Sono state scritte moltissime canzoni contro la guerra. Il solo Bob Dylan nel primo pugno di anni della sua attività ha scritto più di un capolavoro in argomento. Io prediligo la canzone italiana e anche a casa nostra sono state scritte canzoni che meritano di non essere dimenticate. Mi vengono subito in mente quelle che per ragioni diverse preferisco, ma anche quella che mi piace di meno.
Parto da quest’ultima, “Generale” di De Gregori, che trovo (sorrido) “general-generica” e “fumosetta”.
Curiosa è la storia di “Li vidi tornare” di Tenco (al quale si deve anche la bella “Ballata dell’eroe”, portata al successo da De André). Chi la sente sobbalza, “ma questa è Ciao Amore Ciao!”.
Infatti la canzone originale era “Li vidi tornare”, ma il testo fu ritenuto inadatto per il Festival di Sanremo e Tenco lo dovette riscrivere. Sappiamo com’è andata purtroppo a finire quella tragica edizione del Festival di Sanremo 1967. “Ciao Amore, Ciao” rimane una bella canzone sull’emigrazione. Come si dice, “la classe non è acqua” e a Tenco la classe non mancava di certo. Io Tenco l’ho scoperto con il passare degli anni ascoltando, cercando, trovando vere gemme anche tra le canzoni meno note.
Ricordo, invece, nitidamente un grande successo di quegli stessi anni: “C’era un ragazzo che, come me, amava i Beatles e i Rolling Stones”, cantata da Gianni Morandi e poi interpretata anche niente poco di meno che da Joan Baez. A quell’epoca avevamo il disco 45 giri ed era una delle canzoni che ascoltavamo di più in viaggio con il mangiadischi: le auto di allora avevano tutt’al più la radio ed era già un lusso.
Ho letto recentemente un aneddoto che mi sembra interessante, raccontato dallo stesso Morandi. In occasione di una prima ripresa televisiva il paludatissimo “Mondo Rai” (anzi, per dirla con Marco Pannella, “la TV di regime”) aveva chiesto la modifica del testo per evitare qualsiasi riferimento che potesse apparire non in linea con le alleanze politico-militari del Paese (non ci sembra ridicolo, oggi?).
Sì, insomma, bisognava eliminare il riferimento al Vietnam e ai Vietcong. Però il succo della canzone stava proprio lì, in quel riferimento dritto e diretto alla Guerra che era in corso in Vietnam. Bene, in piena ripresa TV si arriva alla fatidica strofa, Morandi lancia uno sguardo al paroliere e tira dritto con il testo originale.
Lampo d’orgoglio, guizzo antisistema del figlio del ciabattino comunista che prima di aprir bottega leggeva Il Capitale di Marx… e bravo il nostro Morandi! Una delle canzoni in assoluto più belle, meritatamente nota, stranota e arcinota, è “La guerra di Piero” di De André: l’umanità e la disumanità. L’umanità degli uguali costretta alla disumanità dei nemici.
Sull’onda della guerra in Jugoslavia, sanguinosissima e qui sulla porta di casa, mi viene in mente una canzone con un avvio fulminante: “lo senti un rumore lontano / più forte di un tuono / che scoppia, rimbomba da oltre Trieste nelle nostre teste e non si ferma più / guarda una macchia di rosso, colora il canale del bene e del male / il colore del mare che sembra virare più al nero che al blu”. È l’inizio di “Curva sud” di Claudio Lolli, scritta – mi è stato raccontato dall’amico Flavio Carretta che lo accompagnava a suonare a Trieste – nel corso del viaggio in auto, su foglietti di carta tutti spiegazzati venuti fuori dal fondo di una tasca, così, di getto.
Ancora due canzoni ho bene in mente
La prima è di Guccini, che dopo la indimenticabile Auschwitz, decenni dopo è tornato in argomento con “Il caduto”. È una canzone straordinaria e delicata, imperniata sul rapporto uomo-natura: l’innaturalità della guerra matrigna per un uomo che ha sempre vissuto in piena armonia con la natura benigna. “Io nato Primo di nome e di cinque fratelli, uomo di bosco, di fiume, lavoro e di povertà, ma uomo sereno di dentro, come i pesci e gli uccelli che con me dividono il cielo, l’acqua e la libertà”… “Guarda la guerra che beffa, che scherzo puerile, io che non mi ero mai spinto in un lungo cammino, ho visto quel poco di mondo da dietro un fucile, ho visto altra gente soltanto da dietro un mirino…” … “cosa darei per guardare gli odori della mia montagna … scoprire di nuovo il miracolo della castagna”.
Canzoni bellissime, profonde, emozionanti. Ma nessuna affronta l’argomento più urticante: che cosa ci sta dietro. Ancora una volta ci pensa Claudio Lolli, che ha fatto un passo in più. Perché lui aveva una marcia in più. Nel 1974 ha scritto “Al milite ignoto”: canzone che, secondo me, meriterebbe di essere trasmessa ogni 4 novembre tutto il giorno a reti unificate. Meno di cinque minuti per una lezione di Storia.
Sovvengono i luoghi da cui è partita la cerimonia. Penso a quel treno con la salma ignota scelta ad Aquileia da Maria Bergamas, “mater dolorosa”. La folla assiepata lungo i binari di tutta Italia. Strazio, lacrime e fiori. Il rito collettivo del dolore ideato dal Regime: a Roma il Duce, il Re, i gerarchi, gli ufficiali, i decorati, i mutilati. Lo sguardo è quello di chi studia la Grande Guerra.
Spedito a combattere chissà dove e chissà perché il Milite ignoto, “dopo averci lasciato la pelle, ci hai rimesso per sempre anche il nome”. Ma il Milite ignoto è vivo nel ricordo della sua donna, dei compagni di lavoro, degli amici. “Come sei invece ignoto a quelli / per cui tutto ciò è stato un affare / che cantando «Siam tutti fratelli» / ti ricordano attorno a un altare / come sei certamente ignoto alle mani / di quel vivo illustre «dabbene» / che verrà a sputare domani / altri fiori sulle tue catene”.
Argomento completato. Argomento esaurito.
Claudio Zucchellini