Non succede, perché non succede. Ma se succede. Occorre dirlo prima, per evitare fraintendimenti successivi: Berlusconi al Quirinale, è opzione sciagurata, ma rappresenta la nemesi della storia. Se a trent’anni dalle elezioni politiche del 1992, le ultime della Prima Repubblica, l’ex Cavaliere riuscisse a raggiungere il Colle sarebbe la logica e drammatica chiusura di una vendetta tragica che la transizione infinita, detta anche agonia, è arrivata a compimento. Per essere meno aulici, sarebbe la rappresentazione plastica del vecchio adagio: la mela non cade mai lontano dall’albero. Fosse anche il pomo della discordia o quello del peccato originale.
Chi ha saputo monetizzare l’audience e ricavarne il maggior guadagno, prima in termini economici e poi in termini politici, ha già vinto rendendo la scelta del Capo dello Stato: la cosa più simile al Conclave, una gara al televoto come la finale di Amici. Ma perché quello è stato il suo paradigma che ha seminato a ha trasformato i nostri comportamenti.
In tanti ti seguono, allora vali tanto. Con una tracotanza che non ha mai colto minimamente segretari di partiti di massa (vera) che non sono mai scesi sotto il 30%. Ma quelle erano organizzazioni che si muovevano dentro un sistema che si considerava regolato da altre regole. Debordare, mischiare e legittimare tutto con l’aspetto quantitativo: consumatori, audience, elettori, numero di Coppe dei Campioni, per pesare il valore e aggiungere l’aspetto di concorrenza e di agonismo come ulteriore carico, signore e signori, ecco la sintesi di un nuovo sistema di valori che di fatto non cancellerà il berlusconismo anche senza Berlusconi. Inoltre per raggiungere il traguardo, alzare le braccia davanti alla folla festante e abbracciare le miss che ci inondano di champagne non serve giocare bene o giocare leale, basta vincere. Non solo, un “non possiamo non dirci berlusconiani” che ha insegnato a tutti come le campagne elettorali (compresa questa rincorsa finale al Colle) basta vincerle, il traguardo è la vittoria e non il governo. E così, con questo smarrimento del “dopo”, abbiamo perso il pensiero lungo (o medio).
Una delle obiezioni che non ho sentito, oltre a quelle validamente espresse, contro l’imbarazzo di Silvio Berlusconi al Quirinale: pregiudicato, divisivo, inadeguato, è che Silvio Berlusconi non è contemporaneo. Un tempo che si sta riorganizzando per comunità (ah, non masse) e per collaborazione (vedi fenomeni collettivi come Friday for Future) basterebbe questo per escludere un modello come l’ex Cavaliere. Ma purtroppo non si è ancora arrivati a questo punto. Ed è questo il punto.
Alessandro Cappai
PS: Una volta terminato il mio pezzo, ho chiesto un parere a Cristopher Cepernich, docente di Sociologia della comunicazione all’Università di Torino e Presidente dell’Associazione Italiana di Comunicazione Politica, che nella risposta ha sollevato dei quesiti che da soli, valgono e superano tutto il resto dell’editoriale. “A mio avviso manca solo un elemento, che però sarebbe decisivo e che nessuno vuole affrontare. L’elezione di Berlusconi è altamente improbabile, benché possibile. Però è possibile. Facciamo l’ipotesi che il fatto si realizzi, avendo assunto pure tutta la tua analisi di non opportunità. Cosa accadrebbe dopo? Ma soprattutto, cosa sarebbe opportuno e giusto che accadesse dopo? Si riscavano le trincee oppure in nome di una unità nazionale che deve essere sopra e prima della politica, anche gli avversari lo assumono come il presidente di tutti. Perché guarda che è questo è il punto vero, non l’elezione. La fertilità della riflessione aumenta se ci si proietta sui comportamenti seguenti: a quel punto è lui che spacca l’Italia o lo fa la militanza antiberlusconiana?”, ha scritto.