Era il 1983, quando nelle sale cinematografiche uscì “Christine” (“Christine – La macchina infernale” nella versione italiana). Apparentemente un B movie, in realtà un film con importanti quarti di nobiltà, visto che era diretto da John Carpenter, all’epoca il più apprezzato regista del genere horror, mentre il soggetto risaliva al Maestro Stephen King.

La pellicola narra la storia di Arnie Cunnigham, un ragazzo imbranato e di buon cuore, spesso e volentieri bullizzato dai compagni di scuola. Arnie trova una vecchia Playmouth Fury del 1957, talmente decrepita che riesce a comprarla a poco dal proprietario, che gli rivela che l’auto ha un nome: Christine. Subito si stabilisce un legame tra Arnie e Christine. Il ragazzo si accorge che l’auto è “viva”, entra in simbiosi con lei, sino a cambiare personalità.

Ripulendo la storia dagli aspetti horror, “Christine” aveva anticipato quello che sarebbe successo trenta, quarant’anni dopo, quando l’impiego di una macchina avrebbe portato cambiamenti della personalità, del modo di pensare e di agire, trasformandoci in cyborg. Non (ancora) a livello organico, bensì filosofico ed esistenziale.

Come ha scritto Milo Goj nell’articolo “Siamo già cyborg, ovvero, i paradossi della società digitale”, non si tratta di impiantare chip nel cervello o di sostituire arti con protesi metalliche. Si tratta di prendere atto di come le nuove tecnologie ci influenzano, sino a cambiarci, trasformandoci in soggetti ibridi. Questo non avviene ovviamente perché ci imbattiamo in macchine sataniche, ma perché mai come oggi dispositivi tecnologici sono diventati prolungamenti ideali del nostro corpo.

Mai era successo che in una tasca ci stesse un apparecchio che racchiude il nostro mondo, che fa da telefono, orologio, macchina fotografica, agenda, oltre a tutte le altre funzioni concesse da Internet. La consuetudine all’uso, la sua indispensabilità sono tali che questi apparecchi sono parte di noi. E del resto è la società che lo chiede, imponendo, anche per le cose più semplici, di essere provvisti di “cellulari”.

E c’è chi prevede che tra un po’, quando saremo fermati dalle forze dell’ordine, anche per controlli random, di routine, non ci chiederanno più di mostrare i documenti, bensì il cellulare. E per chi non l’avrà con sé saranno guai. Tutto ciò avrà ripercussioni importanti di natura sociologica. Ma potrebbe persino ribaltare il modo in cui oggi vengono considerati i diritti delle persone. Premessa di tutto questo e anche la ricerca di nuovi linguaggi, nuovi modi di pensare, come quello relativo al pensiero artistico di Maurizio Goetz.

Nestar Tosini

Nestar Moreno Tosini

Laureato in Scienze della comunicazione presso l’Università della Svizzera italiana, Nestar Moreno Tosini è un giornalista e sociologo italosvizzero

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