La Germania ha voltato pagina. Ha deciso di stanziare 100 miliardi di euro per spese militari e riarmo. Una decisione rivoluzionaria. Un tassello importante nel quadro europeo che si sta adeguando a un’atroce guerra scoppiata ai suoi confini orientali. Farà bene, farà male? Sull’argomento e sulla genesi delle colpe tedesche ospitiamo un articolo dell’avvocato Lorenzo Bianchi.
«Ma non basterà un migliaio di anni a purificare la Germania dalle sue colpe». Sono le parole pronunciate da Hans Frank, governatore nazista della Polonia, condannato a morte a Norimberga per crimini contro l’umanità.
Quando si pensa alla Shoah, non si può fare a meno di riflettere sulla colpa del popolo tedesco per il genocidio del popolo ebraico. Come è potuto accadere che la nazione di Goethe, Beethoven e Schiller, sia stata anche quella di Hitler, Himmler e Heidrick? Il grande storico francese March Bloch, membro della Resistenza gollista, torturato e ucciso dalla Gestapo, ammoniva, nel suo libro “Apologia della Storia”, a non essere condizionati nell’analisi storica dalla ricerca della causa unica.
Le colpe della Germania per la Shoah
Gli accadimenti storici, infatti, sono la conseguenza di una molteplicità di fattori che si intrecciano reciprocamente, come le molte onde di una tempesta. E’ ancora Bloch afferma: «Che cos’e il presente se non la punta estrema di un lungo flusso, in cui ogni ondata dipende, nel suo movimento, sia dalle altre onde vicine che la serrano e la pressano, sia da quelle che da dietro l’hanno spinta in avanti?» Molte sono le ragioni alla base della responsabilità dei Tedeschi per la Shoah. Anzitutto ragioni di carattere storico che hanno contribuito a forgiare una società.
Thomas Mann, nel suo saggio del 1945, “La Germania e i Tedeschi”, si chiedeva perché la Germania dovesse pendere sempre dalla parte di Lutero, incapace di comprendere anche la libertà del cittadino, e non da quella di Goethe, con il quale avanzò sul cammino della civiltà. Scriveva: «Perché l’impulso di libertà tedesco deve sfociare sempre in una non-libertà interiore».
Shoah: riflessioni sulla responsabilità del popolo tedesco
Secondo Rosario Romeo è necessario guardare al 1848, anno in cui veniva abbandonato lo slancio di libertà dell’età delle guerre di liberazione e lo Stato prussiano rimaneva come unica forza reale della nuova Germania. Stato e potenza divennero fini in sé stessi, senza che valori più alti li ispirassero. E’ qui che si ebbe la crisi decisiva nella vita spirituale della nazione tedesca. Vi si affiancò uno sfrenato militarismo che divenne poi, come scrive Emilio Gentile nel libro “L’Apocalisse della modernità”, il fulcro della filosofia della grande potenza, che guidò le ambizioni imperialiste della Germania di Guglielmo II. «Nell’ideologia militarista germanica, sintesi di storicismo hegeliano, di millenarismo luterano e di darwinismo sociale, erano accolte ed esasperate tutte le motivazioni esaltanti la necessità storica e biologica della guerra per lo sviluppo dell’umanità».
In questo quadro di statolatria, volontà di potenza e militarismo, si giunse alla Prima guerra mondiale che vide la Germania sconfitta. Vennero gli anni della Repubblica di Weimar e la crisi economica, predetta da Keynes anche come conseguenza delle eccessive imposizioni nei confronti della nazione tedesca stabilite nel Trattato di Versailles. Sorse il Nazismo, che si alleò con i magnati dell’industria e della finanza, si impose con la violenza delle strutture paramilitari e, dopo la presa del potere, con i reparti d’assalto e i campi di concentramento.
Una Germania sconfitta diede luce a Weimar
Il percorso storico della Germania ci aiuta a comprendere la struttura mentale e la coscienza individuale del cittadino tedesco in quegli anni. Abitudine all’obbedienza cieca, scarso senso critico, nazionalismo militarista, revanscismo, odio verso il diverso, furono probabilmente elementi comuni della mentalità di molti Tedeschi.
Queste riflessioni, però, non consentono ancora di rispondere in maniera adeguata alla domanda basilare. Come poterono i Tedeschi prestare il loro consenso ad una politica di genocidio di un popolo, allo sterminio di uomini, donne e bambini, alla morte dei loro vicini di casa?
La storiografia, come hanno ben evidenziato Giovanni Gozzini nel libro “La strada per Auschwitz” e David Engel ne “L’Olocausto”, ha indicato altre cause che hanno concorso a creare questo consenso al regime nazista e alla persecuzione degli Ebrei. Vi fu senz’altro la paura della violenza dei cospiratori nazisti, ma anche il bisogno di legge e ordine, la debolezza della Repubblica di Weimar, la creazione di nuova occupazione da parte del governo di Hitler, il desiderio di ascesa sociale e di carriera di alcuni che sfruttarono il Partito nazista per assecondare le proprie ambizioni, l’avidità delle imprese tedesche che poterono aumentare il proprio profitto lavorando per la macchina dello Stato.
Cieca obbedienza e scarso senso civico…
Una causa fondamentale fu naturalmente l’antisemitismo, un fenomeno plurisecolare ampiamente diffuso nel Paese che, dopo la Prima guerra mondiale, presentò gli ebrei quali profittatori che avevano tramato per la resa della Germania mediante gli esponenti principali della Repubblica di Weimar.
Un fenomeno guidato dalla propaganda e dalla politica di Hitler, il quale aveva dichiarato il suo antisemitismo, che affermava l’inferiorità e la pericolosità degli ebrei, nel libro “Mein Kampf” scritto in carcere dopo il fallito colpo di Stato del 1923, il cosiddetto “Putsch di Monaco”.
Secondo molti storici si trattò di un antisemitismo violento e aggressivo che rimase ristretto alla parte militante dei nazisti, mentre gli atteggiamenti più diffusi nella popolazione andavano dall’accettazione convinta dello Stato razziale a un’indifferenza generalizzata in difesa del quieto vivere. Almeno un milione di tedeschi furono coinvolti nel sistema dei campi di concentramento e di sterminio.
Daniel Jonah Goldhagen, nel suo libro “I Volenterosi carnefici di Hitler” descrive in capitoli sconvolgenti i massacri compiuti dai battaglioni di riservisti della polizia, che indicano la misura in cui l’antisemitismo avesse infettato i tedeschi, tanto da trasformare uomini comuni, normali padri di famiglia, in efferati assassini.
I volenterosi carnefici… La banalità del male Hannah Arendt
Un antisemitismo violento e aggressivo dei militari
Il coinvolgimento di così tanti tedeschi nella realizzazione del disegno genocidiario nazista lascia sgomenti.
E’ necessario approfondire ancora rilevando anche l’importanza di fattori psicologici come l’arrivismo, la pressione del gruppo di riferimento, la deferenza verso l’autorità, l’indottrinamento ideologico, che portarono all’erosione della naturale avversione per l’omicidio.
Giova evidenziare un altro aspetto, rappresentato dalla complessità della macchina burocratica dello sterminio, nella quale ognuno si illudeva di poter separare il proprio ruolo personale dagli effetti complessivi del meccanismo, dove poteva illudersi di non avere responsabilità. Illuminanti sotto questo aspetto sono le considerazione di Hannah Arendt nel libro del 1963 “La banalità del male”, resoconto del processo celebrato a Gerusalemme contro il criminale nazista Adolf Eichmann, il quale insistette a dichiararsi non colpevole poiché si era limitato ad applicare regolamenti ed eseguire ordini.
Non è più il mio paese
Un insieme di ragioni, un intreccio di cause, storiche, sociali, economiche, psicologiche, creò le condizioni che spinsero pertanto una nazione intera a seguire dei folli criminali verso l’indicibile, lo sterminio di un popolo, la Shoah.
Eppure, alla fine di tutti gli studi, sembra che le analisi non siano sufficienti a spiegare ciò che è accaduto, che sfugga qualcosa, come se l’irrazionale fosse penetrato nella Storia. Il film documentario del 1985 di Claude Lanzmann, “Shoah”, fondato sulla drammatica oggettività delle testimonianze, interviene Inge Deutshkron (un’ebrea che restò nascosta a Berlino durante tutta la guerra).
«Non è più il mio Paese. Soprattutto, non è più il mio Paese quando osano dirmi che non sapevano … non hanno visto … “Sì, qui c’erano degli ebrei, sono scomparsi, non abbiamo saputo niente altro”. Come hanno potuto non vedere! La cosa è durata quasi due anni! Ogni quindici giorni portavano via le persone dalle loro case. Come hanno potuto essere così ciechi? Il giorno che Berlino è stata ripulita dagli ultimi ebrei nessuno voleva rimanere nelle strade, le strade erano completamente vuote. Per non vedere facevano in fretta i loro acquisti. Era un sabato, facevano la spesa per la domenica e rientravano in casa di corsa. Ricordo quel giorno come fosse ieri. Le camionette della polizia percorrevano le vie di Berlino, strappando le persone alle loro case. … E fu il giorno in cui … di colpo mi sono sentita così sola, così abbandonata. Sapevo che ormai saremmo rimasti solo un pugno di persone; quanti altri clandestini ci sarebbero stati? …. Non c’era più calore, più un cuore fraterno, capisce? »
Solo coloro che erano lì sanno, gli altri non lo sapranno mai
Eli Wiesel Deportati
Quanto alle testimonianze dei sopravvissuti ai campi di sterminio sono indescrivibili per l’orrore che suscitano. Rimangono le parole di Eli Wiesel quando scrive che la Shoah è «l’evento ultimo, il mistero ultimo che non potrà mai essere compreso o trasmesso. Solo coloro che erano lì sanno cos’era, gli altri non lo sapranno mai». Gli studi e le riflessioni sulla responsabilità del popolo tedesco riguardante la Shoah non sono utili solo per cercare di comprendere il passato. Sono anche indispensabili per vigilare sul presente, sul presente di tutti. Un tempo in cui la libertà dell’individuo sembra, per molti motivi, restringersi pericolosamente. Un tempo in cui il gelido vento della guerra sferza un’altra volta il viso degli Europei.
Lorenzo Bianchi