Tutti angosciati dalla nuova ondata di Omicron (il vecchio Covid-19 che si è modificato astutamente proprio per superare e sconfiggere le difese farmacologiche messe in campo finora dagli esseri umani dopo la prima offensiva: una battaglia a cui dobbiamo, a malincuore, abituarci perché caratterizzerà a lungo il nostro futuro!) ci stiamo distraendo sul tema nevralgico della riforma dell’Unione Europea, un passaggio vitale per la sua sopravvivenza e per la sua competitività politica ed economica nei confronti degli altri tre grandi giocatori mondiali, la Cina, la Russia e gli Stati Uniti.
Anche la lotteria, tutta mediatica e poco politica, sul futuro Presidente della Repubblica ci sta ulteriormente distraendo da un nodo cruciale del futuro italiano: le nuove regole del gioco che l’Unione Europea deve darsi sia a livello di governance, sia a livello economico, finanziario e fiscale.
E’ ormai dato per certo, tra gli esperti di Bruxelles, che se si vuole davvero modificare le regole esistenti, questo deve avvenire necessariamente senza dover modificare, a breve, i Trattati.
Cambiare i Trattati sarebbe infatti un processo complesso e pieno di insidie politiche. Quindi, tutti quelli che stanno sul serio lavorando per una Unione Europea più autorevole e più efficiente, invocano un sano pragmatismo quale unico strumento per ottenere dei concreti risultati.
Proprio su questi temi, da tempo, un gruppo di economisti e giuristi europei ha approfondito il perimetro delle iniziative possibili per cambiare l’Europa senza dover toccare i Trattati.
Per gli interessati, consigliamo un approfondimento dei lavori contenuto nel sito voxeu.org/article/reforming-eu-macroeconomic-policy-system-economic-requirements-and-legal-conditions .
E’ interessante il metodo di lavoro adottato dagli esperti europei: invece di partire dai vincoli dei Trattati, il gruppo di lavoro ha approfondito quelle riforme possibili senza modificare le carte fondamentali dell’Unione Europea che impongono l’unanimità dei consensi.
I documenti dimostrano che si è partiti dalle proposte di riforma sulle politiche monetarie e fiscali, dalla fondamentale riforma del Patto di Stabilità e dall’istituzione di un bilancio comune europeo.
Lo stato dell’arte dei documenti prodotti dagli esperti evidenzia come il principale ostacolo alla riforma dell’Unione Europea sia di natura politica, non giuridica.
Lucrezia Reichlin, che fa parte di questo team, ha fatto due esempi di aree in cui sarebbe possibile innovare le regole del gioco: le norme fiscali e l’obiettivo di un bilancio comune dell’Unione.
L’economista italiana parte dalla constatazione che molte sono state le ipotesi di modifica delle regole fiscali esistenti.
Non ha senso, nel suo ragionamento, la constatazione che esista una regola uniforme sul deficit (3%) e sul debito (60%) in quanto irrilevante “per l’analisi della sostenibilità del debito quando dovrebbe essere proprio questa analisi al centro di un sistema che miri a prevenire crisi sovrane all’interno dell’Unione. Tale sistema dovrebbe stabilire obiettivi diversi per i singoli paesi, obiettivi che tengano conto della crescita potenziale, della qualità della spesa e pari altri elementi idiosincratici”.
Il secondo obiettivo raggiungibile senza cambiare i Trattati è quello di un bilancio comune all’interno dell’Unione Europea.
Il Next Generation Fund è stato uno strumento temporaneo e “fuori bilancio”.
Bisogna puntare alla creazione di un bilancio comune “che possa essere usato ai fini di stabilizzazione ciclica o di supporto a investimenti in aree prioritarie, come per esempio la transizione climatica”.
Ma questo è un argomento più delicato in cui il rischio di toccare i principi dei Trattati è molto alto e ci si dovrebbe limitare all’utilizzo di questo strumento soltanto in “circostanze speciali”.
L’obiettivo deve essere quello di creare una capacità fiscale europea autonoma e permanente a fronte di certe circostanze particolari che richiedano uno sforzo comune.
Le “circostanze speciali” dovrebbero essere definite ex-ante e scritte “in modo da garantire che questo nuovo strumento non funga da veicolo fuori bilancio ma che abbia invece le caratteristiche di un meccanismo assicurativo”.
Le conclusioni del gruppo di lavoro europeo sono dunque positive: alcune riforme si possono avviare, altre addirittura si potrebbero fare senza l’obbligo di modifica dei Trattati.
A fronte di questa visione positiva sulla possibilità di incidere sulle riforme della governance europea nonostante l’attuale vincolo dell’unanimità dei consensi che, allo stato, blocca ogni speranza, da Bruxelles non giungono notizie parimenti ottimistiche.
Proprio la scorsa settimana nell’ultima riunione pre-natalizia, il Consiglio d’Europa ha deciso … di non decidere praticamente su nulla confermando soltanto l’operatività del Mes, il fondo salva stati.
Proprio quando la BCE ha annunciato un programma di riduzione degli acquisti di titoli pubblici a partire dal marzo 2022 (quegli acquisti che hanno salvato, ad esempio, l’Italia dal default) sarebbe stato auspicabile che i capi di governo europei lanciassero dei messaggi rassicuranti sulla politica economica dell’Eurozona.
Invece il laconico comunicato pubblicato al termine della riunione costituisce uno straziante esempio di inconcludenza, fatta salva l’eccezione, come dicevamo, per il Mes.
C’è, insomma, confusione, incertezza, una fitta nebbia che impedisce il consenso su tutto tranne che sulla piena efficacia del tanto criticato fondo salva stati.
Un quadro desolante che a maggior ragione valorizza i lavori del gruppo di economisti e giuristi che citavamo precedentemente: la riforma dell’Europa si può praticare con un basso profilo, passo dopo passo, senza avere la presunzione, in questo momento, di un consenso politico generale e tale da modificare i Trattati che oggi non esiste.
Macron però non ci sta!
Sarà per questioni elettorali ma il Presidente francese vuole assolutamente segnare il semestre della sua presidenza dell’Unione Europea che partirà proprio il 1° gennaio 2022, con la ratifica di una prima bozza di riforma del Piano di Stabilità. Riforma che costituirebbe il trampolino di lancio per le altre modifiche, la più importante di tutte quella relativa all’abolizione del principio dell’unanimità dei consensi dei membri dell’Unione per le modifiche dei Trattati con l’introduzione del principio di maggioranza per le decisioni più importanti sul futuro della nostra Europa.
Negli incontri anche in remoto, ormai quasi quotidiani, con Draghi e Scholz, il Presidente francese sollecita la condivisione di una piattaforma programmatica ed operativa su questi temi fondamentali.
Nelle carte di lavoro che incominciano a girare nei ministeri economici di Parigi, Roma e Berlino, sono elencati tre obiettivi per la nuova governance che dovrebbe essere avviata proprio entro il primo semestre del 2022, quello appunto presieduto dalla Francia.
Un progetto che intende indicare le regole del gioco quando finirà la sospensione del Patto di Stabilità, introdotta dalla crisi pandemica.
- Il primo obiettivo è la Golden Rule ovvero un trattamento differenziato della spesa pubblica per investimenti nella transizione verde e digitale.
- Il secondo è la revisione del Fiscal compact nella “regola del ventesimo” secondo cui ciascun paese deve ridurre di 1/20 all’anno lo stock di debito sopra la soglia del 60% del PIL.
- Il terzo obiettivo é permettere a ciascun Stato membro di concordare con la Commissione un cammino pluriennale di riduzione dello stock di debito pubblico. Ogni stato avrà la responsabilità di proporre il proprio percorso di riduzione della spesa pubblica e di risanamento dei conti pubblici con l’obbligo di evidenziare un certo numero di riforme e un cronoprogramma.
Il “terzetto” dei tre capi di stato di Francia, Germania e Italia ha però un incubo, una spada di Damocle: quanto sarà stabile l’Italia nel 2022 in modo tale da rappresentare un partner autorevole e credibile per portare avanti questo sfidante ma complesso progetto di riforma dell’Unione Europea?
Gli incontri di questi giorni nelle cancellerie di Roma, Parigi e Berlino sono concentrati anche su questa domanda e quindi sulle scelte che Mario Draghi farà nei prossimi giorni sul suo futuro.
Riccardo Rossotto