A marzo saranno passati sei mesi dalla data di assunzione della terza dose di vaccino per gli italiani che per primi hanno ricevuto il booster. Si tratta di una scadenza fondamentale, in quanto il decreto in vigore prevede che dal primo febbraio il “super green pass”, abbia una validità semestrale dalla data dell’inoculazione (o da quella della guarigione).
Considerando che la quarta dose non è ancora partita, si pone un problema non da poco. Cosa succederà a chi è tri-vaccinato, da più di sei mesi?
La soluzione più semplice, quella cui il Governo sta lavorando, è di allungare di qualche mese la data di scadenza. O addirittura di protrarla all’infinito. O, almeno sino a quando si avranno le idee più chiare sulla quarta vaccinazione.
In sostanza il principio sarebbe questo: anche se sei mesi è mediamente il tempo durante il quale il vaccino dà una certa protezione, non è possibile penalizzare, imponendo strette restrizioni e togliendo addirittura il lavoro, i cittadini che hanno seguito in modo obbediente i piani vaccinali.
Questa soluzione, che appare di buon senso, presenta però due forti punti critici, uno sanitario e uno, forse ancora più importante, relativo ai diritti individuali. Sul primo non essendo uno “scienziato”, ho poco titolo per intervenire. La maggior parte della letteratura scientifica sembra però convenire sul fatto che dopo qualche mese il vaccino perda ogni effetto. Non solo quello di evitare di essere contagiati e contagiosi (del resto abbiamo visto che con la variante Omicron si possono ammalare tutti, anche i tri-vaccinati), ma anche quello di ridurre i rischi di finire in terapia intensiva e, persino di morire. Se, in attesa della 4a dose o della fine auspicabile della pandemia si permettesse a chi gode di una protezione ormai evaporata, di muoversi liberamente, vorrebbe dire che, contraddicendo la politica di restrizioni, il rischio sanitario viene accantonato. Non son assolutamente in grado di avanzare ipotesi tecnico scientifiche sugli eventuali pericoli. La parola spetta al Governo e ai comitati preposti.
Il secondo aspetto tocca invece un punto a mio avviso fondamentale sulla questione dei diritti e del rapporto Stato-individui. È giusto che due categorie di cittadini, i non vaccinati e i tri-vaccinati da oltre sei mesi, che dal punto di vista della lotta alla pandemia, dei rischi per se stessi e per gli altri sono sostanzialmente eguali, debbano rispondere a regole opposte? Se si conferma il super green pass a chi ha ricevuto il booster da oltre sei mesi, vuol dire che si risponde a un principio etico-politico, assolutamente estraneo alla tutela della pubblica salute. In altre parole il messaggio sarebbe il seguente: tu che sei stato ligio ai consigli del “papà” Stato sei premiato, tu che invece sei un ribelle, devi essere punito, a prescindere da ogni considerazione sanitaria. Certo, al posto del termine ribelle si può dire “sei venuto meno a doveri sociali e morali”. Può anche essere giusto premiare i cittadini ligi a quanto la narrazione ufficiale racconti essere doveroso e punire chi fa di testa propria.
Personalmente, però, qualche rischio di scivolamento verso lo Stato etico, ancora più pericoloso della pandemia, non lo escludo.