Domanda. I temi che hanno occupato le pagine de L’Incontro negli anni 1968/1969 sono numerosi, tanto che è difficile sceglierne qualcuno senza dimenticare quelli che all’epoca avevano avuto una grande risonanza. Gli eventi più importanti mi paiono essere quello dell’uccisione di Martin Luther King negli USA e l’invasione della Cecoslovacchia da parte dell’URSS.
Effettivamente l’assassinio di Martin Luther King da parte di un razzista bianco, avvenuto a Menphis, nel Tennessee il 4 aprile 1968, è uno degli avvenimenti più tragici di quegli anni. E non solo per l’uccisione di un “apostolo della non violenza”, ma per le gravi ripercussioni su tutta la società americana, che ancora una volta rivelava il suo volto più reazionario e razzista. Non vi è dubbio che tutta la vita di King sia stata ispirata dagli ideali di riconoscimento dei diritti dei neri, allora negati e vilipesi addirittura in modo offensivo, senza mai cedere alle lusinghe che in quegli anni iniziarono a far capolino, tra i neri, della rivolta violenta, in base ai principi del “black power”.
Eclatante fu il gesto emblematico del pugno chiuso che due atleti statunitensi, alle Olimpiadi di Città del Messico nel 1968, levarono al momento dell’inno nazionale). King era un uomo mite, profondamente religioso, che condusse per anni il Movimento per i diritti civili proponendosi di ottenere la fine delle discriminazioni razziali contro i neri, ma sempre con manifestazioni non-violente. Esemplari furono le marce che egli organizzò in tutti gli Stati Uniti, all’unico fine di ottenere i “diritti civili e l’integrazione”. L’Incontro del marzo 1968 si chiedeva se “il sacrificio di King provocherà una frattura irreparabile nei rapporti tra neri e bianchi oppure se prevarrà la voce della ragione”; se sarebbero continuate le violente manifestazioni di protesta che si erano già sollevate in tutti gli Stati Uniti o se, viceversa, l’illusione, da parte di chi aveva ucciso King, di fermare il tempo, non avrebbe prevalso. Ebbene, a distanza di molti anni anche se è arrivato alla Presidenza degli Stati Uniti addirittura un afroamericano quale Barack Obama, a mio avviso, il problema razziale e la parità di diritti non si possono considerare definitivamente risolti e chissà quante generazioni dovranno ancora subire ingiustizie e diseguaglianza quali quelle oggi esistenti.
Domanda. Credo che l’intervento dell’URSS in Cecoslovacchia nel 1968 abbia segnato, forse ancor più di quello in Ungheria nel 1956, il profondo distacco che si era ormai creato tra il “mondo sovietico”, chiuso e non riformabile, ed il mondo occidentale, dove la parola democrazia deve essere coniugata con il rispetto dei diritti dei cittadini e dei popoli.
Lo stupore di tutto il mondo ed in particolare dei democratici, rispetto all’intervento dell’URSS contro un Paese libero, credo sia stato ben rappresentato dal titolo de L’Incontro del settembre 1968: “Una cosa incredibile”. Era infatti avvenuto che, in base al pretesto di “minacce di elementi controrivoluzionari interni” e a fronte del pericolo che cadesse il sistema politico-militare di un Paese importante dell’Europa dell’Est, dominata dal blocco dell’URSS, le truppe sovietiche erano sbarcate in forze in Cecoslovacchia, occupando il Paese e suscitando forte emozione in tutto il mondo. Per riaffermare il proprio potere all’interno del blocco sovietico, l’URSS non aveva tenuto conto del totale dissenso che tale operazione repressiva avrebbe fatto sorgere proprio nei Partiti comunisti dei Paesi occidentali, cominciando dall’Italia.
E’ questa la data storica in cui giunse alla fine quel tratto di strada che era stato percorso insieme dall’URSS e dai Partiti comunisti occidentali, tra i quali quello italiano era uno dei più autorevoli e forte numericamente. Oltre ad incidere fortemente su tali rapporti con i Partiti comunisti dell’Europa occidentale, l’invasione della Cecoslovacchia da parte delle truppe sovietiche può essere considerato il più importante campanello d’allarme che avrebbe dovuto suonare con forza nelle menti degli oligarchi russi.
L’articolo de L’Incontro citato terminava infatti come segue: “Ciò che si è verificato dipende dal fatto che non è il popolo, ma nemmeno il Partito nel suo complesso che comanda in Russia. Tutto dipende da un gruppo ristrettissimo di personaggi, che ha in pugno l’apparato del Partito e decide senza contraddittori. La classe operaia anziché classe dirigente è una massa di manovra a cui non è riconosciuto nemmeno il diritto di protestare. Tutto si decide fra le mura del Cremlino, anche un’impresa folle come quella contro la Cecoslovacchia. Se il tempo è galantuomo qualcosa dovrà accadere prima o poi ai despoti del Cremlino”.
Non sarebbero passati molti anni e, in realtà, l’impero sovietico finì in frantumi.
Domanda. Tornando ora alla situazione dell’Italia, L’Incontro del 1969 ha dedicato ampio spazio a due temi importanti quali la fine della neonata unità dei socialisti e la prima vittoria del fronte laico-divorzista.
In effetti sono due avvenimenti che avvennero in quell’anno, ma che poi riverberarono i loro effetti sulla società italiana per molti anni successivi. Poco tempo dopo che era faticosamente avvenuta con l’appoggio di Nenni la riunificazione dei socialisti e dei socialdemocratici sotto un unico tetto, si verificò la rottura che L’Incontro del giugno 1969 titolava: “Fallita l’unificazione del 1966 fra i due partiti socialisti“.
L’unificazione del P.S.I. e del P.S.D.I. era avvenuta solo a fine ottobre 1966 e già pochissimo tempo dopo andava in frantumi! Nell’articolo di fondo dell’epoca si faceva notare come “la scissione, da lungo tempo meditata e predisposta, appare in realtà priva di una seria motivazione ideale e politica” ed ancora che “la scissione appare piuttosto ispirata dal desiderio di ritornare alla vecchia politica centrista, basata sulla conservazione, sull’immobilismo, sull’anticomunismo, nell’alleanza tra la destra DC e i liberali, cioè a quel regime che per quasi 20 anni ha bloccato lo sviluppo del Paese e che oggi risulta inaccettabile di fronte alla contestazione giovanile, agli squilibri ed alle esigenze della società italiana”.
Le conclusioni erano addirittura profetiche di quanto sarebbe accaduto ai socialisti di lì a pochi anni:
“Sarebbe tragico se la scissione non aprisse gli occhi ai dirigenti. E’ ora di finirla con l’individualismo, con l’indifferenza verso la base degli iscritti, con il gioco delle consorterie, con la fatica dei compromessi e con la lotta per il potere”. Tutto inutile: i socialisti italiani, per primi tra tutti i Partiti, scivolarono verso il baratro senza neppure accorgersene.
Veniamo ora ad affrontare il tema del divorzio che il 28 novembre 1969 ottenne, finalmente, la prima “grande vittoria del laicismo e dell’autonomia del Parlamento contro le interferenze della Chiesa”, come titolava L’Incontro del novembre 1969.
In effetti quella data segnò un’epoca perché la Camera dei Deputati (seppur con soli 325 voti favorevoli e ben 285 contrari) approvò il progetto di legge Fortuna-Baslini sui “casi di scioglimento del matrimonio”, permettendo così, di lì a breve, l’introduzione nel nostro Paese dell’istituto del divorzio, in base alla legge n. 898/1970. Non è questa la sede per ripercorrere l’”iter” parlamentare della legge, ma occorre ricordare come i tentativi del fronte clericale, della Chiesa e del Movimento Sociale Italiano, per non permettere l’introduzione di questa riforma furono notevolissimi, a partire dalle eccezioni di incostituzionalità in cui sarebbe incorsa la nuova legge per il preteso contrasto con l’art. 7 della Costituzione.
La Commissione Affari Costituzionali della Camera ritenne, al contrario, che non vi fosse alcun problema in tal senso, in quanto non venivano apportate “modifiche all’art. 34 del Concordato, limitandosi ad introdurre una nuova disciplina circa la durata degli effetti civili del matrimonio che rientrano nella piena ed esclusiva legislazione e giurisdizione dello Stato”.
Anche i successivi tentativi del fronte clericale alleato ai neofascisti del MSI, di abrogare la legge appena introdotta, con il famoso “referendum” del 1974 pro o contro il divorzio, sarebbero stati respinti dalla volontà popolare che bocciò il “referendum” a larga maggioranza.
Alessandro Re