Un esercizio affascinante, condito da un pizzico di nostalgia. L’intervento di Claudio Zucchellini sulle canzoni contro la guerra è al tempo stesso divertente e stimolante.
Appare difficile scrivere un testo speculare. Dopo “Il Piave” e altri canti della Grande Guerra, dopo le canzoni del Fascismo e della Guerra civile, nell’Italia pacificata era difficile che a qualche musicista venisse in mente di celebrare un conflitto. Insomma, il celeberrimo verso “mettete dei fiori nei vostri cannoni” non ha mai trovato come contraltare una ritornello come “togliete la sicura ai vostri fucili mitragliatori”.
La ‘colonialista’ Patty Pravo scala l’Hit Parade
Negli ultimi 70 anni, al massimo ci sono state canzoni condite da spirito epico, o che facevano riferimento alla guerra in modo velato. Forse l’unica eccezione è “Tripoli 1969”. Con un parziale adattamento di “A Tripoli” (più conosciuta come “Tripoli bel suol d’amore”) canzone colonialista scritta nel 1911 da Giovanni Corvetto e Colombino Arona, Patty Pravo cantava “Lo vedo, ma non c’è/ è andato via da me/ sta raggiungendo Tripoli…Perché ogni uomo senza battaglie/non può sentirsi un uomo”.
Stupisce che, negli anni di Peace, Love & Music e della contestazione connotata da un feroce antimilitarismo, un testo simile abbia scalato impunemente le Hit Parade. Ma forse, per la splendida ventenne Nicoletta Strambelli, valeva la regola “Con quella bocca può dire ciò che vuole”, coniata qualche anno prima per un’altra star bionda di rara bellezza, Virna Lisi.
Certo, negli anni Settanta gli Amici del Vento e gli Stormi Six, su fronti opposti, avevano proposti brani bellicosi. Come “Ritorno” (“Saluti i vecchi amici che han visto la battaglia…Perché i tuoi diciott’anni li hai giocati con la morte/ogni giorno, ogni istante, hai costruito la tua sorte/ per difendere un’idea, un onore calpestato”) e “Stalingrado” (“Vola un berretto, un uomo ride e prende il fucile/ Sulla sua strada gelata la croce uncinata lo sa/ D’ora in poi troverà Stalingrado in ogni città”). Ma si tratta di band “politicamente militanti”, e di canzoni ispirate alla seconda guerra mondiale, scritte più per fini ideologici che musicali.
Gli ‘eroi solitari’, omaggio alle Repubblica Sociale?
Tornando ai cantanti più popolari, nel 2016, il plurivincitore di Sanremo Enrico Ruggeri aveva lanciato “Il volo su Vienna”, esplicitamente dedicata all’impresa compiuta negli ultimi mesi della Guerra del 15-18 da Gabriele D’Annunzio. Lo stesso Ruggeri, nel 2012 aveva scritto “Eroi solitari”. Per qualche critico il testo nasconde un omaggio ai combattenti della Repubblica Sociale e ai loro eredi. “Ne abbiamo percorsa di strada/ E tutto ci sembra lontano/ Ma il nostro segnale di resa aspettano invano…Abbiamo nemici moderni/ sorretti da missili e banche/ ma lungo il cammino le gambe non sono mai stanche…Usurai di questo mondo datevi da fare/ attaccate subito per farvi rispettare/ qui la gente è fragile, molto manovrabile/ L’utile è l’unica cosa che conta per voi/ Noi abbiamo dei padri che ci stanno guardando da lassù/ Mentre il passato conserva la nostra memoria… tu puoi cantare vittoria/ puoi raccontare una storia non scritta da noi”.
Nonostante il riferimento ai “Cantos contro l’usura” di Ezra Pound, il testo era troppo criptico e Ruggeri non venne indagato per apologia o ricostituzione.
La guerra della Legione straniera
Ma nella seconda metà del Novecento, la più bella e famosa canzone ispirata a una guerra, come omaggio a un corpo dei combattenti, è francese. La divina Edith Piaf dedicò “Non, je ne regrette rien” (No, non mi pento di niente), il suo più grande successo, dopo “La vie en rose”, alla Legione straniera, impegnata nella guerra d’Algeria. Il testo può essere letto anche come canzone d’amore, (No, rien de rien/ non, je ne regrette rien/ C’est payé, balayé, oublié/ je m’en fous du passé . – “No, non mi pento di niente, tutto è stato pagato, spazzato, dimenticato, me ne frego del passato”). Sta di fatto, però che la canzone divenne l’inno delle armate golpiste che lottarono sino alla fine contro l’Indipendenza dell’Algeria. E che ne cantarono una versione parzialmente rivista quando vennero processati.
Milo Goj