen. Auguste Mercier, Ministro della guerra, fece mostrare da Teyssonniéres una lettera scritta nel 1896 dallo stesso Addetto militare tedesco Schwartzkoppen al suo omologo italiano Alessandro Panizzardi riportante la frase “…decisamente guell’animaIe di D. diventa troppo esigente”, nella quale la lettera “D” era interpretata come “Dreyfus”.
Venne inoltre affermato che Dreyfus, a conoscenza, grazie al suo ufficio, dei nominativi dei francesi in missione segreta all’estero, Li aveva denunciati alle autorità dei Paesi in cui operavano, portando all’arresto, fra gli altri, di due ufficiali della Marine Nationale, Deguy e Delguet, del capitano Romani e di Madame Ismert, detenuti al momento nelle prigioni tedesche (vedi “L’Intransigeant” 8 novembre). La sorte del capitano ebreo era cosi segnata, soprattutto per l’accanita requisitoria del comandante Du Paty de Clam e nonostante un’accorata difesa del suo avvocato Fernand Labori e del Commissario governativo Arthur Brisset.
Degradato con ignominia (gli venne pubblicamente spezzata la spada) il 5 gennaio 1895, il 21 febbraio venne imbarcato per l’Isola del Diavolo. A Parigi le modalità in cui era stato condotto il processo suscitarono non pochi dubbi con rimostranze verso i giudici del Tribunale da parte di numerosi gruppi di cittadini che ne richiesero la riapertura. Su insistenti richieste della moglie Lucie, il Tribunale riprese a indagare sull'”Affaire”: ne1 mese di marzo 1896 gli uomini del nuovo Capo del Servizio Informazioni dello Stato Maggiore, George Picquart, scoprirono che, in una lettera manoscritta inviata dal1’Addetto Schwartzkoppen al maggiore del “Deuxieme Bureau” francese (Servizio segreto militare), maggiore conte Ferdinand Walsin Esterhazy, la grafia era assai simile a quella del famoso “bordereau”.
Picquart avvisò subito del fatto il Capo Stato Maggiore dell’Esercito, gen. Boisdeffre, e successivamente anche ii Vice Presidente del Senato, Auguste Scheurer Kestner, e ii giornalista Bernard Lazare, che si fecero persuasi dell’innocenza di Dreyfus (per questa sua presa di posizione Picquart fu rimosso dall’incarico, arrestato e imprigionato: ottenne l’amnistia nel 1900 con Emile Zola), dando inizio in tutta la Francia a un’ampia corrente innocentista a favore di Dreyfus. Fra costoro si annoverarono filosofi, artisti, scrittori, storici, politologi di fama quali Péguy, Mirbeau, Herr, Clemanceau, Mathiez, Jaures, Proust, France, Monet, Signac, Sorel, Blum, Levy-Bruh1, Dulkeim che costituirono ii gruppo dei “dreufusiardi”.
Il movimento a favore del capitano si fece ancor più numeroso dopo che, nel processo iniziato i1 10 gennaio 1898 a carico del mag. Esterhazy presso il Consiglio di guerra, egli era stato riconosciuto “non colpevole” della scritta del “bordereau” ed era stato lasciato libero. Sulla scorta di questa sentenza, Emile ZoLa, famoso giornalista e scrittore, (“Nanà”, “Teresa Raquin”,”l1 dottor Pascal”) pubblicò il 13 gennaio, sul giornale L’Aurore di Georges Clemanceau, un articolo, divenuto famosissimo, intitolato “J’accuse”, indirizzato al Presidente della Repubblica Félix Faure, con il quale accusava membri dello Stato Maggiore dell’Esercito (generali Mercier, Billot, Boisdeffre, Gonse, Pellieux; comandanti Ravary e du Paty de Clam), grafologi (Belhomme, Vainard, Conard) e di-rettamente Uffici del Ministero della Guerra e del Consiglio di Guerra, di aver tramato contro Alfred Dreyfus, pur sapendolo innocente e vittima di un clamoroso “affaire” antisemita. Per questo suo articolo Zola venne incriminato e condannato il 23 febbraio a 1 anno di reclusione (amnistiato nel 1900) e a una multa di 3.000 franchi, pagatagli dall’amico Octave Mirbeau.
L’establishment governativo-militare – antirepubblicano, antidemocratico, antisemita – reagì violentemente all’articolo di Zola, sostenuto dalla stampa di destra (L’Eclaire, Le Petit Journal, L’ Intransigeant, La Cocarde, Le Drapeau, L’Eco de Paris) che fece muro contro quella a favore di Dreyfus (La Justice, Le Journal, L’Autoritè, La Petite Republique, oltre, naturalmente, L’Aurore). L’opinione pubblica francese (e non solo quella) si divise in due fazioni pro e contro la colpevolezza del capitano Dreyfus, provocando anche disordini nel Paese. Il 30 agosto si verificò un clamoroso colpo di scena nell'”Affaire”: ii mag. Henry (riconsiderando il proprio operato) confessò di esser stato lui l’autore della lettera inviata al gen. Mercier nel processo Dreyfus del 1896 (per questa confessione Henry fu arrestato e si uccise in carcere), mentre Bernard Lazare pubblicava – sempre su L’Aurore – le dichiarazioni da lui raccolte di numerosi grafologi di fama internazionaie, francesi (Crepieux – Jamin, Stephan Bridier) e stranieri (Paul Moriaud, Charles de Rougement , Wilhelm Uurst, svizzeri; Emile de Marueffe, belga; John de Gray Birch, Alain Th. Gurnin e J.H. Shooling, inglesi; Karl Preyer, tedesco; Dominique Carvalho, cileno) i quali tutti separatamente convennero che la grafia del “bordereau” non poteva essere riferita a Dreyfus.
In seguito a tali riscontri, nel luglio 1899 ii processo Dreyfus venne riaperto non più a Parigi (ove si temevano scontri fra i “greyfusardi” e i loro avversari) bensì a Rennes, anche e soprattutto a seguito di una dichiarazione giunta da Londra (ove si era rifugiato) da Ferdinand Esterhazy con la quale egli mmetteva di esser stato lui l’autore del “bordereau”, eseguito per ordine del suo superiore ten.col. Sandherr, Capo dell’Ufficio informazioni dell’Esercito. Nonostante questa clamorosa notizia, i1 capitano Dreyfus non venne discolpato, ma vide soltanto commutata la sua pena dall’ergastolo a 10 anni di reclusione, con la ipocrita motivazione “colpevole di tradimento con sopraggiunte circostanze attenuanti”, a seguito di forti pressioni dello Stato Maggiore dell’Esercito sulla Corte che richiedeva che la sentenza del 1894 contro l’ebreo non venisse annullata.
Deluso e disperato Dreyfus, su consiglio del fratello Mathieu, si addusse a malincuore a chiedere la grazia al nuovo Presidente della Repubblica Emile Loubet, che gliela concesse il 19 novembre 1899. Nel maggio dell’anno successivo, liberato, Dreyfus chiese una completa riabilitazione con un nuovo processo, ma esso venne negato dalla Camera dei Deputati, e tale diniego fu confermato, a seguito di nuova richiesta del capitano, nel marzo 1903. Soltanto nel giugno del 1906 la Corte di Cassazione, cui Dreyfus si era rivolto, dichiarò nulla la sentenza del 1895 e dispose 1° sua completa riabilitazione, la cancellazione delle precedenti condanne, la sua riammissione in servizio col grado di maggiore Capo squadrone e il condono delle pene. Destinato al Forte di Viennes, venne congedato nel giugno 1907.
Dreyfus era morto riabilitato e con onore, ma con lui non era morto l’antisemitismo in Francia e in Europa. Esso vi alligna tuttora come testimoniano le più recenti azioni razziste e xenofobe. Occorre ricordare le parole di Primo Levi “I forni di Auschwitz sono sempre accesi” e combattere ovunque e sempre, senza se e senza ma, ogni forma di odio razziale e di fanatismo politico-religioso, poiché la via verso quei forni fu preparata proprio da quelle manifestazioni oggi colpevolmente giudicate “non pericolose” dai vari Governi.
In queste settimane viene proiettato nei cinema italiani un bellissimo film del regista Roman Polanski, “L’Ufficiale e la spia”, che rievoca in modo obiettivo l’appassionante vicenda francese.
Gustavo Ottolenghi