La Corte costituzionale ha rigettato il quesito referendario con argomentazioni prettamente “politiche”, rendendo vani la richiesta di oltre 1,2 milioni di elettori e il favore della grande maggioranza degli italiani.

Non mi riferisco tanto alle sciagurata e vergognosa conferenza stampa del suo presidente pro tempore, Giuliano Amato, che è giunto a contestare lo slogan politico della campagna “Eutanasia Legale“. E inoltre a sostenere spudoratamente che si sarebbe consentito l’omicidio di una persona “cha ha un po’ bevuto”. Mentre il quesito non tocca il comma che punisce l’omicidio volontario “su persona inferma di mente, o che si trova in condizioni di deficienza psichica, per un’altra infermità o per l’abuso di sostanze alcoliche o stupefacenti”.

Cresce la sensibilità ma non per tutti

Mi riferisco proprio alla cosiddetta “normativa di risulta”, che segue e non anticipa il referendum, essendo di competenza parlamentare. Teoricamente sarebbe letteralmente possibile che una persona sana di mente possa chiedere all’amico di ammazzarlo. Dovendo però documentare e provare la volontà, scevra da ogni infermità psichica, inganno o suggestione, anche solo momentanei. Ma è completamente fuori dal contesto giuridico dei proponenti e del razionale giuridico.

Proprio il titolo “Eutanasia Legale richiama il concetto di “morte volontaria medicalmente assistita” nel solco tracciato della legge 219/17 sul consenso informato. Sulle direttive anticipate di trattamento (DAT) e sulla sedazione palliativa profonda (SPD) e il Presidente della Repubblica, che può, in questo caso non potrà che rinviare l’efficacia abrogativa fino a 60 giorni per dare alle Camere un margine di tempo per evitare eventuali lacune legislative.

Fine vita ultima frontiera dei diritti umani

In generale il fine vita è diventato l’ultima frontiera dei diritti umani e merita di essere vissuto al meglio. Soprattutto quando si è nelle peggiori condizioni di salute e di malattia. Negli ultimi vent’anni si è affermata una maggiore sensibilità, che ha investito tutta la società, compreso il mondo cattolico. Rimane in molti una visione pregiudiziale di chiusura verso la possibilità di decidere di morire. Anche quando ogni speranza è perduta e la sofferenza è ormai intollerabile.

Ma la legge 219/17  “Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento” ha sancito questa accresciuta consapevolezza. Con essa, oltre a istituzionalizzare le Disposizioni Anticipate di Trattamento (DAT), si è legittimata la Sedazione Palliativa Profonda (SPD). Che altro non è che una “sedazione terminale” conseguente alla decisione della persona malata di voler morire.

Le numerose vicende personali hanno modificato la percezione

Ad essa si è aggiunta la sentenza della Corte costituzionale sul caso Dj Fabo/Cappato, che di fatto ha legalizzato il suicidio assistito definendone il contesto. Sono proprio state le vicende personali a modificare il clima, non solo quelle di Piergiorgio Welby e di Eluana Englaro. Anche quelle di decine di persone che sono andate in Svizzera per il suicidio assistito e le cui storie sono state riportate sui media locali o nazionali.

A Torino il caso più noto è quello di Susanna Zambruno Martignetti, che è deceduta nel 2016 a Lugano, come familiari e accompagnatori hanno dato ampia testimonianza sui giornali. In nessuno di questi casi la magistratura si è mossa per “notizia di reato” giornalistica, ma solo su querela di alcuni familiari. Non si mosse quando Marco Cappato si autodenunciò per avere accompagnato in Svizzera Dominique Velati. Ma fu proprio la mossa di accompagnare Dj Fabo, al secolo Fabiano Antoniani, e successivamente Davide Trentini a costringere la magistratura a pronunciarsi.

La disobbedienza civile non si fermerà dopo il ‘rigetto politico’

Le assoluzioni di Marco Cappato e di Mina Welby hanno riconosciuto il presupposto giuridico della disobbedienza civile, che non si fermerà dopo il rigetto “politico” del quesito referendario e l’auspicata approvazione di una legge al ribasso rispetto alle necessità e alle attese.

La grande risposta, soprattutto dai giovani, alla raccolta di firme per il referendum sulla abrogazione parziale dell’art. 579 sull’omicidio del consenziente, dimostra che i tempi sono maturi per una legislazione che consenta l’eutanasia volontaria medicalmente assistita in Italia. Non si tratta di legittimare il suicidio per qualunque ragione – peraltro il suicidio già non è un reato. Ma di una procedura legale in caso di “patologia o condizione clinica irreversibile, a prognosi infausta, che cagionino sofferenze fisiche o psicologiche, che la persona stessa trova assolutamente intollerabili”.

La legge attuale è migliorabile

Questa è proprio la definizione del testo di legge approvato dalla Camera il 10 marzo scorso, attualmente in attesa di essere calendarizzato dal Senato. Perché è di questo che stiamo parlando. Anche la proposta di legge della Camera discrimina le persone non dipendenti da trattamenti di sostegno vitale, come i malati di cancro in stadio avanzato o per malattie neurodegenerative.

Purtroppo il testo licenziato dalla Camera riduce il perimetro, già ristretto, della sentenza della Consulta sul caso Dj Fabo/Cappato. Si spera possa essere migliorato al Senato. Qualora, invece, fosse approvato nella attuale stesura, non chiuderebbe la strada a nuove battaglie di libertà per i malati. Affinché malattia e sofferenza non siano un “fine pena mai”.

Silvio Viale

Silvio Viale

Medico. Specialista in Ostetricia e Ginecologia. Responsabile del Day Hospital/Day Surgery dell’Ospedale Sant’Anna di Torino. Attivista dei diritti e della libertà di scelta dall’inizio alla fine...

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