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Quando nacque il Villaggio Globale, nella definizione che sintetizza l’immagine di un pianeta diventato un grande mercato di consumatori con delle regole del gioco condivise?

Per molti di noi la risposta sarebbe naturale: prima durante il neo liberismo degli anni Novanta con la finanziarizzazione dell’economia e poi, agli inizi del Terzo millennio, con l’entrata della Cina nel Wto (l’Organizzazione mondiale del commercio) che ha definitivamente solennizzato, anche giuridicamente, il ruolo di Pechino come potenza mondiale ed economica. Una legittimazione definitiva di un paese che, per alcuni, avrebbe dovuto obbligarsi, con la sua adesione al Wto, a garantire maggior sicurezza e rispetto della salute nel mondo del lavoro e della salvaguardia dell’ambiente. Cosa che non è avvenuta, nei fatti.

Tornando alla domanda iniziale, il quotidiano online inglese New Statesman, in un suo reportage del 1 aprile di quest’anno firmato da Ben van der Merwe (“How two business men wrote the roles of the Globalization”) ha voluto rispondere al quesito in modo più specifico, risalendo ai primi anni del secondo dopoguerra, quando si misero le basi per un nuovo mondo pacifico e prospero economicamente. Il New Statesman racconta proprio la storia di due sconosciuti uomini di affari anglosassoni che con la loro azione costruirono le premesse per un Villaggio Globale in cui gli stati del pianeta Terra avrebbero potuto scambiarsi merci e servizi, in pace e avendo condiviso certe regole del gioco.

Hermann Josef Abs e Hartley Shawcross si concentrarono preliminarmente sulla risoluzione delle problematiche connesse ai contenziosi esistenti tra gli stati e gli investitori stranieri.

Nei mesi immediatamente successivi alla fine del secondo conflitto mondiale erano parecchie, in tutto il mondo, le questioni giuridiche aperte sugli espropri effettuati dagli eserciti conquistatori nelle zone occupate. Inoltre, molti investitori stranieri chiedevano la restituzione dei propri beni esistenti in un altro paese e confiscati o espropriati dalle autorità locali. Una storia sconosciuta, salvo forse per pochi addetti ai lavori, e una narrazione conseguente che incrocia la Grande Storia con la Piccola Storia degli esseri umani. Uno spaccato di un evento che due brillanti giuristi ed economisti anglosassoni trasformarono nelle fondamenta del nuovo sistema internazionale, sorto sulle rovine delle distruzioni del più grande conflitto della storia dell’umanità. È interessante rileggere questa pagina di storia recente, sorprendente e istruttiva.

Il giornale inglese parte da una considerazione preliminare: nella seconda metà dell’Ottocento si consolidò, grazie al giurista argentino Carlos Calvo una dottrina che prese appunto il nome dal suo promotore, che stabiliva un principio rilevante sia ai fini giuridici sia ai fini politici. Un investitore straniero che avesse da presentare delle doglianze o delle rivendicazioni rispetto a presunte violazioni dei suoi diritti connessi con l’investimento effettuato nel paese straniero, avrebbe dovuto rivolgersi esclusivamente ai giudici dei tribunali locali, evitando quindi il ricorso alla giurisdizione del proprio stato originario o a giurisdizioni di stati terzi. La “Dottrina Calvo” legittimava quindi ogni stato a stabilire le proprie regole del gioco politiche, economiche e fiscali nei confronti degli investitori stranieri. Durante le lotte anti colonialistiche che hanno attraversato tutto il Novecento, la Dottrina Calvo fu spesso evocata per giustificare espropriazioni dei beni degli investitori esteri. Molti paesi dell’America Latina, ad esempio, scoprendo che spesso le loro materie prime erano state cedute a multinazionali straniere a condizioni estremamente favorevoli, rivendicarono i loro diritti lesi aprendo dei contenziosi contro i colonialisti speculatori.

Hermann Josef Abs e Hartley Shawcross partirono nel loro progetto proprio dalla constatazione che la Dottrina Calvo avrebbe reso difficoltoso il commercio internazionale, penalizzando la tutela degli investitori stranieri. Hartley Shawcross era stato uno dei protagonisti del processo di Norimberga e aveva constatato direttamente le istanze di molti industriali tedeschi che si opponevano ai sequestri dei loro asset industriali quali risarcimento dei danni causati dal nazismo nel mondo.

I due protagonisti di questa storia si posero dunque l’obiettivo di immaginare un sistema giurisdizionale sovranazionale o internazionale che potesse costituire un punto di riferimento indipendente, autorevole e neutrale per la risoluzione di controversie tra stati o tra cittadini e imprese di diverse nazionalità. Hermann Josef Abs, da parte sua, era stato direttore della Deutsche Bank e si era occupato di un’altra, terribile, forma di espropriazione di beni di terzi: il sequestro e la confisca delle proprietà ebraiche in tutti i paesi conquistati dal Terzo Reich.

Proprio nell’ottica di dare una risposta positiva alla paura degli investitori internazionali di mettere i propri soldi in paesi stranieri, Abs e Shawcross nel 1957 presentarono un progetto di convenzione internazionale definita dal Times “Magna Carta per il capitalismo”. Il documento immaginava un mondo in cui gli investitori sarebbero stati protetti nei loro diritti di proprietà da un Tribunale internazionale. La convenzione obbligava gli stati firmatari ad astenersi da interferenze illegali dirette o indirette contro il capitale straniero e creava una Corte internazionale di Arbitrato per giudicare le eventuali violazioni.

In questo modo veniva superata la Dottrina Calvo: gli investitori stranieri avrebbero potuto rivolgersi direttamente a quella Corte internazionale senza dover ricorrere ai tribunali locali. “Indipendentemente dal fatto che la Banca mondiale agisse dietro le quinte su mandato degli investitori – scrive il New Statesman – i suoi funzionari hanno guidato lo sviluppo dell’Investor State Dispute Settlement (ISDS) dagli anni Sessanta fino ai nostri giorni. La strategia è stata quella di consolidare delle regole che avrebbero disciplinato l’arbitrato internazionale e una sede dove istituirlo: il Centro internazionale per la risoluzione delle controversie per gli investimenti”.

Dal 1968 i trattati internazionali incominciarono ad includere gradualmente l’ISDS nei loro protocolli contrattuali: vent’anni dopo, nel 1988, erano stati firmati 28 trattati contenenti l’ISDS e il numero aumentava di anno in anno. “La banca mondiale e i governi occidentali, con l’aumento del volume dei traffici mondiali, diedero sempre più impulso allo sviluppo delle regole dell’ISDS che erano uno strumento per garantire la tutela degli investitori nel mondo”, scrive il giornalista Van der Merwe.

Fu proprio il governo degli Stati Uniti il primo a constatare l’efficacia e l’efficienza dell’ISDS: nel 1991 quando, con l’Argentina in piena crisi economica e a rischio di bancarotta, Washington offrì un accordo di moratoria a Buenos Aires. La condizione di tale rinegoziazione del debito era però quella che l’Argentina avrebbe dovuto aderire alle regole dell’ISDS archiviando per sempre la Dottrina Calvo e tutti i suoi principi basati sulla giurisdizione dei tribunali locali.

Possiamo dire, a distanza di anni, che Hermann Josef Abs e Hartley Shawcross con la loro creatività e visione giuridica, contribuirono in modo decisivo a dar vita ad un commercio internazionale che potesse contare, nel caso di controversie, su un sistema di regole per la loro risoluzione indipendente, autonomo, autorevole e professionale.

Riccardo Rossotto

Riccardo Rossotto

"Per chi non mi conoscesse, sono un "animale italiano", avvocato, ex giornalista, appassionato di storia e soprattutto curioso del mondo". Riccardo Rossotto è il presidente dell'Editrice L'Incontro srl

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