Il 22 dicembre 1947 l’Assemblea Costituente approvava la Carta fondamentale della Repubblica. La nostra Costituzione, entrata in vigore il 1° gennaio 1948. Mi pare importante che si ripercorra, insieme con Lei e con L’Incontro dell’epoca, questa importante ricorrenza. Quale fu il bilancio di questi primi trent’anni di democrazia?
E’ una ricorrenza densa di significato. Erano passati parecchi anni dall’approvazione della Costituzione e si poteva quindi tracciare un bilancio sufficientemente veritiero del tempo trascorso.
Come risultava dall’articolo di fondo del dicembre 1977, non si poteva non riconoscere che all’epoca nel Paese il disagio esisteva.
“Dalla fragilità dell’equilibrio tra l’ampia sfera di riconosciuti diritti e la possibilità di un loro reale esercizio. Nessuno può negare che dal 1948 molte cose siano state fatte, anche se con gravi ritardi, tanto da modificare i rapporti sociali e i rapporti fra i cittadini e lo Stato.
Ma molte sono tuttora le inadempienze, le storture, le carenze istituzionali della Repubblica. Fortissima è la sfiducia verso uno Stato che ad ogni livello si dimostra impari ai suoi compiti e per cui si dispiega la protesta giovanile che giunge a episodi di fanatica violenza e minaccia.
Quanti dei diritti fondamentali del cittadino – all’istruzione, al lavoro, alla salute, alla casa, alla sicurezza sociale, alla giustizia, alla tutela dei diritti civili – sono pienamente realizzati?
La Costituzione, voluta 30 anni fa dalle forze democratiche e popolari, aveva bisogno di essere attuata integralmente e rapidamente con l’impegno congiunto e responsabile di tali forze”. Il che non era avvenuto.
Un disagio che il Paese riuscì a superare
Le conclusioni dell’articolo erano chiarissime e fotografavano la situazione, all’epoca, del Paese.
“Per questo, larghe masse di giovani a sinistra e a destra si sentono al di fuori della Costituzione. Pure, la crisi materiale e morale che ha investito la Repubblica può essere superata, come avvenne con pazienza e tenacia nel dopoguerra. Oggi lo Stato non è più quello accentrato, burocratico, poliziesco, clericale di allora.
E’ più libero, più giusto, più moderno, più articolato nelle autonomie locali. Dipende dalla collaborazione di tutti, dalla tolleranza, dal bene comune, dall’educazione dei giovani migliorarlo come vogliamo”.
Il ruolo determinante della Corte Costituzionale
Mi pare giusto ricordare, infine, che un rilevante contributo alla modernizzazione del Paese era avvenuto in quegli anni, e sarebbe poi continuato, grazie all’opera della Corte Costituzionale.
Dopo un inizio stentato, anche per le resistenze di settori dello Stato (la Corte Costituzionale iniziò a funzionare dal 23 aprile 1956), la Corte fu investita da questioni sempre più rilevanti e decisive per lo sviluppo democratico del Paese. Grazie alle questioni sollevate dagli avvocati più attenti ed accolte dai Giudici.
Gli anni 1977/1978 sono forse tra i più drammatici che il nostro Paese abbia vissuto dal dopoguerra in poi. E non mi riferisco soltanto all’assassinio di Aldo Moro, che pure ha rappresentato il culmine dell’attacco allo Stato da parte delle Brigate Rosse.
Il solo numero di attentati terroristici del 1977, ben 1700, dimostra che si era in una situazione drammatica. Ma il culmine venne raggiunto proprio con il sequestro e poi l’assassinio a sangue freddo dell’Onorevole Moro.
L’Incontro del marzo 1978 sosteneva una chiara tesi
“Il sequestro dell’On Moro, avvenuto il 16 marzo, mediante un agguato, nel corso del quale sono stati massacrati cinque uomini di scorta, è un attacco al cuore dello Stato, che va oltre la persona fisica del “leader” della Democrazia Cristiana.
L’intenzione delle “Brigate Rosse” è ufficialmente quella di fare un “processo politico”, tanto grottesco quanto disumano, all’On. Moro, ma in realtà il fine è ben diverso. Mettere sotto accusa l’intera classe politica, colpire lo Stato democratico nelle sue istituzioni e nella sua credibilità, suscitare con il metodo della violenza la paura, la rassegnazione, il qualunquismo, trasformare le forze moderate in forze reazionarie, mettere in crisi la società nel suo complesso per instaurare alla fine un regime autoritario”.
Assassinio di Aldo Moro un delitto contro l’Umanità
L’Incontro del maggio 1978 titolava “L’assassinio di Aldo Moro: un delitto contro l’umanità”. Nell’ articolo si indicavano le priorità che si sarebbero dovute seguire per un decisiva reazione, nella legalità, alle azioni criminose delle Br e dei loro accoliti.
“Per combattere le Brigate Rosse non occorrono leggi eccezionali o la pena di morte, che farebbero perdere alla Repubblica le sue prerogative democratiche.
Mutare la situazione politica del Paese, correggere gli errori di un Partito al governo da 30 anni, colpire la corruzione amministrativa negli Enti locali e dello Stato, impedire lo sperpero del denaro pubblico, porre fine agli scandali, al privilegio per taluni, alla discriminazione per altri sono altrettanti mezzi per togliere ogni giustificazione alla sfida dei terroristi.
Se lo Stato sarà più giusto e più umano, più responsabile e più produttivo, allora non meriterà più l’odio dei suoi avversari.
Questi saranno sconfitti nelle loro pseudo-motivazioni politiche. E la nostra Repubblica sarà veramente quella per cui abbiamo combattuto nella Resistenza: una Repubblica fondata sul lavoro, non sulla violenza”.
Alessandro Re