L’articolo che segue ha avuto una risonanza internazionale tanto che l’ambasciatore italiano in Cile Mauro Battocchi ha voluto ringraziare personalmente scrivendo sul suo profilo Linkedin queste parole: “Perché la data del 24 marzo 1998 è così importante per l’Italia? Grazie Riccardo Rossotto per ricordarcelo.”
24 marzo 1998, martedì.
Nessuno di noi vive quel giorno come storico per il nostro Paese. Forse solo pochissimi addetti ai lavori lo ricordano, per il resto “buio totale”.
Eppure quella data di quasi 24 anni fa, come vedremo fra poco, è stata vitale per l’Italia in Europa. Abbiamo appena rivissuto i primi 20 anni dell’Euro, con un bilancio sostanzialmente positivo, per almeno tre motivi fondamentali.
- Il calo dei tassi di interesse. Con l’Euro, non dovremmo scordarcelo mai, famiglie e le imprese italiane si sono trovate a pagare il costo del denaro a prestito come tutti gli altri cittadini dell’Unione Europea. Soprattutto come i tedeschi nonostante una storia consolidata di spread molto diversi tra i due paesi. Venivamo da decenni di instabilità con frequenti svalutazioni di quella che veniva chiamata la “Liretta” e ci siamo ritrovati in una posizione di debitori con un rate pari a Paesi con i conti pubblici con saldi molto migliori dei nostri.
- Il cambio a 1.936,27 lire ha lasciato l’amaro in bocca e i portafogli più vuoti a molti italiani. E’ stato un prezzo di partecipazione molto alto da pagare, soprattutto per un aspetto apparentemente marginale: la mancanza di una banconota da un euro. Si è realizzata infatti una specie di svalutazione psicologica, temuta proprio dal nostro ministro dell’epoca Giulio Tremonti, di tutte le monete di metallo, svalutazione che ci ha portato presto ad un cambio reale doppio rispetto a quello formale. In Italia c’è chi se ne è avvantaggiato e chi si è impoverito.
- Far parte del club dei membri fondatori dell’Euro, ci ha agganciato e blindato a Bruxelles evitandoci la catastrofe economica greca. Se non abbiamo vissuto la tragedia di default lo dobbiamo proprio all’essere stati inclusi nella lista dei Paesi “della Moneta Unica”.
Più luci che ombre dunque volendo fare un primo bilancio in occasione dell’anniversario dei primi vent’anni dell’Euro.
Il 24 marzo 1998 cosa c’entra però con il compleanno dell’Euro, nato la notte del 31.12.2001?
Significa molto, costituendone la data storica che ha segnato il nostro destino “dentro” il sistema monetario europeo e non “fuori”, esposti alle bufere valutarie internazionali.
Un interessantissimo e poco conosciuto libro dell’ambasciatore italiano Mauro Battocchi “La partita dell’Euro: Italia-Germania tra cronaca e storia” (Bocconi Editore), ci racconta quella storia, incentrata proprio sul giorno fatidico del 24 marzo 1998, la notte delle decisioni sulla Moneta Unica. La notte che decretò la fine del Marco tedesco, del Franco francese, di molte altre monete per fortuna anche della Lira italiana.
Riavvolgiamo dunque il nastro degli ultimi anni e ricostruiamo quella affascinante storia, a rischio di finire negli archivi e di non essere conosciuta soprattutto dalle generazioni dei Millennial.
L’Istituto Monetario Europeo (l’attuale BCE) prima scartò l’Italia dai paesi legittimati ad entrare nel club, poi, al termine di una notte concitata ed indimenticabile, cambiò opinione e decise di includerla.
La road map per arrivare a quel fatidico 24 marzo 1998 inizia il 28 ottobre 1990 quando il Consiglio Europeo, riunito a Roma, decide di avviare formalmente il progetto per l’istituzione di una Unione Monetaria.
I parametri per poter accedere all’Unione sono fissati a Maastricht nel 1992, due anni dopo quindi il Consiglio Europeo di Roma e sei anni prima della notte fatale del marzo 1998.
I parametri di Maastricht apparivano, in quel momento, praticamente irraggiungibili per l’Italia: (i) debito pubblico tendenziale al 60%, (ii) deficit al 3%, (iii) inflazione nella media europea, (iv) tassi di interesse e stabilità dei cambi.
Tra l’altro, pochi mesi più tardi, la nostra “Liretta”, a settembre, fu espulsa dallo SME (Sistema Monetario Europeo) dando il transitorio addio alla stabilità dei cambi. In quegli anni l’Italia era vissuta molto male dagli altri membri dell’Unione: i suoi indici economici dei conti pubblici erano interpretati come un virus che avrebbe potuto contagiare tutta l’Europa.
Nel 1996, quattro anni dopo Maastricht, l’accoppiata Prodi-Ciampi lanciò la manovra per entrare nei parametri condivisi e quindi nella Moneta Unica europea.
Fissò gli obiettivi per il nostro Paese, per alcuni assolutamente irraggiungibili: il rapporto deficit/Pil nell’anno successivo, nel 1997, avrebbe dovuto passare dal 7,4% al 4,5% per poi scendere nel 1998 sotto la quota prevista
Il debito, in quel 1996, era sopra il 124% e dovevano essere adottati quindi provvedimenti durissimi per ridimensionarlo, almeno tendenzialmente, e riportarlo nell’ambito del 60%.
La polemica politica in Italia fu accesissima: Prodi continuava a ripetere “Voglio rientrare nell’Euro ma non con un Paese in ginocchio”. Ma i partner europei e soprattutto Kohl e Chirac sembravano inflessibili, non disponibili a nessuna deroga per il nostro Paese. Il nostro ambasciatore in Germania, Enzo Perlot, si lasciò sfuggire una riflessione drammatica: “La Germania non ci vuole tra i piedi”, annota Battocchi nel suo volume.
Il governo italiano lavorò per preparare una legge finanziaria in linea con le promesse fatte a Bruxelles. Il direttore generale della Banca d’Italia, Mario Draghi, supportò efficacemente il governo a riconquistare credibilità a livello europeo.
La legge finanziaria assunse i seguenti connotati: una manovra economica da 62.500 miliardi di lire, con un avanzo primario, al netto quindi degli interessi sul debito, di circa il 4%.
Prodi si inventò l’Eurotassa, strumento fondamentale per far rientrare la Lira nello SME.
La Commissione Europea commentò la legge finanziaria italiana in modo negativo: l’Italia nel 1997 non sarebbe andata oltre il 3,3% del rapporto deficit-Pil e con quel parametro sarebbe rimasta fuori dalla lista dei paesi ammessi.
L’unica nota positiva fu il rientro del nostro Paese nello SME, il primo segnale di speranza.
La negoziazione economica tra Roma e Bruxelles si incentrò sul tasso di cambio, soprattutto con il Marco tedesco. Roma propose 1000 Lire per un Marco, Bonn si fermò a 950. Si chiuse a 990 Lire per ogni Marco, un buon successo e un’altra “stazione” superata in vista del traguardo finale della Moneta Unica.
Nei primi mesi del 1997, nei paesi che oggi chiamiamo “Frugali del nord”, incominciano ad immaginare un piano B: un’Europa a due velocità “È preferibile, sostenevano, un ingresso ritardato tra il 2000 e il 2002 per i paesi dell’Europa meridionale”.
Il governo Prodi investì la maggior parte del suo tempo a ricostruire un rapporto di fiducia con il governo tedesco: furono numerosi i contatti tra i vertici dei due paesi, in quei mesi, per cercare di avvicinare la rigidità degli europei agli auspici di Roma.
Il trattato europeo prescriveva che la verifica dei risultati e la lista dei paesi ammessi all’Euro avvenisse con la pubblicazione di un rapporto sottoscritto proprio dai governatori centrali riuniti nell’allora Istituto Monetario Europeo (oggi BCE).
Il rapporto doveva essere approvato entro il 24 marzo 1998, la data fatidica a cui era appeso il nostro Paese.
Nelle cancellerie europee alla vigilia di quella scadenza regnava l’assoluto silenzio, la riservatezza più totale sulle scelte finali operate dai banchieri centrali.
Carlo Bastasin, allora corrispondente del Sole 24 Ore a Francoforte ha ricordato recentemente su La Repubblica che quella notte, privo di notizie certe, provò a chiamare una sua fonte riservata dell’Istituto Monetario Europeo “Una voce concitata rispose “siamo fuori!”. Che cosa stai dicendo, chiesi. La telefonata si interruppe. Richiamai. Nessuna risposta”.
Allo scoccare della mezzanotte la maggioranza dei governatori centrali europei era d’accordo sull’esclusione dell’Italia dalla lista dei paesi legittimati a partecipare al progetto sulla Moneta Unica europea. Nella notte il rapporto veniva addirittura approvato all’unanimità, con il voto favorevole anche del governatore italiano Antonio Fazio. Una notizia riservata e clamorosa che seminò il panico a Roma e in tutti i vertici istituzionali.
“Serious concern” (seria preoccupazione) era la formula adottata dai banchieri europei per giustificare l’esclusione dell’Italia dal progetto.
Questa formula avrebbe dato modo alla Corte Costituzionale tedesca di Karlsruhe di accogliere il ricorso di incostituzionalità della partecipazione della Germania all’Euro presentato da autorevoli economisti tedeschi.
I giudici avrebbero costretto il governo di Bonn a rinunciare al progetto e l’Europa sarebbe morta… sul nascere.
L’uomo che ci mise la faccia, facendo leva sul suo passato, sulla sua professionalità, sulla sua serietà e determinazione a voler far rientrare l’Italia nell’Unione Europea, fu Carlo Azeglio Ciampi.
Infatti il nostro futuro Presidente della Repubblica, quella notte del 24 marzo 1998 chiamò al telefono tutti i suoi ex colleghi, uno ad uno.
Intimò loro, come ci racconta Battocchi, in toni piuttosto imperativi di mantenere equanimità di giudizio, non potevano permettersi di dubitare sui risultati economici italiani con giudizi di valore che li avrebbero portati a sostituirsi al giudizio della politica.
Ciampi sottolineò i sacrifici che l’Italia aveva fatto per migliorare i propri conti pubblici.
Bloccare in quel momento l’ammissione del nostro Paese con una formula dubitativa come “Seria preoccupazione” avrebbe rischiato di avere conseguenze drammatiche sul nostro Paese di cui i banchieri centrali europei avrebbero poi dovuto assumersi la piena responsabilità.
Una esclusione dell’Italia avrebbe potuto scatenare fin dal mattino successivo un catastrofico attacco alla Lira azzerando ogni speranza di convergenza verso l’Euro con l’erosione dei redditi degli italiani.
La missione notturna di Ciampi produsse i suoi effetti: nessuno dei governatori Tietmeyer in testa, volle assumersi quella tremenda responsabilità.
La reputazione e l’impegno formulato da Ciampi fecero cambiare idea a tutto l’Istituto Monetario Europeo.
Il Consiglio dei governatori fu riconvocato all’alba e approvò una nuova versione rispetto a quella concordata la sera prima.
La preoccupazione non era più definita “seria” bensì “continua”: quanto bastava per trasformare da negativa a neutra la valutazione sull’Italia.
La mattina del 25 marzo 1998, con i mercati finanziari di tutto il mondo in febbrile attesa, tutti ignari di quello che era successo durante la notte, fu consegnata alla stampa mondiale una copia del rapporto finale, ristampata all’ultimo momento dopo la revisione della votazione dei governatori.
Poche settimane dopo i capi di governo europei battezzarono la nascita dell’Euro.
Adesso che sappiamo il significato di quell’apparentemente anonimo 24 marzo 1998, possiamo davvero far costruire un “monumento” a Carlo Azeglio Ciampi, il grande e indimenticato regista del cambiamento notturno della decisione dell’Istituto Monetario Europeo.
Riccardo Rossotto