Ero in dubbio se proporre queste righe in vista del 25 aprile o a 25 aprile trascorso.
Ho deciso per la seconda e credo di aver fatto bene, anche col senno del poi. Il 25 aprile è una festa cui sono naturalmente molto affezionato, anche se ho partecipato alle manifestazioni solo nei roventi anni del liceo. Viste le polemiche di questi ultimi anni e soprattutto di quest’anno, mi è venuta voglia di ritornarci.
La Festa non va svuotata né dall’interno né dall’esterno
Se qualche gruppuscolo si comporta male ciò non può certo costituire un pretesto per “buttare il bambino con l’acqua sporca”.
Ho in mente tre canzoni il cui contenuto disegna e tratteggia la profondità e la latitudine della Resistenza ben più della stracelebrata “Bella ciao!”. Italo Calvino consegnò il testo di “Oltre il ponte” a Sergio Liberovici che lo musicò nell’ambito di quel movimento musicale e culturale torinese cui ho accennato in un mio precedente contributo. (“Quando sull’asse Milano-Torino correva l’onda nuova della Canzone d’impegno” – L’Incontro 4-2-2022).
La canzone è stata eseguita da molti interpreti, ma, se devo dire, ho trovato straordinaria l’interpretazione ancora reperibile online. Digitando https://www.youtube.com/watch?v=U7_VTHwi-Ns&t=16s proposta a più voci e a staffetta dai ragazzi della scuola del Teatro Stabile di Torino sotto la guida del bravissimo Gabriele Vacis.
Italo Calvino dal ponte all’ideale
Ho reperito anche una bella versione cantata da tre giovanissimi ragazzi (“The Clouders”): la grintosa cantante è Clodiana Fuga, figlia dell’Avv. Gabriele Fuga, noto nel Foro di Milano per il suo passato politico. Trovo che il testo di Calvino sia straordinario. Ricostruzione di un’azione partigiana, passaggio dalla materialità del ponte all’immaterialità dell’ideale. Soprattutto folgorante il finale con il passaggio di testimone alle giovani generazioni. “Ormai tutti han famiglia, hanno figli / che non sanno la Storia di ieri / io son solo e passeggio tra i tigli / con Te, cara, che allora non c’eri. / E vorrei che questi nostri pensieri / quelle nostre speranze d’allora / rivivessero in quel che Tu speri / o ragazza color dell’aurora”.
Tra l’altro Calvino accenna con sei parole (“non è detto che fossimo santi”) a un tema a lui molto caro affrontato nella prefazione della seconda edizione de “Il sentiero dei nidi di ragno”. Demitizzare la Resistenza per proteggerne la nobiltà.
C’è poi una canzone scritta “su misura” sulla storia personale di una coppia di noti esponenti della Resistenza (non solo) milanese. Giovanni Pesce (Gianni, nome di battaglia: Visone) e Onorina Brambilla (Nori, nome di battaglia: Sandra). Daniele Biacchessi ha dedicato un bel libro alla loro storia (Giovanni e Nori – una storia d’amore e di resistenza), portata poi sui palcoscenici con il supporto musicale dei Gang (i fratelli Severini sono sempre puntuali sui temi resistenziali e costituzionali).
Demitizzare la Resistenza per proteggerne la nobiltà
A corredare lo spettacolo teatrale tratto dal libro con una straordinaria canzone ci ha pensato Claudio Lolli, proprio su richiesta di Marino Severini, autore della musica. L’amico Flavio Carretta mi ha raccontato che Claudio gli disse al telefono, una sera, della proposta che gli era giunta. Ci stava pensando su. Il mattino dopo l’ha chiamato e gli ha mandato la canzone pronta, per sentire il suo parere.
Con Sai com’è il Claudio Lolli de Il Grande Freddo
“Sai com’è” è una canzone da cardiopalma e da brividi, con un attacco fulminante. “Sai com’è / sarà forse il fatto che passano gli anni / e la testa è un ricordo impazzito che non si ferma mai / un cinema muto che mi parla ancora di eroi e di malanni / una spina dorsale che pende solamente verso i nostri guai”. Inserita nel cd “Il grande freddo”, l’ultima opera di Claudio Lolli, è impreziosita dallo straordinario arrangiamento di Danilo Tomasetta e Roberto Soldati che ricordo con immenso piacere essere rispettivamente il saxofonista e il chitarrista di “Ho visto anche degli zingari felici”.
Non è certo un caso che insieme a Marino Bronzino abbiamo deciso di utilizzarla come sigla di coda della videointervista a Bruno Segre per il lancio del nuovo corso de L’Incontro. A una tragica operazione partigiana di recupero in montagna di stampa clandestina è ispirata “Su in collina” di Francesco Guccini, che a sua volta si è ispirato alla poesia di un vecchio partigiano emiliano.
La tinta è straziante, il postino clandestino viene trovato morto, massacrato di calci e pugni, legato con filo spinato. “Era scalzo né giacca né camicia / nudo fino alla vita e tra le mani / teneva un’asse di legno con la scritta:/ questa è la fine di tutti i partigiani”.
Il vento era ghiacciato e sentivamo un gran freddo da tremare
La canzone è struggente e delicatissima e tante e tante volte camminando in escursioni sul ghiaccio con la sicurezza dei ramponcini ho cantato tra me e me. “Il vento era ghiacciato e per la schiena / sentivamo un gran freddo da tremare / c’era un freddo compagni su in collina / che non riuscivi neanche a respirare (…) col cuore stretto siamo tornati indietro / sotto la neve andando piano piano / piano sul ghiaccio che sembrava vetro / piano tenendo stretta l’asse in mano”.
Brividi e commozione: loro, i partigiani, i ramponcini mica li avevano. E per di più rischiavano anche la pelle. Queste tre canzoni, caleidoscopicamente, rendono emozioni e aspetti diversi della lotta di Liberazione e valgono il sunto di biblioteche intere. Tre canzoni: un quarto d’ora scarso che vale più di mille comizi. Un omaggio e uno stimolo alla Memoria che va nutrita, protetta e coltivata ogni giorno, alla faccia di chi vorrebbe “buttare il bambino con l’acqua sporca”.
Claudio Zucchellini