La crescita, apparentemente irreversibile, dell’influenza delle nuove tecnologie, e in particolare del digitale, sulla società, porta a una maggiore o a una minore democrazia? Questo l’interrogativo posto nello scorso editoriale e reso ancora più attuale dalle dichiarazioni di Elon Musk che, rifacendosi alla Scuola di Toronto (Marshall McLuhan, Derrick de Kerckhove e Harold Innis) sostiene che il mondo si evolve in funzione dell’innovazione tecnologica.

Il problema riguarda quindi il cosiddetto “digital divide”, cioè il divario tra chi ha accesso alle nuove tecnologie digitali e chi non ce l’ha. Più è ampio questo divario, più crescono le diseguaglianze e quindi diminuisce la democrazia. Alcuni lettori hanno chiesto il mio parere. Anche se non sono un esperto del ramo, provo a dare alcune indicazioni. Inizialmente, ai tempi della prima diffusione di Internet su larga scala, il divario digitale era dato sostanzialmente dalla possibilità di essere connessi (vincolo geografico), dal reddito, dall’età e dall’istruzione.

Ora, almeno a livello basico, questi punti critici si sono apparentemente attenuati. Alcuni esperti, come Paul DiMaggio e Pippa Norris, sostengono tuttavia che oggi l’acquisto di un dispositivo per quanto costoso, può essere sostenuto da molte persone (magari ricorrendo al mercato dell’usato). Ma se il prodotto è relativamente accessibile e comunque richiede sostanzialmente un unico esborso, il servizio comporta costi continui e crescenti in funzione delle prestazioni. Un esempio: chiunque possieda uno smartphone può utilizzare ChatGPT, ma solo abbonamenti dai costi via via crescenti consentono di accedere a prestazioni di più alto livello.

Altro elemento critico è la frequenza d’uso. Chi può accedere con frequenza alla rete, sviluppa capacità tecniche e cognitive che gli danno una posizione privilegiata nella società. Per avere un’idea dei divari, una ricerca condotta dal Censis alla fine degli anni 2010 mostrava come in Italia il 31% della popolazione era online per meno di un’ora al giorno; il 15% da 3 a 6 ore; il 4,5% da 6 a 12 ore. A essere sempre connesso era meno del 12%. In questi anni i tempi sono cresciuti, ma non in modo uniforme. La media nazionale oggi è di 6-8 ore giornaliere, tenendo conto però anche della visione dei programmi televisivi in streaming.

Milo Goj

Milo Goj

Milo Goj, attuale direttore responsabile de L’Incontro, ha diretto nella sua carriera altri giornali prestigiosi, come Espansione, Harvard Business Review (versione italiana), Sport Economy, Il Valore,...

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