E’ esistito, e non so se circola ancora, un gioco di sopravvivenza intitolato This War of Mine ispirato dall’assedio di Sarajevo. Sviluppato nel 2014 prevede che un giocatore controlla un gruppo di civili che tentano di sopravvivere nel corso dell’assedio di una città. Il gioco, la cui vendita ha fruttato in soli due giorni di commercio il recupero dei soldi spesi per svilupparlo. L’assedio più lungo della storia moderna durato 1425 giorni, cominciato il 5 aprile del 1992, esattamente trent’anni fa.

I dieci anni che decretarono la fine del XX secolo

Questo, per dire, il grande richiamo mediatico che l’assedio di Sarajevo, all’interno della guerra che ha portato alla dissoluzione della Jugoslavia, ha conosciuto nel mondo. E ormai nella storia dell’umanità. Pensavamo che quei giorni, e quella guerra, sarebbe stata l’ultima nel cuore dell’Europa. Che un assedio come quello di Sarajevo o come quello di Vukovar non li avremmo più vissuti. Non avremmo più assistito ai 78 giorni di bombardamenti aerei di Belgrado del 1999 o a massacri come quello di Srebrenica. E questo solo per elencare alcuni dei momenti salienti di quei dieci anni che hanno segnato la fine del ventesimo secolo.

Siamo precipitati nel baratro di un’altra guerra

Un conflitto forse più devastante di quello che si si era svolto a pochi chilometri da noi, sull’altra sponda dell’Adriatico. Come se le donne i vecchi e bambini ammazzati, i massacri, gli stupri, le fossi comuni, le colonne di profughi, i mutilati, non fossero serviti da lezione.

Anche noi scrittori e giornalisti ci siamo preparati a ricordare il trentennale di quell’ultima guerra europea. Nella convinzione di riportarlo alla memoria come il residuo di un passato che non si sarebbe più ripetuto grazie a un’Europa Unita. Un passato che non si sarebbe più ripetuto. Ricordare quel conflitto per ricordarci i vantaggi della pace e la bellezza di un continente con sempre meno confini tra gli stati che lo compongono.

Libri e documentari per ricordare

I tempi lunghi nella preparazione di documentari che celebrassero tutto ciò, e quelli non meno lunghi della produzione editoriale ha fatto sì che si lavorasse a riguardo. Già sono già in libreria alcuni libri come “Maledetta Sarajevo” edito da Neri Pozza e scritto da due giornalisti, Francesco Battistini e Marzio G.Mian, che hanno vissuto da corrispondenti nell’inferno dell’assedio di Sarajevo. Oppure come “Balcania” edito dalle Edizioni Biblioteca dell’immagine, scritto da Toni Capuozzo, inviato di prima linea sul fronte della ex Jugoslavia. Un libro che, ironia della sorte, ha per sottotitolo L’ultima guerra europea.

Per i miei legami famigliari e culturali con la Croazia e per i miei libri sui Balcani e sulla guerra, a cominciare da “I confini dell’odio”, edito da Aragno nel lontano 2002 mi sono trovato a lavorare in questi mesi come autore al documentario “Hotel Sarajevo”. Nato da un’idea di Andrea Di Consoli e prodotto da Clipper Media, Cinecittà con Rai Cinema, per la regia di Barbara Cupisti, sarà trasmesso prossimamente in Tv. Ci abbiamo lavorato nella convinzione che aveva senso parlarne oggi di quei terribili giorni a Sarajevo, nella speranza che nulla di analogo potesse ancora accadere. A cominciare dallo sgomento in cui, la mattina del 5 aprile 1992, gli abitanti si ritrovarono la città occupata dai check-point dell’esercito serbo-bosniaco. E dalle truppe paramilitari di Radovan Karadžić.

Gli spietati snajper di viale Radomir Putnik

L’attacco della scuola di polizia da parte delle milizie di Karadžić e il tentativo delle truppe speciali serbe di occupare il palazzo presidenziale, spinsero il presidente della Bosnia Erzegovina, Alija Izetbegović, a sciogliere il parlamento. E proprio lì davanti all’hotel Holiday Inn, sul tetto del quale si erano erano appostati alcuni cecchini, iniziò una sparatoria contro un primo corteo di protesta nella quale venne uccisa una giovane musulmana, Suada Dilberović. Fu in quel momento che iniziò la mattanza dei cecchini. Una pratica che si trasferì su altri edifici dello stesso viale Radomir Putnik, poi denominata il viale dei cecchini.

Parliamo di gente armata di fucili di precisione Dragunov, con cartucce 7,62 x 54mm, che dai tetti prendeva di mira e uccideva chiunque, anche bambini, entrasse nel loro mirino. Le vittime furono circa 300. Ed è accertato che alcuni di questi snajper erano stati campioni olimpionici di tiro a segno. Tutto ciò, mentre veniva occupato dalle truppe serbo-bosniache il quartiere di Grbavica, dal quale controllavano anche le vie che portavano all’aeroporto. Le conseguenze furono durissime per il resto della popolazione, in particolare le donne, vittime di violenze bestiali attuate anche in mezzo alla strada o su sellini di motociclette.

Circondata, senza acqua e luce Sarajevo reagì

Tutto ciò mentre il resto della città veniva presa nella morsa delle artiglierie piazzate sulle colline intorno al comando del generale Ratko Mladić, salito alla ribalta anche per il massacro di Srebrenica. Ben presto, la città sarebbe stata isolata, senza elettricità ed acqua, con i cittadini che, oltre a morire per le bombe, avrebbero preso a morire di freddo e di fame.

Finché all’inizio dell’anno successivo non fu costruito da gruppi di volontari, in sei mesi, un tunnel sotterraneo. Questo permise, solo in parte, di far giungere alla popolazione aiuti umanitari. Ma anche di mettersi in salvo, per quel che era possibile. Parallelamente le operazioni militari e sanguinarie si spostarono verso Mostar, Travnik, Maglaj, Gradačac, Goradžde dove esistevano impianti per la produzione di armi e munizioni. Qui nacque la famosa mina Goražde, fatta in casa sulla falsariga di una Elsie canadese, senza gli stessi effetti devastanti ma che bastava a portarti via un piede o una gamba.

Pensavamo che sarebbe stata l’ultima guerra…

In tutti questi territori accanto all’esercito di Milošević imperversarono le cosiddette Tigri del “comandante” Arkan, al secolo Željko Ražnatović. Lo stesso sarebbe poi stato ucciso nel gennaio del 2000 in un misterioso attentato avvenuto nella hall dell’Hotel Hyatt di Belgrado.
Dopo tutto questo, pensavamo che la guerra in Europa sarebbe stata, davvero, archiviata per sempre. E che, se proprio avrebbe dovuto esserci, non uscisse dal perimetro virtuale di un videogioco. Per quanto demenziale mai come una guerra o un assedio veri.

Diego Zandel

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